• 19 Aprile 2024 0:49

Azione nonviolenta – Gennaio-Febbraio 2006

DiFabio

Feb 2, 2006

Azione nonviolenta gennaio febbraio 2006

– Verso le elezioni politiche per preparare il cambiamento, di Daniele Lugli
– Che succede in Brasile dopo la sconfitta del referendum contro il commercio di armi? Delusioni e speranze, ma la strada e’ aperta, di Gigi Eusebi
– Cosa bolle nella pentola dell’Irlanda del Nord? La rabbia protestante e le ragioni della nonviolenza, di Roberto Belloni
– Nelle banlieues francesi telecamere e fuochi si sono spenti. Ma la violenza e’ davvero finita? Cosa resta di quei giorni? intervista a Vincent Ferry a cura di Elena Buccoliero
– Una forza piu’ potente. Scheda 1: Danimarca 1940-1945. Vivere con il nemico, di Angela Dogliotti Marasso
– A meta’ strada di un Decennio, del Comitato italiano per il decennio
– Indice di “Azione nonviolenta” anni 2002-2005, a cura di Elena Zampiccoli e Daria Tognetti.

Inoltre le rubriche:
– Giovani. Sconfiggere l’inferno mafioso per fare della Calabria un paradiso, a cura di Laura Corradini
– Educazione. Resilienza e coscientizzazione per educare nel tempo della globalizzazione, a cura di Pasquale Pugliese
– Economia. Un obiettivo nonviolento: garantire a tutti il diritto al lavoro. Ma quale lavoro? Per fare cosa? Quanto lavorare? Per chi? a cura di Paolo Macina
– Per esempio. I magnifici sette che non pagano la guerra, a cura di Maria G. Di Rienzo
– Disarmo. Quando i numeri contano. La campagna “banche armate”, a cura di Massimiliano Pilati
– Musica. Storie di guerre e lacrime, speranze e desideri, a cura di Paolo Predieri Vai
– Cinema. La luce della storia illumina la memoria, a cura di Flavia Rizzi
– Libri. La coscienza e la parola per diventare uomini, a cura di Sergio Albesano
– Movimento. Medici obiettori contro il porto d’armi, a cura della redazione.

EDITORIALE
Verso le elezioni politiche per preparare il cambiamento

di Daniele Lugli

La proposta che come Movimento Nonviolento, unitamente al Movimento Internazionale per la Riconciliazione, abbiamo rivolto all’Unione, e ai partiti che la compongono, per il programma elettorale e, sperabilmente, per il prossimo governo segnala l’importanza che assegniamo alla prossima consultazione elettorale. Motivi di insoddisfazione rispetto alle posizioni ed ai comportamenti complessivi, passati e presenti, dello schieramento di opposizione non mancano. Li abbiamo in più occasioni segnalati, continueremo a farlo, dalla nostra prospettiva di amici della nonviolenza..
Prioritario ci pare però l’impegno di porre termine, nel modo più netto, alla disastrosa esperienza di governo della Casa delle “libertà”. Ha contribuito in modo decisivo all’imbarbarimento delle relazioni nella nostra società e, per quel che ha potuto, alle relazioni internazionali. Il tema della pace e della sua costruzione, centro della nostra proposta, non è mai stato nell’agenda di questo governo. Inoltre, con la scusa di affermare “la legge del mercato”, ha reso le leggi stesse oggetto di mercato, cosicchè sono, nell’uso comune, intestate ai beneficiari, che ne hanno tratto vantaggi economici e cancellazione di reati. Questo stravolgimento della legalità non si è arrestato neppure davanti alla Costituzione, con l’approvazione di una “riforma” ripugnante per metodo e contenuti.
Non basterà, ma è essenziale e prioritario, sconfiggere le forze politiche, principali responsabili, e il loro eversivo disegno (che la loggia P2 aveva anticipato) nella consultazione elettorale e nel referendum costituzionale. Ci vorrà molto e coerente lavoro per rimediare ai guasti profondi, compiuti o venuti alla luce in questi anni. Siamo intenzionati a dare il nostro piccolo, tenace contributo e crediamo di farlo anche con la nostra modesta proposta. Accettandola, migliorandola, scegliendo donne e uomini capaci di farsene convinti portatori nelle sedi parlamentari e di governo le forze, che compongono l’Unione, daranno un’importante, attesa, garanzia di discontinuità e alternativa rispetto all’attuale compagine di governo.

Proposta di pace del MIR e del Movimento Nonviolento
per il programma elettorale dell’Unione

Siamo 2 movimenti che da tempo si sforzano di approfondire e diffondere la nonviolenza in Italia: il Movimento Nonviolento, fondato da Aldo Capitini nel 1961, e il MIR fondato in Italia nel 1952 come sezione dell’IFOR, movimento a base spirituale che dal 1919 si propone la nonviolenza come via di riconciliazione. Non siamo movimenti di massa, ma abbiamo una lunga storia di impegno.
Riteniamo che il programma di un futuro governo, che auspichiamo diverso dall’attuale, debba avere una chiara impronta per la pace, e che questa debba essere comprovata e verificata da alcuni punti chiari e concreti.
Pertanto proponiamo che nel programma dell’Unione di centro-sinistra siano presenti, espliciti e centrali, almeno i seguenti punti che riteniamo essenziali:
– ridurre le spese militari, finora sempre crescenti, almeno del 5% annuo progressivo, per finanziare forme di difesa nonviolenta quali ad esempio i Corpi Civili di Pace, unico mezzo degno per dare aiuto e solidarietà democratica ai popoli vittime della guerra.
– spostare su un apposito capitolo di spesa il denaro sottratto al bilancio del Ministero della Difesa, per istituire il Ministero per la Pace, dotato di portafoglio, per adottare una rigorosa politica costituzionale di Pace che obblighi a ripudiare la guerra come metodo di risoluzione delle controversie;
– cominciare subito il ritiro continuo e completo della presenza militare italiana di appoggio alla guerra e occupazione dell’Iraq;
– decidere l’espulsione dall’Italia delle molte decine di bombe nucleari presenti nelle basi Usa, in violazione clamorosa e inammissibile della Costituzione e dei patti internazionali;
– ripristinare e rafforzare la legge 185, limitativa del commercio delle armi, che è causa primaria dei conflitti omicidi nel mondo, e disumano criminale esercizio del profitto economico.
Speriamo in un maggiore ascolto da parte dell’Unione su questi temi di quanto non lo sia stata l’attuale maggioranza

Movimento Internazionale Riconciliazione
Movimento Nonviolento

Che succede in Brasile dopo la sconfitta del referendum contro il commercio di armi ? Delusioni e speranze, ma la strada è aperta…

Di Gigi Eusebi *

Una discussione sul referendum sulla vendita di armi da fuoco e munizioni, svoltosi in Brasile il 23 ottobre scorso, avvenuta in un bar di Juiz de Fora, a 300 km. da Belo Horizonte, è terminata con una sparatoria. Un paladino del NO alla proibizione della vendita delle armi ha “rafforzato” la sua tesi sparando tre colpi contro un sostenitore del SÍ. Quest´ultimo, di 26 anni, disoccupato, è stato ricoverato in gravi condizioni, mentre il novello John Wayne, ventitreenne, anch´esso disoccupato, è stato inizialmente arrestato in stato di ubriachezza dopo aver nascosto l´arma (con il codice di identificazione manomesso) e tentato di fuggire. Giustificando il gesto come la risposta ad una provocazione, il ragazzo è stato scarcerato pochi giorni dopo.
Non si tratta del canovaccio di una pièce teatrale di Dario Fo, ma di un fatto reale avvenuto il giorno prima del referendum, che in Brasile ha sancito la vittoria del NO con una percentuale del 63,94%, mentre i SÍ hanno totalizzato il 36,06% dei circa 95 milioni di votanti. Il NO al referendum permette che il commercio di armi da fuoco possa proseguire, anche se non cambia per ora lo Statuto del Disarmo, entrato in vigore nel 2003, il quale determina che solo la Polizia Federale può autorizzare il registro e il porto d´armi.

Risultato sorprendente?
Da un lato sì, visto che fino a un mese prima del referendum i (pochi) sondaggi effettuati prevedevano una larga maggioranza a favore del SÌ (arrivati anche al 72%). Nell´ultimo mese di campagna le élites del paese (commercianti, imprenditori, media, forze armate, industrie del settore, estrema destra) sono scese in campo con… l´artiglieria pesante del bombardamento informativo martellante degno delle più sofisticate elezioni politiche, facendo leva su sentimenti diffusi, specialmente tra le classi sociali più facoltose: il senso di sfiducia nelle istituzioni e nelle forze dell´ordine, il sentimento di paura, a volte di terrore verso la criminalità organizzata, che nelle grandi metropoli come nelle regioni più isolate dell´”interior” ha un potere fortissimo neanche tanto occulto.

Risultato deprimente?
Secondo la giornalista Cláudia Santiago, rappresentante del nucleo di comunicazione del “Fronte Brasile Senza Armi”, non conta cosa è successo durante la campagna elettorale, ma ciò che i mezzi di comunicazione sfornano quotidianamente, con una strategia raffinata da parte dei grandi media di generare una paura ossessiva nei confronti della violenza. Si vedano i “lanci” di agenzia nelle pagine di cronaca della maggior rete di comunicazione del paese (e quinta al mondo), la Rede Globo, in un qualunque giorno precedente la votazione:
– ore 03.59: Due morti in una sparatoria nella favela Cidade de Deus (quella del film omonimo, ndr)
– ore 04.34: Aggressore è fermato nella favela Jardim America, e dopo uno scontro, liquidato
– ore 05.03: Polizia Militare picchia tre studenti che rubavano auto a Niterói
– ore 06.16: Panettiere è rapito da banditi, insieme a un cliente preso in ostaggio, all´Olaria
– ore 07.10: Donna al volante è assaltata al semaforo nella zona della Gávea
– ore 07.34: Vigile è trovato morto in una strada di Benfica
– ore 08.15: Narco-trafficanti sono presi e feriti a Barra Mansa
– ore 09.18: Federali colgono in flagrante tre ladri a Teresópolis, due di essi vengono uccisi
– ore 09.44: Polizia Civile e trafficanti sono in guerra da sei ore sulle colline di Vila Isabel
– ore 09.45: Due adolescenti sono stati arrestati dopo essersi accoltellati a Cosme Velho
– ecc. ecc…
Questo tipo di lavaggio del cervello, secondo la giornalista, porta spesso la gente ad una reazione: “Devo proteggermi, compro un´arma, e poco importano gli argomenti razionali contrari. Con questo tipo di humus, in futuro qualunque proposta potrà passare, dalla rimozione delle favelas, a inserire la pena di morte, all´abbassamento dell´età penale a 10 anni o, perché no, alla proibizione per la gente non di pelle bianca di circolare per le vie dopo le 21.00… Stiamo allerta!!!”
All´erta ci stanno di sicuro le due società fabbricanti d´armi in Brasile, la Frojas Taurus e la Companhia Brasileira de Cartuchos, che nel 2004 hanno raggiunto un fatturato di 400 milioni di dollari e che in un solo giorno, alla vigilia del voto (il 18 ottobre), quando i sondaggi garantivano la vittoria sicura del NO, hanno incrementato il valore delle loro azioni nella borsa di San Paolo del 17%.
Impietosa l´analisi del sociologo Emir Sader, un nome assai noto tra i frequentatori dei Forum Sociali di Porto Alegre: “I processi elettorali, condizionati dal marketing, portano alla vittoria della migliore campagna, non del miglior candidato, del miglior partito o del miglior programma. Ha trionfato il motto omicida secondo cui ´l´unico bandito buono è il bandito morto´ e la lobby di quelli che: ´i diritti umani difendono solo i delinquenti´. Hanno trionfato gli squadroni della morte, insieme alle politiche sistematiche di decimazione della popolazione povera (specialmente neri e mulatti), che godono del finanziamento degli imprenditori e dei ricchi commercianti delle metropoli. Hanno trionfato i banditi, che potranno contare su un numero maggiore di armi comprate legalmente da rubare ai loro acquirenti. Le statistiche dimostrano che il 75% dei crimini in Brasile sono commessi con armi comprate legalmente e poi sottratte ai proprietari. L´esito negativo del referendum non cambierà di molto la situazione del paese. Chi comprava armi non smetterà, chi le rubava per commettere crimini continuerà a farlo, forse aumenterà lo smercio. Crescerà invece l´autoritarismo razzista presente nella mente di tanta gente, che potrà essere sfruttato a piacimento”.

I have a dream
Commentando un sogno fatto il giorno delle elezioni, il teologo Leonardo Boff racconta che d´ora in avanti in Brasile ci sarà la pace, ma ciò varrà per sole due settimane. Perché il capitalismo sparirebbe con la pace, in quanto per esistere esso ha bisogno di guerre e di conflitti personali.
Anche Frei Betto, scrittore, per due anni coordinatore delle azioni sociali del programma Fame Zero del governo Lula, ha fatto un sogno: “Così come armature, scudi e lance sono diventati oggi pezzi da museo, sogno il giorno in cui tutte le armi saranno relegate al passato, ed anche la necessità dell´esistenza di polizia e forze armate”. Senza la proibizione del commercio legale di armi, aggiunge Betto, non si avrà mai una società meno violenta. Ogni 100 ragazzi tra i 15 e i 24 anni morti in Brasile, 57 sono assassinati, la maggioranza con armi da fuoco. Tra il 1980 e il 2000, sono state uccise in Brasile 600 mila persone, più delle vittime della guerra civile in Angola, che è durata 27 anni.
Anche il “mitico” MST (Movimento Sem Terra) è sceso in campo a favore del SÌ, denunciando che sia sintomatico che i portavoce e i difensori principali della vendita di armi in Brasile siano le industrie fabbricanti e il potente “partito della pallottola”, vale a dire i parlamentari vicini a latifondisti, multinazionali e estrema destra. Perché?
“Perché pensano che i padroni abbiano il diritto di difendere con le armi i loro patrimoni. Perché vogliono poter decidere impunemente chi deve vivere e chi deve morire, con un´atteggiamento medievale. No, deve essere compito dello Stato e della società difendere la vita dei cittadini. Sostenere che ciascuno può farsi giustizia da solo è tornare all´età della pietra. Ai ricchi non interessa sapere come proteggere la vita delle persone, come uscire dalla povertà e dalla disuguaglianza, ma solo difendere i loro privilegi. Come tutti sanno, possedere un´arma non rappresenta una sicurezza, al contrario è un rischio in più per la propria e altrui vita, in quanto i criminali sono e saranno sempre più preparati”.
L´unico argomento che ha unito i fautori del SÌ e del NO è stata la confusione generata dalla modalità del quesito referendario: “il commercio di armi da fuoco e munizioni deve essere proibito in Brasile?” Per dire no alle armi bisognava rispondere SÌ, e per dire sì era necessario votare per il NO. In un paese dove l´anafalbetismo è ancora molto alto e la capacità subdola di ipnotizzare le menti da parte dei media ancora di più, il dettaglio è tuttaltro che secondario.
“Ma il nostro argomento principale è stato il ripudio totale delle armi da fuoco – ha detto l´antropologo Rubem Fernandes, direttore dell´ONG Viva Rio – le armi uccidono, e in Brasile uccidono molto”. In una lunga lettera inviata a tutti i movimenti promotori (Carta a Nós do SIM), Rubem ha scritto che il referendum ha aperto un immenso campo di lavoro, perché i brasiliani hanno discusso sul tema con un´intensità mai vista prima: “Non ci piace il risultato del voto. Ma la gente si è coinvolta profondamente e chi ha votato SÌ ha mandato un forte messaggio a se stesso, ai governanti e al mondo. Il SÌ ha tutto per confermare una tensione duratura, e le molte reti che si sono create vogliono continuare a lavorare. Dobbiamo dimostrare che sicurezza, disarmo, giustizia e libertà possono e devono camminare fianco a fianco. Che la catena dei 33 milioni di voti per il SÌ si rafforzi e abbia più successo la prossima volta”.

I numeri della morte e della vita
La stima dell´Istituto ISER di Rio de Janeiro relativa al numero totale di armi oggi in circolazione nel paese è di circa 17 milioni, vale a dire una media teorica di un´arma ogni 10 abitanti. Ma solo nel 3,5% delle case brasiliane c´è un´arma da fuoco. Il 90% delle armi è di proprietà di civili, contro il 60% della media internazionale. 8,5 milioni di armi non hanno più un numero di matricola, 4,6 milioni vengono dal mercato nero e 3,9 milioni sono nelle mani della criminalità. Le armi comprate regolarmente nei negozi da persone senza precedenti penali sono poi state utilizzate – sempre secondo l´ISER e relativamente a 3.394 crimini denunciati a Rio negli ultimi mesi – nel 67% degli stupri, nel 57% dei furti, nel 46% dei borseggi, nel 49% delle lesioni, nel 38% degli omicidi.
Gli psichiatri militari affermano che le persone che non hanno mai sparato si bloccano quando si trovano davanti un aggressore armato. Ciò non vale solo per massaie e pacifisti, ma gli stessi soldati della prima e seconda guerra mondiale non erano affatto dei cosiddetti born-killer (assassini per natura), in quanto la “dote” di sparare verso altri esseri umani con naturalezza e rapidità è per fortuna una “qualità” privilegio solamente del 2% della popolazione. Le chances che ha un cittadino comune, anche se allenato, di cavarsela davanti ad un bandito armato sono minime. Secondo il colonnello Nilson Grimaldi, istruttore dei poliziotti di San Paolo, nessun corso prepara un civile a reagire in maniera vincente sotto la minaccia di armi da fuoco.
L´ONG carioca Viva Rio é uno dei movimenti più incisivi in materia di disarmo, tanto da aver coordinato negli ultimi due anni una campagna appoggiata anche dal governo federale per la consegna volontaria di armi di proprietà della gente affinché fossero distrutte in cambio di indennizzazioni di circa 40-70 euro. La Campagna è appena terminata, ma le persone che possiedono armi legalmente registrate possono continuare a consegnarle. Secondo i dati forniti dall´UNESCO, nei 15 mesi della Campagna sono state distrutte circa 470.000 armi legali e illegali, con la conseguenza immediata di una riduzione dell´8,2% nel numero di morti a causa di armi da fuoco in Brasile, passate da 39.325 nel 2003 a 36.119 nel 2004 (comunque 100 al giorno, una specie di record mondiale, zone di guerra comprese), consentendo di salvare 3.234 vite umane in un solo anno, periodo in cui sono state vendute più di 60.000 armi a privati.
È frequente leggere sulla cronaca nera dei giornali di Rio, San Paolo, Salvador, Fortaleza, Manaus, che “l´Iraq è qui!”, mentre un manifesto diffuso durante la campagna referendaria riportava: “ tutti gli anni muoiono 40 mila le persone a causa delle armi da fuoco in Brasile. È una vera guerra civile!”.

Precedenti di disarmo
In Australia nel 1996 è stata proibita la vendita di armi da fuoco. Da allora le morti sono scese quasi della metà (1996: 521 – 1997: 437 – 1998: 380 – 1999: 367 – 2000: 353 – 2001: 333 – 2002: 331).
Nel film-documentario di Michael Moore “Bowling a Columbine” si portavano gli esempi di città limitrofe di frontiera di USA e Canada, simili per tessuto sociale e condizioni di vita, dove in un caso (USA) la cultura della paura indiscriminata verso gli altri e la violenza portava la gente ad armarsi e barricarsi in casa, con indici di criminalitá altissimi (su tutti la strage di scolari avvenuta ad opera di coetanei in una scuola di Columbine), mentre i vicini del Canada non possedevano armi, né chiudevano le porte di casa, convivendo in pace e con indicatori di violenza prossimi a zero.

Pensare positivo
Il compito di mostrare il bicchiere mezzo pieno sul tema lo ha assunto anche il Presidente Lula, il quale pur senza entrare direttamente nella campagna (così come il PT, il suo partito, strategia dettata dal timore che in un momento in cui il governo è sotto tiro per diversi scandali di corruzione il referendum potesse trasformarsi in un plebiscito pro o contro il PT), ha pubblicamente dichiarato il suo voto per il SÌ ed ha sottolineato come lo svolgimento del referendum sia stato una dimostrazione di democrazia partecipativa (si è trattato del primo referendum nella storia del Brasile e il primo del genere nel mondo) e di una pista aperta affinché altri paesi ne seguano l´esempio.
Resta il fatto che, come ha commentato un consulente in sicurezza pubblica del ministero di giustizia, il 96% dei brasiliani non esercita né eserciterà il “diritto” di comprare un´arma, anche perché un mondo dove tutti possedessero una pistola assomiglierebbe molto all´inferno…

(*) Gigi Eusebi ha lavorato negli ultimi due anni e mezzo nel Governo Federale brasiliano nel Ministero dello Sviluppo Agrario, occupandosi dello sviluppo dei progetti di economia solidale
L’industria degli armamenti ha finanziato la campagna per il NO

*Josias de Souza

Vittoriosa nel referendum del 23 ottobre, la campagna per il “No”, che si è opposta alla proibizione del commercio di armi nel paese, è stata finanziata da due giganti del commercio nazionale di armamenti e munizioni: Taurus e CBC (Cia Brasiliana di Cartucce). La Taurus è una dei maggiori fabbricanti di armi del paese, con sede nel Rio Grande do Sul. E’ sul mercato da 65 anni e esporta in 80 paesi. Ha una filiale in Miami (USA). Inaugurata nel 1926, la CBC mantiene la sua principale fabbrica istallata a Ribeirão Pires (SP). E’ la maggior produttrice di munizioni dell’America Latina.
Secondo il deputato Alberto Fraga (PFL-DF), presidente del “Fronte per il No”, la CBC è stata campione in donazioni, con circa di 2,6 milioni di reais. La Taurus, seconda maggior donatrice, ha contribuito con circa di 2,4 milioni. Il costo totale della campagna per il “No” è stata di circa 5,6 milioni di reais (circa 2 milioni di euro). Le due imprese, insieme, hanno donato alla “Fronte per il No” più di 5 milioni.Non è rimasto nessun debito da pagare.
La contabilità del “Fronte per il Sí” mostra una realtà completamente diversa. Sconfitta nelle urne, ha perso anche sul fronte dei fondi raccolti. Ha ottenuto circa 2,4 milioni di reais (circa 900.000 euro), meno della metà di quello riscosso dal fronte avversario. Ha finito la campagna in rosso con un debito di circa 320 mila reais.
Parlamentari che integrano le file del “No” si sono dichiarati imbarazzati nel sapere che la campagna è stata finanziata dalle industrie di armi. Lo stesso presidente del Fronte, deputato Alberto Fraga (PFL-DF), ha detto: “Non volevamo che fosse così. Ma il volume di soldi era grande e non è stato possibile coprire le spese con altre donazioni”.
Fraga ritiene, però, che non ci si poteva aspettare niente di diverso: “Chi avrebbe pagato il conto? Non, certamente, le fabbriche di acqua minerale o di birra. La nostra contabilità è trasparente. Non abbiamo contabilità in nero. E’ tutto registrato. Grazie a Dio non ci sono rimasti debiti”.
Segretario Generale e tesoriere del “Fronte per il Sì”, il deputato Raul Jungmann (PPS-PE), pensa diversamente: “E’ dimostrato che coloro che sono stati favorevoli al commercio di armi, con il pretesto di difendere un diritto del cittadino, in verità stavano difendendo il lucro delle imprese di armamenti. La maschera è caduta.”

*Giornalista

Cosa bolle nella pentola dell’Irlanda del Nord?
La rabbia protestante e le ragioni della nonviolenza

Di Roberto Belloni *

La violenza di metà settembre 2005 a Belfast ed in altre città dell’ Irlanda del Nord è stata la peggiore da quando cattolici e protestanti hanno firmato un accordo di pace nell’aprile del 1998. Un giovane cattolico è stato ucciso e molti altri aggrediti. Solo a Belfast sessanta poliziotti sono finiti in ospedale, uno in condizioni serie. I danni materiali sono stati ingenti. Decine di auto sono state bruciate o danneggiate. Molti negozi, uffici e servizi pubblici sono rimasti chiusi per giorni, o hanno funzionato a ritmo ridotto. La violenza è esplosa dopo un lento processo di insofferenza e disillusione iniziato nella primavera di quest’anno all’interno della comunità protestante. L’Ordine della Gran Loggia Orangista, un’organizzazione protestante e lealista nei confronti del governo inglese, è stato al centro dell’escalation. A luglio, la tradizionale parata per ricordare la vittoria di Guglielmo d’Orange sui cattolici nel 1690, è finita, come succede abitualmente, con feriti ed arrestati, in particolare tra i cattolici che considerano la marcia protestante una provocazione.
I disordini sono iniziati sabato 10 settembre all’interno della comunità protestante e senza il coinvolgimento diretto dei cattolici. Gli orangisti hanno tentato di deviare dal percorso approvato dalla polizia per entrare in un quartiere cattolico. La risposta della polizia, che ha impedito la deviazione, ha fornito la scusa per scatenare il primo giorno di disordini che sono poi continuati fino a notte fonda. Il numero di persone coinvolte, oltre mille, e la quantità e varietà di arme usate fa sospettare che i disordini siano stati organizzati e pianificati da tempo. Nei giorni successivi, Belfast si presentava come una zona di guerra con interi quartieri off-limits. Le strade apparivano deserte, i locali ed i ristoranti vuoti mentre gli elicotteri sorvolavano la città giorno e notte.
Le marcie orangiste hanno un enorme valore emotivo e simbolico per entrambe le comunità e sono spesso finite in violenti disordini. Ma sarebbe uno sbaglio sottovalutare il significato politico e sociale dei fatti di settembre. I due principali gruppi paramilitari protestanti, l’Ulster Defense Association e l’Ulster Volunteer Force, hanno fornito armi e munizioni ai quartieri in rivolta, mentre la leadership politica ha rifiutato di prendere le distanze dalla violenza. Senza apparente ironia, il leader Orangista Dawson Bailie ha dichiarato che “non c’è nulla da condannare” nel comportamento orangista. Il vecchio reverendo protestante Ian Paisley, da sempre in prima linea nella lotta contro l’integrazione politica, economica e sociale della minoranza cattolica, ha sottolineato come i protestanti abbiano legittime ragioni per sentirsi esclusi e marginalizzati. In altre parole, la violenza in queste circostanze sarebbe ampiamente giustificata.
Ma la campagna di violenza di settembre non servirà in alcun modo a rimediare alle ragioni del malcontento. I settori più poveri ed emarginati della comunità protestante lamentano privazioni ed un diffuso senso di abbandono. I protagonisti delle notti di Belfast, recrutati dalle milizie paramilitari, sono spesso giovanissimi provenienti da aree dove le scuole si stanno svuotando. I piccoli negozi continuano a chiudere e la disoccupazione è alta; come mi ha confermato uno di questi giovani, essere senza lavoro a Belfast è come vivere in una “prigione all’aria aperta.” È difficile convivere tra la pressione dei violenti del quartiere e l’abbandono sociale. Ha creato una certa impressione la notizia, diffusa nei giorni appena successivi ai disordini, che l’Irlanda del Nord ha il tasso di gravidanza giovanile tra i più alti in Europa. Tra queste giovani neo-mamme, anche tre ragazzine di appena tredici anni.
Come se il degrado e l’abbandono non bastassero, molti protestanti sono disillusi dalla mancata attuazione degli accordi di pace del 1998, o la risoluzione di questioni controverse. Il rilascio di prigione di ex membri dell’IRA, negoziato all’interno degli accordi, rimane un aspetto molto controverso. Per giunta l’IRA ha più volte dichiarato che avrebbe deposto le armi, ma nei fatti ciò è avvenuto soltanto in Ottobre, dopo i disordini. E nonostante l’apparente disarmo dell’IRA, la situazione rimane complicata dalla presenza di altri gruppi paramilitari, sia cattolici che protestanti, che continuano ad infestare l’Irlanda del Nord. Il processo di pace iniziato nel 1998 minaccia da vicino il potere di questi gruppi che controllano il territorio delle proprie rispettive comunità. Droga, armi, prostituzione ed appalti forniscono un introito facile e costante e non è una sorpresa per nessuno che i paramilitari possano decidere di fomentare violenza per fermare o rallentare la transizione verso lo stato di diritto.
In sintesi, la rabbia e la violenza protestante costituiscono un problema complesso che non sarà risolto nè facilmente nè velocemente. Ma il problema maggiore, per il quale il governo inglese è largamente responsabile, è la diffusa convinzione che la violenza paghi. A Belfast è un luogo comune sia tra i protestanti che tra i cattolici che l’IRA abbia conquistato un posto al tavolo delle trattative di pace negli anni ‘90 attraverso una campagna di violenza. Non sorprende che i settori emarginati protestanti ed i paramilitari ora adottino mezzi simili per far sentire le proprie ragioni.
La violenza di settembre ha messo in luce il fallimento della strategia di pace del governo inglese che ha legittimato l’uso della forza e istituzionalizzato il settarianismo. Il governo Blair, nel promuovere e sottoscrivere l’accordo di pace del 1998, ha messo un coperchio sulla pentola in ebollizione ma al prezzo di legittimare e perpetuare l’influenza della leadership politica locale responsabile per anni di violenza. Dal 1998 in avanti il governo di Londra ha poi investito milioni di sterline, che però sono in larga parte andati a beneficio della classe media locale ed hanno solo temporaneamente “comprato” la pace sociale. Le classi povere continuano a vivere nella povertà e nell’oblio.
Questa situazione deve essere ribaltata, il che non sarà nè facile nè veloce. Ma non vi è alternativa. La crisi all’interno della comunità protestante non coinvolge solo i protestanti, ma tutti i nord irlandesi, e sono la maggioranza, che hanno guardato alla violenza nelle strade con paura e disgusto. Le ragioni della nonviolenza, della trasformazione e della giustizia sociale sono la risposta alla miopia del governo inglese, all’arroganza dei paramilitari, e all’abbandono.

* Centro per lo studio dei conflitti etnici,
Queens University, Belfast

Telecamere e fuochi si sono spenti nelle banlieues francesi
Ma la violenza è davvero finita? Cosa resta di quei giorni?

Nostra intervista a Vincent Ferry
A cura di Elena Buccoliero

Vincent Ferry, sociologo e storico, insegna all’università di Nancy 2 dove si occupa in particolare di integrazione culturale ed ha in atto un progetto di ricerca che si svolge in parallelo a Nancy e a Genova. Quando lo incontriamo ha appena finito di spiegare ad un convegno come le leggi che in Francia disciplinano l’integrazione tra persone di diversa nazionalità siano sostanzialmente efficaci.

“Sai quand’è che i fuochi nelle banlieues si sono davvero spenti? Quando il governo francese ha chiesto ai media di oscurare il fenomeno. Come d’incanto, i ragazzi si sono fermati”.
Allora questi episodi di ribellione.. tutto un prodotto dei media?
“In gran parte sì, e non mi sorprende. Questi ragazzi non sono per niente estranei alla società globale: il loro primo desiderio è finire in televisione, massima aspirazione per gran parte della popolazione francese…”
Nella gente che cosa è rimasto secondo te? La repressione è stata applaudita dall’opinione pubblica oppure c’è stato un interrogarsi sulle cause che avevano preparato tutto questo?
“No, la gente non ha applaudito alla repressione. Io penso davvero che, se in Francia si votasse domani, la destra non resterebbe al potere. In questa occasione ha mostrato quanto è divisa, quanto le sue politiche di controllo sociale siano miopi e inefficaci.
Il problema adesso sono le conseguenze sulle persone. Ragazzi di 14 anni sono finiti in galera praticamente senza processo – grazie alla legislazione d’emergenza – per reati tutto sommato minori. Tutti noi sappiamo che nelle carceri francesi c’è violenza verso i più giovani, violenza fisica e sessuale. Amnesty International ed altre associazioni per i diritti umani lo ripetono da tempo. Quando questi ragazzi usciranno, feriti e violati, per quel fenomeno che la psicologia sociale ben conosce e individua nel rovesciamento dello stigma, saranno loro stessi a ferire e a violare altri, a riprodurre la violenza che per primi hanno subito”.

Tutti figli delle ex colonie?

“Le banlieues non hanno problemi di integrazione etnica ma forti, fortissimi problemi sociali. L’istruzione funziona ancora bene in Francia, i ragazzi a scuola ci vanno, ma la scuola non li aiuta a trovare un lavoro. Non è il suo compito, infatti, ma voglio dire che non c’è alcuna corrispondenza tra quello per cui vengono preparati e le possibilità reali che hanno dopo. Così la scuola, che è il primo passo verso la redistribuzione delle opportunità, in questo caso alimenta promesse che la società non è in grado di mantenere. La disoccupazione in quelle zone raggiunge il 30%. C’è precarietà, povertà, chi vuole i soldi in fretta entra nel traffico di droga. E poi il problema è anche architettonico: nelle banlieues non ci sono spazi per fare sport, per suonare, per stare insieme. Le famiglie di ceto medio che una volta ci abitavano hanno lasciato e si sono fatte una casa in un quartiere più ordinato, qui restano le famiglie più povere, deprivate. Ma come vedi è un problema sociale, non di integrazione culturale”.
È stato detto che molti di questi ragazzi provengono da una ex colonia francese e, ritornando in “patria”, non si sono sentiti accolti e rispettati come avevano creduto.
“Non è proprio così. Che utilizzino questo aspetto della loro storia familiare per giustificarsi è sicuramente vero, ma non tutti sono figli delle colonie francesi. Nelle periferie di Nancy, che è la città dove vivo e insegno, convivono circa 80 nazionalità diverse e si parlano almeno una trentina di lingue, non puoi dire che tutti provengono dalle colonie – e quando cammini per la strada incontri nello stesso gruppo ragazzi bianchi o di colore, con tante diverse sfumature di colore… tutti assieme”.
In una situazione di disagio sociale così forte, non si è parlato di obiettivi da raggiungere attraverso la contestazione.
“Poco tempo fa sono stato a intervistare gruppi di giovani nelle banlieues. Quando chiedevo quale fosse il loro desiderio più grande, rispondevano: “Avere tanti soldi”. E se, nascondendo il mio sconcerto, domandavo ancora che cosa avrebbero fatto con tutti quei soldi, mi guardavano sorpresi, allibiti, e non dicevano più niente perché in realtà non lo sapevano”.
Il denaro in sé e per sé, come forma di riscatto.
“E non è anche questa una malattia del nostro tempo? Lo imparano in tutti i modi possibili, che l’importante è arrivare, avere soldi, esibire il proprio potere. La tv francese è zeppa di idiozie, di telefilm americani dove la giustizia si ottiene solo con la violenza. E loro arrivano a desiderare questo tipo di omologazione, ma lo fanno nel modo più distruttivo perché, comunque, non hanno le risorse per raggiungere l’obiettivo in un modo diverso”.

Il ghetto: prigione e rifugio

“Ti porto l’esempio della mia città. A Nancy l’università è separata dal quartiere popolare solo da una strada che unisce le due zone. Bene, io credo di essere l’unico docente a percorrerla, a portare le lezioni in quella zona della città. Ho sempre sostenuto che l’università deve decentrarsi perché ci sono ragazzi che non ce la fanno a spostarsi, per tante ragioni, economiche e culturali. Così porto in periferia i miei studenti del centro. Una studentessa dopo il primo incontro mi disse: ‘Professore, sono venuta qui senza orologio e senza borsetta perché avevo paura di essere derubata, invece mi sembra di essere in un posto come tutti gli altri’”.
La forza delle etichette…
“Già, e sono reciproche, dettate dalla paura. Un giorno camminavo in una di queste periferie e un ragazzo, piuttosto aggressivo, mi ha urlato contro: “Ehi, tu, sporco razzista!” Io mi sono girato e gli ho risposto: “Perché mi offendi? Non sono venuto qui per essere offeso”. Ecco, il rapporto è difficile, costellato di provocazioni, ma non impossibile. Si potrebbe fare di più, potremmo tutti prenderci una parte di responsabilità. Sarebbe molto importante che artisti, uomini di cultura, persone che svolgono una professione intellettuale portassero qui un po’ del loro lavoro.
Perché l’Università non organizza corsi di francese per le donne immigrate? Alcune sono qui da anni e parlano a malapena la nostra lingua, non riescono neppure a dialogare con gli insegnanti dei loro figli. Ultimamente abbiamo avviato dei corsi di informatica per gli abitanti dei quartieri popolari e abbiamo trovato grande partecipazione. C’è un grande desiderio di uscire dal ghetto, ma anche una forte incapacità e paura”.

La mediazione sociale: una possibilità?

La Francia è maestra di mediazione sociale. Mi chiedo se, dopotutto, sia rimasta una possibilità di dialogo e, appunto, di mediazione con i giovani delle periferie.
“I mediatori e gli educatori hanno sempre mantenuto il loro ruolo, non è mai successo che uno di questi sia stato minacciato o ferito. Quando un mediatore entra, i ragazzi lo riconoscono e lo rispettano perché hanno già stabilito un rapporto con lui. Le cose però non sono così facili perché – succede fatalmente così – proprio nelle punte di violenza più acuta i ragazzi sfuggono al rapporto con i mediatori, non ci stanno più”.
D’altra parte è forse l’unico modo per potersi comportare in modo violento… Sarebbe troppo difficile mantenere il dialogo e poi bruciare appartamenti…
“Bisogna anche dire che negli ultimi tre anni, cioè con questo governo, il lavoro di mediazione ha subito un grave rallentamento. I progetti del sociale si sono visti dimezzare i finanziamenti, la polizia di prossimità è scomparsa a tutto vantaggio dell’unica funzione repressiva delle forze dell’ordine, i progetti culturali o sociali che avevano dato lavoro ad una parte di questi ragazzi sono stati chiusi… Insomma, tutti i programmi di intervento sono stati impoveriti, e da tempo. E in questi tre anni non c’è stato giorno senza che bruciasse almeno una macchina o un negozio. Le scuole no, erano rispettate. Quando abbiamo visto i roghi nelle scuole per me è stato chiaro che il fenomeno stava assumendo dimensioni davvero preoccupanti. Ma piccoli roghi ce n’erano sempre, solo che non se ne parlava. Poi il tragico incidente dei due ragazzi, le dichiarazioni offensive di Sarkozy… tutto è precipitato”.
C’è stato chi ha detto – Prodi tra gli altri – che lo stesso può accadere in Italia, se non si ha attenzione per gli immigrati.
“No, per il momento lo escludo. In Italia non ho visto niente di simile a quello che si vede nelle banlieues in termini di povertà, degradazione, isolamento. Forse certe zone di Roma o di Napoli, non so. Non mi pare che qui da voi si pongano le stesse condizioni”.
E una radice religiosa, in tutto questo, è presente?
“Assolutamente no. Non nego che alcuni ambiti della chiesa cattolica, musulmana o ebraica – le loro fazioni più rigide e chiuse – possano strumentalizzare questi fatti per farne un conflitto di religione, ma proprio non è vero. La Francia è veramente un paese laico, non si dà che ci siano problemi tra un musulmani e cristiani, ebrei e buddisti… o almeno, non per colpa della religione. In Francia sono tante le famiglie musulmane che festeggiano il Natale: si ritrovano, pranzano insieme, si scambiano i doni vicino al presepe che hanno preparato, proprio come i cristiani. In compenso tanti cristiani partecipano alla festa conclusiva del Ramadan, ci sono perfino matrimoni musulmani celebrati nelle chiese cattoliche, quando manca la moschea, perché la chiesa è comunque un luogo sacro e pubblico dove incontrarsi a pregare”.
Mi torna in mente la legge sul velo.
“Il velo… Quando la legge è stata approvata, in tutta la Francia c’erano credo poche centinaia di donne musulmane che lo portavano. Mediamente i ragazzi musulmani non frequentano la moschea, come i loro coetanei cattolici trascurano di andare a messa. L’unica donna che ha posto problemi su questa faccenda del velo, cioè non voleva toglierlo per la foto della carta d’identità, sai chi è stata? una suora cattolica!”.

Danimarca 1940-45: Vivere con il nemico

E’ in uscita anche in Italia la serie di video “Una forza più potente” (prodotta negli Stati Uniti dalla York Zimmerman e diffusa in versione DVD nel nostro paese dal Movimento Nonviolento) che presentano 6 casi storici di resistenza nonviolenta nel XX° secolo. Ne presentiamo uno al mese, iniziando con la Danimarca (seguiranno Polonia, Cile, India, Sudafrica, Usa).

Nel 1939, con l’invasione tedesca della Polonia, scoppia la seconda guerra mondiale. La piccola Danimarca è un paese neutrale. Il 9 aprile 1940 i nazisti la invadono, presentandosi come “protettori” e alleati del governo danese contro il “pericolo” di invasione inglese e promettendo di non interferire nella vita politica interna. Sperano, in tal modo, di non incontrare opposizione all’occupazione e di poter controllare il paese senza problemi. Ma le cose andranno ben diversamente.

Prima fase: politica di cooperazione del governo; inizio della resistenza civile
All’inizio il re e il governo danese decidono di accettare lo stato di fatto, scelgono una politica di cooperazione per evitare danni maggiori al paese e alla popolazione: l’obiettivo è “sopravvivere” e mantenere la sovranità danese, seppur sotto l’occupazione tedesca.
Ma per molti Danesi questo non basta.

H. Nissen, un testimone:
“Si aveva il senso di aver perso l’autonomia, la dignità, ma che fare?Non si poteva combattere e allora ci si riuniva nei parchi cittadini a cantare gli inni nazionali…
e si applaudiva il re, che ogni mattina se ne usciva da solo per una cavalcata…”

Tra la popolazione si diffondono rapidamente comportamenti di presa di distanza dalle truppe di occupazione e spontanee azioni di resistenza, come quelle indicate da Nissen, volte ad isolare i nazisti, a farli sentire indesiderati (tattica della “spalla fredda”).
La resistenza cresce nel corso dei due anni successivi, anche in risposta alla pretesa tedesca di coinvolgere la Danimarca nella guerra a fianco dei Tedeschi, sul fronte orientale. Si formano gruppi di sabotatori, si diffonde la stampa clandestina, si organizzano scioperi e manifestazioni.

La resistenza civile aperta pone il governo danese guidato da Scavenius di fronte ad un dilemma sempre più insostenibile: se reprime la resistenza si delegittima rispetto ai propri cittadini, se non lo fa, si mette contro i Tedeschi.

La svolta
28 agosto ‘43: Di fronte all’ultimatum tedesco che impone al governo danese la proclamazione dello stato di emergenza, il Parlamento dibatte a lungo, poi decide di sciogliersi.
Il primo ministro Scavenius si dimette e i Tedeschi assumono il controllo diretto della Danimarca.
La “politica di cooperazione” è definitivamente tramontata.

Ninna Almdal
“Ora sapevamo di essere schierati su versanti opposti. La cooperazione era diventata impossibile ed era giunto il momento di trovare altre strategie e di farle funzionare. Ma ormai era chiaro che loro erano nemici e noi eravamo il paese occupato”.

settembre: nasce il Consiglio della libertà, formato da sette membri di diversi partiti e tendenze politiche; funzionerà come un “governo parallelo”. In esso, la resistenza spontanea, la leadership diffusa e decentrata si è coordinata ed ha trovato un riferimento unitario.

Il salvataggio degli ebrei
fine settembre: E’ a questo punto che avviene una delle manifestazioni più straordinarie della Resistenza civile europea: quando il plenipotenziario tedesco Best ordina l’arresto di tutti gli Ebrei presenti in Danimarca, tutta la società civile si mobilita e riesce ad impedire la retata degli Ebrei prevista per il primo ottobre, nascondendoli ovunque:
“La notizia si diffuse con la velocità della luce, grazie anche a molti Danesi non ebrei. Il guidatore di ambulanze Jorgen Knudsen cercò sulle guide telefoniche gli indirizzi di famiglie con nomi ebraici. Poi andò a prenderli con la sua ambulanza e portò quelli che non avevano posto dove nascondersi, all’ospedale o a casa dei medici attivi nella resistenza. Altri Ebrei furono avvicinati per la strada da sconosciuti che offrivano loro le chiavi delle loro case…”
“Accadde qualcosa a cui Eichmann e i suoi uomini non erano abituati –afferma Leni Yahil, professore di storia ebraica moderna all’Università di Haifa- gli Ebrei danesi erano scomparsi dietro il muro vivente innalzato dal popolo danese nello spazio di una notte”1
Si diffondono proteste nelle università, si leggono lettere dai pulpiti delle chiese.

2 ottobre: di fronte all’ordine tedesco che intima di consegnare gli Ebrei all’autorità, si formano gruppi di cittadini che ne organizzano la fuga verso la Svezia, su piccole barche di pescatori.
Dei 7695 Ebrei presenti nel paese, ben 7220 sono messi in salvo; 475 sono arrestati.
L’obiettivo nazista della “soluzione finale” per gli Ebrei, in Danimarca, fallisce clamorosamente.

Il salvataggio degli Ebrei unisce e galvanizza i Danesi e li compatta con il movimento di resistenza
Il Consiglio della Libertà sottolinea il valore e l’importanza della resistenza civile che, a differenza di quella armata, è accessibile a tutti i cittadini e in ciò trova la sua forza e la sua efficacia.

Le fasi finali

fine ’44 -inizio ’45: la lotta diventa sempre più dura. Copenhagen viene posta sotto coprifuoco. Duecento operai di un cantiere escono prima della fine del turno, sostenendo che devono andare a badare ai propri orti prima del coprifuoco, immediatamente imitati da migliaia di altri; Best fa tagliare gli approvvigionamenti di acqua, luce, gas.

La popolazione si arrangia cucinando su fuochi di legna e attingendo acqua dai laghi; gli scioperi si diffondono. Il nono giorno di sciopero arriva l’accordo: se cesserà lo sciopero sarà sospeso il coprifuoco e l’occupazione militare degli spazi pubblici. La resistenza ha vinto, con il solo rifiuto dell’obbedienza e con la non cooperazione.

Continuano le manifestazioni, come i due minuti di silenzio a mezzogiorno in cui tutta Copenhagen si ferma (a fianco l’immagine di un manifesto usato per diffondere l’iniziativa) il blocco delle ferrovie per impedire il trasporto di prigionieri danesi in Germania; gli scioperi in risposta all’arresto di 10.000 poliziotti danesi…fino al primo maggio 1945, giorno della Liberazione.
La resistenza nonviolenta aveva risparmiato il paese e contribuito alla vittoria alleata più di quanto avrebbero probabilmente potuto fare le sue stesse forze armate…
Un testimone ricorda il sollievo di quei giorni:
“Ce l’abbiamo fatta, siamo sopravvissuti!”

Riferimenti bibliografici
(testi disponibili in traduzione italiana; oltre ai testi in cui si parla del caso danese sono citati anche alcuni dei testi più significativi usciti in Italia sulla resistenza civile)
J.Semelin, Senz’armi di fronte a Hitler. La resistenza civile in Europa 1939-‘43, Sonda, Torino, 1993
H.Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano, 1993 (prima ed.1964)
J. Bennet, La resistenza contro l’occupazione tedesca in Danimarca, Quaderni di Azione Nonviolenta, Perugia 1979
Non-violence Actualitè (a cura), Resistenze civili: le lezioni della storia, Quaderni della DPN n.22, La Meridiana, Molfetta, 1993
G.Giannini (a cura) La lotta non armata nella resistenza, Centro Studi Difesa Civile, Roma, 1993
G.Giannini, (a cura), La resistenza non armata, Sinnos, Roma, 1994
A.Bravo, A.M.Buzzone, In guerra senza armi. Storie di donne 1943-45, Laterza, 1995
A.Parisella, Sopravvivere liberi, Gangemi, Roma 1997
L.Menapace, Resistè. Il dito e la luna, Milano, 2001
A.Bravo, Resistenza civile, in E.Collotti, R.Sandri, F.Sessi (a cura), Dizionario della Resistenza, 2 voll. Einaudi, Torino, 2000-2001
Per approfondimenti si veda la ricca bibliografia Difesa senza guerra, curata e costantemente aggiornata da Enrico Peyretti, disponibile sul sito: http://db.peacelink.org/tools/author:php?l=peyretti

Angela Dogliotti Marasso

I passaggi di intervista sono tratte dal testo di supporto ai video: P.Ackerman, J.DuVall, A Force More Powerful. A Century of Non-Violent Conflict, St.Martin Press, 2000, pag. 223 (la traduzione è mia, n.d.r.). Le immagini (Museum of danish resistance) sono tratte dal testo e dal sito web www.aforcemorepowerful.org

A metà strada di un Decennio

Il convegno internazionale che si è svolto a Sanremo dal 18 al 20 novembre è stato un importante appuntamento per richiamare l’attenzione sul Decennio per l’affermazione di una cultura di pace e nonviolenza, proclamato dalle Nazioni Unite.
Le voci presenti sono state molteplici, così come le occasioni e le modalità di comunicazione, confronto e scambio: dalle relazioni che hanno fatto il punto sulla situazione italiana e internazionale, alla tavola rotonda che ha messo a confronto realtà e approcci diversi nell’ambito del lavoro di educazione alla pace. I laboratori tematici hanno inoltre permesso di conoscere significative esperienze realizzate in Italia e all’estero (Bosnia, Cecenia, Kossovo) e di confrontarsi sulle metodologie impiegate.
Nel corso del convegno, sono stati anche presentati due sussidi didattici finalizzati al sostegno e alla promozione della cultura e dell’educazione alla nonviolenza e alla pace: il video “Come va il mondo” elaborato dall’equipe del prof. Alberto L’Abate, all’Università di Firenze, e il CDRom realizzato dal Comitato Italiano per il Decennio.
Auspichiamo che questo convegno non resti un evento isolato, ma diventi un appuntamento stabile, con cadenza annuale, per dare visibilità e continuità al lavoro educativo svolto da insegnanti, movimenti e istituzioni e contribuire a consolidare e sviluppare la rete di rapporti già esistente. Poiché per conseguire questi obiettivi sono necessarie adeguate risorse, ci auguriamo che venga quanto prima esaminata e approvata la proposta di legge presentata in Parlamento intesa a sostenere e diffondere l’educazione alla pace e alla nonviolenza.
L’Appello dei Premi Nobel che ha dato vita all’iniziativa del Decennio è un invito pressante e per nulla retorico, rivolto a tutte le agenzie educative di base (gruppi e movimenti) e istituzionali (insegnanti, educatori, università) per promuovere e diffondere una autentica cultura di pace e nonviolenza, di cui l’umanità intera e le nuove generazioni in particolare hanno urgente bisogno. Nell’aderire a questo appello, invitiamo tali agenzie ad assumere come piano di lavoro per i restanti cinque anni di questo Decennio le proposte per una cultura di pace formulate dall’Assemblea delle Nazioni Unite.
Siamo grati al Comune di Sanremo, al Gruppo ASSEFA della stessa città e alla Provincia di Imperia, che si sono impegnati per rendere possibile questa iniziativa, in collaborazione con il Comitato Italiano per il Decennio e il Centro Studi “Sereno Regis” di Torino.

COMITATO ITALIANO PER IL DECENNIO
e CENTRO STUDI “SERENO REGIS”

INDICE DI AZIONE NONVIOLENTA ANNI 2002-2005

a cura di Daria Tognetti ed Elena Zampiccoli

Nella preparazione dell’indice dell’ultimo quadriennio sono stati mantenuti in linea di massima i criteri già utilizzati in passato: gli argomenti e i sotto argomenti sono in ordine alfabetico, mentre l’ordine interno a ciascuna voce è cronologico. Gli articoli che riguardano temi diversi sono stati riportati più volte alle rispettive voci.
Ricordiamo che l’indice di AN degli anni 1990-91 è stato pubblicato sul numero 12/91, quello degli anni 1992-93-94 sul numero 12/94, quello degli anni 1995-96-97 sul numero 12/97, e quello degli anni 1998-99-2000-01 sul numero 12/01. Nel sito www.nonviolenti.org è contenuto l’intero archivio dei numeri di Azione nonviolenta dal 1996, con possibilità di ricerca per parola chiave.

AREA NONVIOLENTA

Movimento Nonviolento

Appuntamento a Ferrara dal 12 al 14 aprile: la nonviolenza è il varco attuale della storia, di Daniele Lugli, n1-2/02, p. 14
Da Ferrara, città delle bici, nasce la rivolta contro le auto, di Mao Valpiana, n. 3/02, p. 3
Verso il ventesimo Congresso Nazionale del Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini, di Pasquale Pugliese, n. 3/02, p. 4
L’area nonviolenta è un’opera d’arte. Dall’esperienza del primo GAN, al Movimento di oggi. Intervista a Daniele Lugli di Elena Buccoliero, n. 4/02, p. 4
Le Commissioni di lavoro del Congresso, n. 4/02, p. 12
Nonviolenti a Congresso per cercare il varco della storia, di Mao Valpiana, n. 5/02, p. 3
XX Congresso del Movimento Nonviolento. La nonviolenza è il varco attuale della storia, n. 5/02, p. 4
Le mozioni approvate, n. 5/02, p. 10
Suggestioni in margine al seminario “laicità, religione, nonviolenza”, di Enrico Pompeo, n. 7/02, p. 14
Campagna di obiezione/opzione di coscienza del/la cittadino/a, n. 10/04, p. 18
Verso il Congresso nazionale del Movimento Nonviolento, n. 11/03, p. 26
1964-2004, di Mao Valpiana, n. 1-2/04, p. 3
Teoria e pratica del Movimento Nonviolento: un’aggiunta specifica alla cultura della nonviolenza, di Raffaella Mendolia, n. 1-2/04, p. 8
Coordinamento Nazionale del Movimento Nonviolento. Verbale dell’incontro del 4 ottobre 2003 nella sede di Verona, n. 1-2/04, p. 42
Conoscere le montagne, conoscere la nonviolenza, n. 4/04, p. 26
Verso il 21° Congresso del Movimento Nonviolento, di Daniele Lugli, n. 5/04, p. 3
Visita ai luoghi simbolici dell’Europa pacifica e pacificatrice, di Mao Valpiana, n. 6/04, p. 3
Per una prospettiva politica della nonviolenza organizzata, di Luciano Capitini, n. 6/04, p. 26
Circondati da cose brutte, ricchi, grassi e infelici, di Marco Baleani, n. 7/04, p. 25
Un patrimonio culturale e di esperienza diretta a disposizione di tutti, di Mao Valpiana, n. 7/04, p. 3
Le prime azioni dirette nonviolente in Italia. Bisogna agire e studiare, con sacrificio e costanza. Intervista a Pietro Pinna, di Pasquale Pugliese e Luca Giusti, n. 7/04, p. 4
Nonviolenza è politica. Appuntamento a Gubbio,di Mao Valpiana, n. 8-9/04, p. 3
Le 10 commissioni del Congresso, n. 8-9/04, p. 4
Dibattito precongressuale. Dopo 150 anni finisce la naja obbligatoria: è un bene o un male? Un nuovo antimilitarismo nell’epoca degli eserciti professionisti, di Giuseppe Ramadori, n. 8-9/04, p. 14
Dibattito precongressuale. Andrò a Gubbio con molte speranze riposte negli amici della nonviolenza, di Alberto Trevisan, n. 8-9/04, p. 16
Campi estivi del Movimento Nonviolento. Borgo Pace: “Conoscere le montagne, conoscere la nonviolenza”, di Raffaella Mendolia, n. 8-9/04, p. 21
Campi estivi del Movimento Nonviolento. Cilento: “Pratiche nonviolente e conflitti in genere”, di Piercarlo Racca, n. 8-9/04, p. 21
Dibattito precongressuale. I nostri obiettivi per costruire una società sostenibile: meno armamenti, meno petrolio, meno automobili, di Pasquale Pugliese, n. 8-9/04, p. 22
Dibattito precongressuale. Educare alla nonviolenza oggi: uno sguardo d’insieme per un radicale cambiamento di vita, produzione e consumo, di Angela Dogliotti Marasso, n. 10/04, p. 16
Da Capitini a Gandhi, Da Perugia a Nuova Delhi, n. 10/04, p. 25
Da Gubbio un rinnovato impegno per il Movimento, di Daniele Lugli e Mao Valpiana, n. 12/04, p. 3
21° Congresso Nazionale del Movimento Nonviolento. Gubbio 1 novembre 2004, mozione politica generale, n. 12/04, p. 4
Dalla violenza del secolo scorso, alla necessità della nonviolenza per costruire la società planetaria di domani, di Marco Revelli, n. 12/04, p. 10
Lavoriamo assieme per l’alternativa possibile, di Paolo Candelabri, n. 12/04, p. 13
Il Movimento Nonviolento risponde a Marco Pannella, n. 12/04, p. 15
Il potere sta sulla canna della bici. Laboratori creativi di nonviolenza politica, n. 12/04, p. 16
Scelgo la nonviolenza. Campagna di Obiezione di Coscienza alla guerre e opzione nonviolenta per il disarmo economico e militare, di Piercarlo Racca, n. 1-2/05, p. 34
Assolti! Una vittoria di tutti. 12 febbraio 1991: blocco nonviolento del “treno della morte”; 24 febbraio 2005: assolti perché il fatto non sussiste, di Mao Valpiana, n. 3/05, p. 4
L’arte della nonviolenza. Un’esperienza formativa a Verona, dei volontari in Servizio civile al MN di Verona, n. 6/05, p. 20
Sandro Canestrini denunciato per istigazione. L’appassionata difesa dell’avvocato difensore, di Sandro Canestrini, n. 7/05, p. 15
Camminando sul Pasubio con la speranza nel cuore, di Massimiliano Pilati, n. 7/05, p. 18
A piccoli passi verso l’orizzonte disarmo, di Massimiliano Pilati, n. 8-9/05, p. 3
Il successo dei campi estivi nonviolenti, di autori vari, n. 10/05, p. 16
La Rete ecologista lancia il programma di governo, di Michele Boato, Gianozzo Pucci, Mao Valpiana, n. 11/05, p. 26

War Resisters International
Prigionieri per la pace:albo d’onore 2002, di Flavia Rizzi, n. 12/02, p. 4
Un diritto umano non riconosciuto: obiezione di coscienza nel Caucaso e in Asia Centrale, di Silke Makowski, n. 12/02, p. 6
La Giornata degli obiettori di coscienza. Sosteniamo i Refusenik israeliani!, di Andreas Speck, n. 4/03, p. 17
Prigionieri per la Pace: albo d’onore 2003, n. 12/03, p. 4
War Resisters International processata e condannata, n. 3/04, p. 27

Movimento Internazionale della Riconciliazione
Suggestioni in margine al seminario “laicità, religione, nonviolenza”, di Enrico Pompeo, n. 7/02, p. 14
Campagna di obiezione/opzione di coscienza del/la cittadino/a, n. 10/04, p. 18

Beati i costruttori di pace
Famiglie in rete per consumi leggeri, n. 4/02, p. 21
Lettera aperta dei “Beati costruttori di pace”, n. 8-9/03, p. 17

Fondazione Langer
Esperanza Martinez, Premio Langer 2002. salvare popoli e ambiente dai danni dell’oleodotto, n. 7/02, p. 13
Il premio Langer 2003 a Gabriele Bortolozzo, di Helmuth Moroder, n. 7/03, p. 15
Fundacja Progranicze. Premio Langer 2004, di Helmuth Moroder, n. 7/04, p. 13
“Euromediterranea” 2005 Bolzano, 1-3 luglio. Alexander Langer 1995-2005. Lentius, profundis, suavius. Srebrenica 2005, le ferite del silenzio, n. 6/05, p. 4
Irfanka Pasagic, Srebrenica/Tuzla. Premio Alexander Langer 2005, di Helmut Moroder, n. 6/05, p. 18

POLITICA E ATTUALITA’
Il Premio Nobel alternativo per la pace a Gush Shalom e ai coniugi Iuri e Rachel Avnery, n. 1-2/02 p.6
Le mille idee di Porto Alegre per opporsi alla guerra e costruire insieme l’unico mondo possibile, di Tiziana Valpiana, n. 3/02, p. 6
Azioni nonviolente:il fuorigioco del Chievo, di Alberto Tomiolo, n. 3/02, p. 15
La provocazione verbale incoraggia la violenza: la polizia e i no-global, Bush e Bin Laden, di Jerome Liss, n. 3/02, p. 12
Fermate il fuoco, separate i contendenti!, di Elena Buccoliero,n. 4/02, p. 16
Licenza globale di uccidere di Massimiliano Pilati, n. 4/02, p. 18
Poliziotti che ci picchiano. Poliziotti che ci difendono, di Alessandro Marescotti, n. 6/02, p. 9
Mille segnali di speranza nella politica italiana, n. 6/02, p. 21
Ottocento milioni di affamati. Che non fanno paura, di Gabriele Colleoni, n. 7/02, p. 7
Hai lasciato l’impronta? Sì, ma quella…ecologica, di Nanni Salio, n. 7/02, p. 12
A Praga in novembre un vertice sto-NATO per rilanciare gli investimenti nel settore militare, di Paolo Bergamaschi, n. 8-9/02, p. 16
Il vero volto del terrorismo non è quello che vediamo, di Mao Valpiana, n. 11/02, p. 3
La pace di Bozen. La vittoria di Bolzano, di Francesco Comina, n. 11/02, p. 17
Prigionieri per la pace:albo d’onore 2002, di Flavia Rizzi, n. 12/02, p. 4
Quando l’ulivo è davvero il simbolo della pace, di Franco Perna, n. 1-2/03, p. 11
In tre milioni, senza se e senza ma, per la pace, contro la guerra.Semplicemente, n. 3/03, p. 4
Televisione con l’elmetto e giornalisti obiettori, di Beppe Muraro, n. 3/03, p. 7
Noi, cittadini israeliani e palestinesi, ci opponiamo alla guerra contro l’Iraq, di Elena Buccoliero, n. 3/03, p. 8
La nuova Unione Europea e la guerra infinita del Congo, n. 7/03, p. 20
Mio fratello è morto nelle Torri. Era un americano innocente. Per questo oggi mi batto contro la guerra che fa strage di innocenti, intervista a Dawn Peterson a cura di Elena Buccoliero, n. 8-9/03, p. 10
L’11 settembre ci ha trasformati: prima abbiamo conosciuto la violenza e poi la capacità di superare l’odio. Da allora lavoriamo per un futuro di pace, dell’ Associazione Peaceful Tomorrows, n. 8-9/03, p. 12
Il Cile precipita nel baratro. La coraggiosa testimonianza di Salvador Allende: “Il nostro sacrificio non sarà vano”, n. 8-9/03, p. 14
Le conseguenze politiche dell’eccidio di Nassiriya. Le responsabilità morali e penali dei generali italiani, di Giuseppe Ramadori, n. 1-2/04, p. 24
A chi dare l’8 per mille? Chiesa, Stato, nessuno?, di Paolo Macina, n. 1-2/04, p. 28
Militari americani obiettano, soldati italiani disobbediscono. Gli eserciti che combattoni in Iraq cominciano ad avere dubbi…, di Giovanni Mandorino, n. 4/04, p. 10
Il diritto alla vita è reato!, di Annibale Paloscia, n. 4/04, p. 11
La difesa civile è entrata nel palazzo del Governo, di Diego Cipriani, n. 6/04, p. 9
Il sindacato si interroga sulla nonviolenza come metodo per affrontare i conflitti sociali, di Matteo Soccio, n. 8-9/04, p. 24
Gli orrori e i massacri si ripetono finché diventano normalità. Vivere quando è già troppo tardi, ma il sole tramonta lo stesso, di Chrostoph Baker, n. 10/04, p. 12
Morto un Papa(Karol Wojtyla)… Nunc dimittis, di Piero Stefani, n. 5/05, p. 6
…se ne fa un altro (Joseph Ratzinger). E se Ratzinger avesse qualche ragione?, di Alexander Langer, n. 5/05, p. 8
Sindacato e nonviolenza: un confronto di lavoro, di Rocco Pompeo, n. 7/05, p. 12
Le possibili alternative sostenibili all’alta velocità in Val di Susa, di Nanni Salio, n. 12/05, p. 4

XX Congresso del M.N. a Ferrara, 12-14 aprile 2002
Appuntamento a Ferrara dal 12 al 14 aprile: la nonviolenza è il varco attuale della storia, di Daniele Lugli, n1-2/02, p. 14
Verso il ventesimo Congresso Nazionale del Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini, di Pasquale Pugliese, n. 3/02, p. 4
Le Commissioni di lavoro del Congresso, n. 4/02, p. 12
Nonviolenti a Congresso per cercare il varco della storia, di Mao Valpiana, n. 5/02, p. 3
XX Congresso del Movimento Nonviolento. La nonviolenza è il varco attuale della storia, n. 5/02, p. 4
XX Congresso del Movimento Nonviolento. La nonviolenza è il varco attuale della storia, n. 5/02, p. 4
Le mozioni approvate, n. 5/02, p. 10

XXI Congresso del M.N. a Gubbio 29 ottobre – 1 novembre 2004
Verso il 21° Congresso del Movimento Nonviolento, di Daniele Lugli, n. 5/04, p. 3
Invito a Gubbio: in cammino per la nonviolenza, n. 6/03, p. 10
Convegno e festa a Gubbio il 6 e 7 settembre, di Mao Valpiana, n. 7/03, p. 3
Le 10 commissioni del Congresso, n. 8-9/04, p. 4
Dibattito precongressuale. Dopo 150 anni finisce la naja obbligatoria: è un bene o un male? Un nuovo antimilitarismo nell’epoca degli eserciti professionisti, di Giuseppe Ramadori, n. 8-9/04, p. 14
Dibattito precongressuale. Andrò a Gubbio con molte speranze riposte negli amici della nonviolenza, di Alberto Trevisan, n. 8-9/04, p. 16
Dibattito precongressuale. I nostri obiettivi per costruire una società sostenibile: meno armamenti, meno petrolio, meno automobili, di Pasquale Pugliese, n. 8-9/04, p. 22
Dibattito precongressuale. Educare alla nonviolenza oggi: uno sguardo d’insieme per un radicale cambiamento di vita, produzione e consumo, di Angela Dogliotti Marasso, n. 10/04, p. 16
Da Gubbio un rinnovato impegno per il Movimento, di Daniele Lugli e Mao Valpiana, n. 12/04, p. 3
21° Congresso Nazionale del Movimento Nonviolento. Gubbio 1 novembre 2004, mozione politica generale, n. 12/04, p. 4
Lavoriamo assieme per l’alternativa possibile, di Paolo Candelabri, n. 12/04, p. 13
Il Movimento Nonviolento risponde a Marco Pannella, n. 12/04, p. 15
Il potere sta sulla canna della bici. Laboratori creativi di nonviolenza politica, n. 12/04, p. 16

Centri di Orientamento Sociale
Ascoltare e parlare per partecipare dal basso alle scelte della politica.Esperienza del COS a Ferrara nell’immediato dopo guerra. Intervista a Daniele Lugli, di Elena Buccoliero, n. 10/05, p. 4
Una palestra di democrazia per dare potere ai cittadini, di Luciano Capitini, n. 10/05, p. 6

EDITORIALI
Il dolore della storia, nella storia di ognuno, di Elena Buccoliero, n. 1-2/02, p. 3
Nonviolenti a Congresso per cercare il varco della storia, di Mao Valpiana, n. 5/02, p. 3
La nonviolenza non va in vacanza, di Mao Valpiana, n. 7/02, p. 3
Le dieci parole della nonviolenza in cammino verso il lupo di Gubbio di Daniele Lugli e Mao Valpiana, n. 8-9/02 p. 3
Dopo averla tanto preparata ecco che arriva un’altra guerra di Mao Valpiana, n. 10/02, p. 3
Il vero volto del terrorismo non è quello che vediamo, di Mao Valpiana, n. 11/02, p. 3
Che siano un Natale e un Anno di pace per tutti. Senza la guerra, di Mao Valpiana, n. 12/02, p. 3
Abbiamo combattuto in Vietnam e nel Golfo, ora siamo obiettori di coscienza per la pace, n. 1-2/03, p. 3
Prendere l’uscita di sicurezza, prima che sia troppo tardi, di Mao Valpiana, n. 3/03, p. 3
La nuova speranza del mondo: fermare la prossima guerra!, di Mao Valpiana, n. 4/03, p. 3
La guerra è finita o infinita? Dipende solo da tutti noi, di Mao Valpiana, n. 5/03, p. 3
Convegno e festa a Gubbio il 6 e 7 settembre, di Mao Valpiana, n. 7/03, p. 3
Riparte da Gubbio il cammino per la nonviolenza, di Mao Valpiana, n. 8-9/03, p. 3
Il sentiero, lungo e bello, della politica nonviolenta, di Mao Valpiana, n. 10/03, p. 3
Avevo fame, avevo sete, ma ero un clandestino, di Mao Valpiana, n. 11/03, p. 3
I bambini ci guardano, ma noi non li vediamo, di Mao Valpiana, n. 12/03, p. 3
1964-2004, di Mao Valpiana, n. 1-2/04, p. 3
La sinistra fa i conti con la nonviolenza, di Mao Valpiana, n. 3/04, p. 3
Guerra e terrorismo. Siamo tutti complici, di Mao Valpiana, n. 4/04, p. 3
Mahatma on line. Gandhi e la pubblicità, di Mao Valpiana, n. 10/04, p. 3
La montagna di pace, in un oceano di guerra, di Nanni Salio, n. 11/04, p. 3
Da Gubbio un rinnovato impegno per il Movimento, di Daniele Lugli e Mao Valpiana, n. 12/04, p. 3
Trovare un nuovo abbonato: un’occasione di crescita reciproco, di Mao Valpiana, n. 1-2/05, p. 3
Verità e giustizia per le vittime della guerra, di Carlo Gubitosa e Alessandro Marescotti, n. 3/05, p. 3
Cecenia, una guerra ignorata anche dal movimento pacifista, di Paolo Bergamaschi, n. 4/05, p. 3
Appunti, spunti e riflessioni sul Papa della Chiesa cattolica, di Mao Valpiana, n. 5/05, p. 3
Dieci anni con Alex, dieci anni senza Alex, di Mao Valpiana, n. 6/05, p. 3
A piccoli passi verso l’orizzonte disarmo, di Massimiliano Pilati, n. 8-9/05, p. 3
Diga SIM à Vida, dì SI alla Vita!, di Giulilano Pontata, n. 10/05, p. 3
Il Referendum brasiliano ha bocciato l’abolizione del commercio di armi, di Graziano Costa, n. 11/05, p. 3
L’alta velocità si ferma davanti alla forza della Valle, di Mao Valpiana, n. 12/05, p. 3
Nelle banlieues francesi non c’è libertè, fraternité, égalité, di Christoph Baker, n. 12/05, p. 10
Dai sobborghi parigini una rivolta senza rivendicazioni, di Jean Marie Peticlerc, n. 12/05, p. 12

EDUCAZIONE ALLA PACE
“Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo”. Il diritto dei bambini ad usare le mani (e buttare il computer), di Gianfranco cavalloni, n. 7/03, p. 16
Quale il ruolo della nonviolenza per le persone disabili? 1993-2003: dalla prima mobilitazione all’Anno Europeo, di Alberto Trevisan, n. 1-2/04, p. 26
Educare alla nonviolenza oggi: uno sguardo d’insieme per un radicale cambiamento di vita, produzione e consumo, di Angela Dogliotti Marasso, n. 10/04, p. 16
Se vuoi la pace educa alla pace, n. 10/04, p. 18
Educare alla pace in tempi di guerra: conflitti planetari e diritti dei bambini, di Daniele Lugli, n. 7/05, p. 8
La cultura della violenza educa alla guerra. La cultura della nonviolenza educa alla pace, di Werner Wintersteiner, n. 11/05, p. 16

Le dieci parole della nonviolenza
Le dieci parole della nonviolenza in cammino verso il lupo di Gubbio di Daniele Lugli e Mao Valpiana, n. 8-9/02 p. 3
“Satyagraha, la Forza della Verità” , di Daniele Lugli, n. 10/02, p. 16
“Coscienza”, di Sandro Canestrini, n. 11/02, p. 14
“Amore”, di Lev Tolstoj, n. 12/02, p. 18
“Festa”, di Giuliana Martirani, n. 1-2/03, p. 4
“Sobrietà”,di Lidia Menapace, n. 1-2/03, p. 8
“Giustizia”, di Graziano Zoni, n. 3/03, p. 12
“Liberazione”, intervista a Padre Alex Zanotelli, n. 4/03, p. 14
“Il potere di tutti”, di Aldo Capitini, n. 5/03, p. 6
“Bellezza”, di Christoph Baker, n. 6/03, p. 6
“Persuasione”, di Pietro Pinna, n. 7/03, p. 4
Riparte da Gubbio il cammino per la nonviolenza, di Mao Valpiana, n. 8-9/03, p. 3
Pensieri, commenti, riflessioni di chi ha camminato. Immagini e sapori dal sentiero Assisi, Valfabbrica, Gubbio, di autori vari, n. 10/03, p. 14

Le dieci caratteristiche della personalità nonviolenta
1. Il ripudio della violenza, di Daniele Lugli, n. 1-2/05, p. 22
2. La capacità di identificare la violenza, di Andrea Cozzo, n. 3/05, p. 9
3. L’empatia, Di Luciano Capitini, n. 4/05, p. 21
4. Il rifiuto dell’autorità, di Lev Tolstoj, n. 5/05, p. 12
5. La fiducia negli altri, di Graziano Zoni, n. 6/05, p. 19
6. La disposizione al dialogo, di Elena Buccoliero, n. 7/05, p. 16
7. La mitezza, di Peppe Sini, n. 8-9/05, p. 22
8. Il coraggio, di Lidia Menapace, n. 10/05, p. 14
9. L’abnegazione, di M. K. Gandhi, n. 5/011, p. 14
10. La pazienza, di Mao Valpiana, n. 12/05, p. 18

CONVIVENZA INTERETNICA
Nella città “laboratorio della convivenza” è ri-scattata la trappola dell’etnicità. Intervista al professor Cole, di Riccardo Dello Sbarba, n. 11/02, p. 18
Risvegliare le nostre coscienze, uscire dalla casa del Faraone. Intervista a padre Giorgio Poletti, missionario comboniano, di Elena Buccoliero, n. 11/03, p. 4
Lo stesso sangue, lo stesso dolore, il medesimo futuro. Parents’ circe, l’associazione di famiglie israeliane e palestinesi, n. 11/03, p. 14
Scontro di civiltà? Dall’Islam a Prometeo, di Maia Buizza, n. 10/04, p. 9
Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica, di Alexander Langer, n. 6/05, p. 10
La nonviolenza nel passaggio alla società transculturale, di Pasquale Pugliese, n. 10/05, p. 8
Nelle banlieues francesi non c’è libertè, fraternité, égalité, di Christoph Baker, n. 12/05, p. 10
Dai sobborghi parigini una rivolta senza rivendicazioni, di Jean Marie Peticlerc, n. 12/05, p. 12

ONU
Dopo la guerra in Iraq, l’ONU è ad una svolta: morire o rinascere. In una nuova sede, a Gerusalemme, di Antonio Papisca, n. 5/03, p. 4
Nella globalizzazione selvaggia vince la legge del più forte. La via istituzionale alla pace per costruire un governo mondiale, di Padre Angelo Lavagna, n. 4/04, p. 16

Europa
Il contributo dell’ Europa alla soluzione dei conflitti. Diverse strategie di intervento per i movimenti per la pace, di Elena Buccoliero, n. 11/03, p. 10
Per un’Europa neutrale, disarmata, nonviolenta, n. 12/03, p. 11
Quale Europa sta nascendo? Su quali valori si deve fondare la sua Costituzione? Quale sarà il nostro futuro di cittadini europei?, n. 6/04, p. 4
Sulla questione delle origini cristiane. La Costituzione europea: più frutti e meno radici, di Maria Buizza, n. 3/05, p. 6
La Costituzione europea come scelta di pace, di Paolo Bergamaschi, n. 3/05, p. 8
L’Europa muore o rinasce a Sarajevo, di Alexander Langer, n. 6/05, p. 14

ESTERI

Asia
Un diritto umano non riconosciuto: obiezione di coscienza nel Caucaso e in Asia Centrale, di Silke Makowski, n. 12/02, p. 6
Balcani
L’obiezione di coscienza in Bosnia Herzegovina, di Denis Kajicù, n. 3/02, p. 14
I ponti uniscono, collegano, creano unità. Poi in guerra si abbattono. Il ponte di Mostar sta per essere ricostruito. Ma come?, intervista a Gilles Péqueux di Andrea Rossigni, n. 6/03, p. 12
Srebreniza dieci anni dopo, ripensare per non dimenticare, di Paolo Bergamaschi, n. 7/05, p. 3
Birmania
La campagna nonviolenta di San Suu Kyi, ispirata a Gandhi, per liberare Burma. I tiranni cadono sempre. Sempre, di Yeshua Moser Puangsuwan, n. 6/04, p. 12
Brasile
Le mille idee di Porto Alegre per opporsi alla guerra e costruire insieme l’unico mondo possibile, di Tiziana Valpiana, n. 3/02, p. 6
Un operaio Presidente che eredita il maggior debito sociale del mondo e promette “fame zero” in un “Brasile decente”: Luis Inacio Da Silva, di Gabriele Colleoni, n. 12/02, p. 14
Il Presidente Lula guida il Brasile da un anno, n. 11/03, p. 18
Diga SIM à Vida, dì SI alla Vita!, di Giulilano Pontata, n. 10/05, p. 3
Il Referendum brasiliano ha bocciato l’abolizione del commercio di armi, di Graziano Costa, n. 11/05, p. 3
Cecenia
Europa latitante in Cecenia. La guerra nascosta di Putin una tragedia nascosta da un silenzio interessato. Intervista a Olivier Dupuis, di Paolo Mozzo, n. 5/04, p. 10
Cecenia, una guerra ignorata anche dal movimento pacifista, di Paolo Bergamaschi, n. 4/05, p. 3
Il muro del silenzio è il peggior nemico della Cecenia. Parlate di noi, cercate di capire, aiutateci a vivere. Intervista a Seilam Behaev, di Elena Buccoliero, n. 4/05, p. 4
La storia dell’orso russo e della pulce cecena, n. 4/05, p. 8
La “soluzione finale”: i campi di filtraggio con tecniche naziste, n. 4/05, p. 9
Cina
Obiezione di coscienza e nonviolenza arrivano in Cina sulla cattedra dell’università, 15 anni dopo Tienanmen, Di WRI, n. 7/04, p. 14
Il conflitto fra Cina e Tibet: una prospettiva di soluzione, di Johan Galtung, n. 11/04, p. 16
Cipro
In Europa c’è ancora un muro che divide greci da turchi di Cipro. Il movimento pacifista deve farlo cadere con una spallata, di Paolo Bergamaschi, n. 6/04, p. 10
Colombia
Colombia. Nonviolenza attiva dei contadini e resistenza alla guerra. In un paese segnato dalla violenza, crescono le comunità di pace, di Vivien Sharples, n. 6/04, p. 14
Ecuador
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Ninfa Patiño, n. 1-2/05, p. 12
India
Viaggio nel buddismo del Ladakh, gente semplice, pacifica e spirituale, di Elsa Chaudhuri e Eliana Raggio, n. 11/04, p. 17
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Ratnaker Ghenga, n. 1-2/05, p. 18
Iraq
La guerra annunciata e il programma costruttivo, di Giovanni Scotto, n. 12/02, p. 21
Impressioni da Baghdad: un viaggio della Pace, di Riccardo Troisi e Francesco Vignarca, n. 1-2/03, p. 18
Noi, cittadini israeliani e palestinesi, ci opponiamo alla guerra contro l’Iraq, di Elena Buccoliero, n. 3/03, p. 8
Le conseguenze politiche dell’eccidio di Nassiriya. Le responsabilità morali e penali dei generali italiani, di Giuseppe Ramadori, n. 1-2/04, p. 24
Militari americani obiettano, soldati italiani disobbediscono. Gli eserciti che combattoni in Iraq cominciano ad avere dubbi…, di Giovanni Mandorino, n. 4/04, p. 10
Il diritto alla vita è reato!, di Annibale Paloscia, n. 4/04, p. 11
Iraq: il suicidio degli eroi e la caduta degli dei. Il nemico dentro. Quando Rambo si spara, di Paolo Fusar Poli, n. 10/04, p. 10
Kenia
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Mary Simat, n. 1-2/05, p. 10
Kosovo
Nel Kosovo dimenticato c’è chi vuole il dialogo, n. 8-9/04, p. 28
Nuova Zelanda
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Moana Sinclair, n. 1-2/05, p. 15
Israele-Palestina
La speranza è nella paura; paura di vedere un figlio trasformato in soldato dell’esercito israeliano, di Deby Birnbaum, n. 1-2/02 p. 4
Il Premio Nobel alternativo per la pace a Gush Shalom e ai coniugi Iuri e Rachel Avnery, n. 1-2/02 p. 6
Action for peace, in Palestina per la pace per far parlare i protagonisti locali, di Farshid Nourai, n. 1-2/02 p. 8
Fermate il fuoco, separate i contendenti!, di Elena Buccoliero,n. 4/02, p. 16
Israele e Palestina, c’è una proposta della nonviolenza?, a cura di Elena Buccoliero, n 5/02, p. 19
Intervista di un israeliano ad un palestinese: c’è posto per la nonviolenza in Medio Oriente?, intervista a Mubarak Avvad, n. 5/02, p. 24
Il movimento per la pace in Israele: obiettori di coscienza per la convivenza, di Francesca Ciarallo, n. 6/02, p. 10
Tra kamikaze e muri, tra palestinesi e israeliani, tenta di germogliare il seme della nonviolenza, di Noah Salameh, n. 7/02, p. 8
Il muro tra Israele e Palestina non risolverà il conflitto, di Adam Keller, n. 7/02, p. 11
Dopo un anno di combattimenti nei Territori Occupati, per noi sparare è diventato un orrendo gioco, a cura di Uri Blau, n. 8-9/02, p. 4
“Soldato, torna a casa”. Arabi ed ebrei insieme contro l’esercito occupante, di Adam Keller, n. 8-9/02, p. 14
Quando l’ulivo è davvero il simbolo della pace, di Franco Perna, n. 1-2/03, p. 11
Noi, cittadini israeliani e palestinesi, ci opponiamo alla guerra contro l’Iraq, di Elena Buccoliero, n. 3/03, p. 8
Amava vedere l’Oceano. E’ morta per fermare l’odio, n. 4/03, p. 13
La Giornata degli obiettori di coscienza. Sosteniamo i Refusenik israeliani!, di Andreas Speck, n. 4/03, p. 17
Sono un soldato ebreo. Mi sento sionista. Amo Israele. E per questo mi dichiaro obiettore, con “il coraggio di rifiutare”, di Elena Buccoliero, n. 5/03, p. 10
La scelta sionista fatta da ragazza e l’impegno pacifista. Un figlio morto. Il destino comune di israeliani e palestinesi. Intervista a Manuela Diviri, n. 7/03, p. 8
Padri e madri di Israele, voi che ancora potete: proteggete i vostri bambini dal mostro dell’odio, di Nurit Peled, n. 7/03, p. 12
Lo stesso sangue, lo stesso dolore, il medesimo futuro. Parents’ circe, l’associazione di famiglie israeliane e palestinesi, n. 11/03, p. 14
Lettera aperta a Abraham A.Yieshohua, riconoscere di aver bisogno dell’aiuto di tutti, a cura di Alberto Trevisan, n. 12/03, p. 6
La mia storia, la tua storia, il nostro futuro. Un gioco di ruolo per comprendere le ragioni del conflitto fra Israele e Palestina, di Elena Buccoliero, n. 12/03, p. 18
Cinque obiettori israeliani condannati ad un anno. Manifestazione di fronte al carcere militare, di Elena Buccoliero, n. 1-2/04, p. 20
Cresce la nonviolenza da una parte e dall’altra del muro, di Asma Haywood Franco Perna, n. 1-2/04, p. 22
Dobbiamo demistificare il conflitto tra Israele e Palestina. La sola, unica, speranza è ridare fiato alla politica. Intervista a Jeff Halper, di Elena Buccoliero, n. 5/04, p. 6
Come i pacifisti israeliani, palestinesi e internazionali evitano la demolizione delle case con la nonviolenza, di Elena Buccoliero, n. 5/04, p. 8
“Verità contro Verità” nel kibbutz e nel West Bank, di Franco Perna, n. 5/05, p. 4
Luci ed ombre del “Gandhi Project” per esportare la nonviolenza in Palestina, di Elena Buccoliero, n. 7/05, p. 4
Lo sciopero della fame delle detenute palestinesi, n. 7/05, p. 19
In Israele e Palestina la nonviolenza non è una soluzione, di Maria Chiara Troppa, n. 5/011, p. 12
Russia
Scorie radioattive e sottomarini nucleari: l’eredità inquinante della guerra fredda, di Paolo Bergamaschi, n. 12/02, p. 16
Gli orrori e i massacri si ripetono finché diventano normalità. Vivere quando è già troppo tardi, ma il sole tramonta lo stesso, di Chrostoph Baker, n. 10/04, p. 12
Sudamerica
Popoli indigeni e lotte di resistenza nonviolenta per affermare la propria identità e rispetto dei valori delle culture indios, di Giulia Allegrini, n. 1-2/05, p. 4
La nonviolenza è lo strumento a disposizione del popolo. La violenza è l’arma naturale dello Stato. L’azione nonviolenta è politica. Intervista a Chaiwat Satha-Anand, n. 1-2/05, p. 6
Tibet
La montagna di pace, in un oceano di guerra, di Nanni Salio, n. 11/04, p. 3
Trasformazione del conflitto in Nepal nella prospettiva dei diritti dell’uomo, di Johan Galtung, n. 11/04, p. 8
Il conflitto fra Cina e Tibet: una prospettiva di soluzione, di Johan Galtung, n. 11/04, p. 16
Uganda
Una guerra che dura da 18 anni e che ha causato 100.000 morti. Campagna pace in Uganda, di Pierangelo Monti, n. 3/05, p. 10
Usa
Quale futuro dopo il crollo dell’impero? Il fallimento della politica Usa. Un vuoto da riempire, di Johan Galtung, n. 10/04, p. 4
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a June Lorenzo, n. 1-2/05, p. 19
Una madre in lutto determinata a cambiare la politica americana. Intervista a Cindy Sheehan, di Tom Engel Hardt, n. 11/05, p. 6
Dalla disperazione alla speranza. Sogno l’America che si risveglia, di Cindy Sheehan, n. 5/011, p. 10NONVIOLENZA

Teoria della Nonviolenza
La rivoluzione nonviolenta di Danilo Dolci fatta di azioni e di parole. Un educatore poeta, di Germano Bonora, n.1- 2/02, p. 16
La nonviolenza è il varco attuale della storia? Intervista ad Adriano Sofri, di Elena Buccoliero e Mao Valpiana, n. 6/02, p. 3
Laicità della nonviolenza: Capitini è cristiano o no?, di Enrico Peyretti, n. 7/02, p. 16
Gandhi o la nonviolenza interiore del forte, di Remo de Ciocchis, n. 6/03, p. 3
La nonviolenza inista nella tecnologia: la riflessione capitiniana sul rapporto mezzi-fini, di Maria Buizza, n. 3/04, p. 10
Discuto la “religione aperta” di Aldo Capitini e il dogmatismo di un’apertura illimitata, di Enrico Antonielli, n. 3/04, p. 14
Psichiatria nonviolenta
Una terapia nonviolenta per convertire la sofferenza in opportunità di crescita e di esperienza liberatoria, di Elena Buccoliero, n1-2/02 p. 10
Ammettere il sogno dell’altro, farsi carico della sofferenza del diverso, per una psichiatria nonviolenta che vada al cuore del dolore mentale, di Paolo Rigliano, n. 8-9/03, p. 4
La violenza culturale, porta alla violenza strutturale, di Daniele Lugli, n. 8-9/03, p. 7
La nonviolenza personalizzata, che trasforma il paziente, di Michael Brühl, n. 8-9/03, p. 8
Giustizia
Giustizia, diritto e nonviolenza, amare la Legge, per migliorarla,di Daniele Lugli, n. 3/03, p. 15

TESTIMONI DI PACE

Aldo Capitini
Laicità della nonviolenza: Capitini è cristiano o no?, di Enrico Peyretti, n. 7/02, p. 16
Opere in versi di Aldo Capitini, filosofo, educatore, polemista gentile, maestro, di Alberto Tomiolo, n. 1-2/04, p. 4
Memoria di un profeta disarmato, lontano dal potere, ma impegnato nella politica, nella religione, nell’educazione, di Maria Buizza, n. 1-2/04, p. 10
La persuasione, la compresenza, l’omnicrazia: luoghi del comunicare nonviolento capitiniano, di Paolo Signori, n. 1-2/04, p. 12
“L’infinita apertura dell’anima”in Aldo Capitini, di Pietro Pinna, n. 3/05, p. 12
Danilo Dolci
La rivoluzione nonviolenta di Danilo Dolci fatta di azioni e di parole. Un educatore poeta, di Germano Bonora, n.1- 2/02, p. 16
In memoria di Danilo Dolci, poeta, educatore-maieuta, di Germano Bonora, n. 1-2/03, p. 14
L’arte poetica di Danilo Dolci, grande comunicatore del metodo maieutico, a cura di Germano Bonora, n. 12/03, p. 8
M.K. Gandhi
Gandhi o la nonviolenza interiore del forte, di Remo de Ciocchis, n. 6/03, p. 3
Mahatma on line. Gandhi e la pubblicità, di Mao Valpiana, n. 10/04, p. 3
San Francesco d’Assisi
Il Santo di Assisi e il Lupo di Gubbio, n. 5/02, p. 18
Una perizia psichiatrica per Francesco, figlio di Pietro Bernardone, di Cesare Persiani, n. 6/02, p. 6
Revisionismo storico per il povero Francesco, di Mao Valpiana, n. 10/04, p. 27
Don Lorenzo Milani
A ottant’anni dalla nascita del priore di Barbiana, di Giuseppe Barone, n. 5/03, p. 13
Alexander Langer
Dieci anni con Alex, dieci anni senza Alex, di Mao Valpiana, n. 6/05, p. 3
La conversione ecologica potrà fermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile, di Alexander Langer, n. 6/05, p. 6
Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica, di Alexander Langer, n. 6/05, p. 10
L’Europa muore o rinasce a Sarajevo, di Alexander Langer, n. 6/05, p. 14

Altri testimoni di pace
Il Premio Nobel alternativo per la pace a Gush Shalom e ai coniugi Iuri e Rachel Avnery, n. 1-2/02 p. 6
I guai dell’america di oggi, nelle parole di un pacifista di un secolo fa: Jane Addams, premio Nobel per la pace 1931, di Giovanna Provvidenti, n. 3/02, p. 10
Esperanza Martinez, Premio Langer 2002. salvare popoli e ambiente dai danni dell’oleodotto, n. 7/02, p. 13
La pace è nelle nostre mani. Noi proponiamo, Dichiarazione del Superiore Provinciale dei Comboniani alla conclusione della Carovana della Pace, n. 10/02, p. 14
Prigionieri per la pace:albo d’onore 2002, di Flavia Rizzi, n. 12/02, p. 4
Omaggio a don Ivan Illich, modernissimo antimodernista, di Giannozzo Pucci, n. 1-2/03, p. 12
Amava vedere l’Oceano. E’ morta per fermare l’odio, n. 4/03, p. 13
In ricordo di un caro amico: Enzo Melegari, obiettore, di Alberto Trevisan, n. 6/03, p. 15
Viaggio sui luoghi degli obiettori al nazismo (Josef Mayr-Nusser e Franz Jägerstätter), n. 6/06, p. 16
Un italiano dall’anima curda: Dino Frisullo, di Tiziana Valpiana, n. 7/03, p. 14
Il premio Langer 2003 a Gabriele Bortolozzo, di Helmuth Moroder, n. 7/03, p. 15
Il Cile precipita nel baratro. La coraggiosa testimonianza di Salvador Allende: “Il nostro sacrificio non sarà vano”, n. 8-9/03, p. 14
Claudio Miccoli, l’eccezione nonviolenta, di Francesco Ruotolo, n. 8-9/03, p. 24
Risvegliare le nostre coscienze, uscire dalla casa del Faraone. Intervista a padre Giorgio Poletti, missionario comboniano, di Elena Buccoliero, n. 11/03, p. 4
In memoria di Achille Croce, amico della nonviolenza, di Piercarlo Racca, n. 11/03, p. 16
Prigionieri per la Pace: albo d’onore 2003, n. 12/03, p. 4
I cinquant’anni di Emmaus, sempre dalla parte degli ultimi. Nostra intervista a Renzo Fior, Presidente Internazionale, di Elena Buccoliero e Mao Valpiana, n. 1-2/04, p. 14
Fecero un’azione diretta nonviolenta contro la guerra tre suore domenicane condannate e incarcerate, di Paolo Mozzo, n. 3/04, p. 6
Omaggio a Romesh Diwan, tributo alla mitezza economica, di Marco Gallicani, n. 3/04, p. 8
Norberto Bobbio, amico e compagno di Aldo Capitini. “Perplesso” della nonviolenza, maestro della democrazia civile, di Alberto L’Abate, n. 5/04, p. 14
Fundacja Progranicze. Premio Langer 2004, di Helmuth Moroder, n. 7/04, p. 13
La flebile voce di Elisa per raccontare la Shoah ai giovani. Il silenzio dei vivi. Il dolore del mondo. Il coraggio della memoria, di Elena Buccoliero, n. 10/04, p. 14
Piantare alberi contro la desertificazione e la disoccupazione femminile, di Giulia Allegrini, n. 11/04, p. 18
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Mary Simat, n. 1-2/05, p. 10
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Ninfa Patiño, n. 1-2/05, p. 12
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Moana Sinclair, n. 1-2/05, p. 15
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a Ratnaker Ghenga, n. 1-2/05, p. 18
Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Con la nonviolenza, che è femminile. Intervista a June Lorenzo, n. 1-2/05, p. 19
Il cammino della pace Premio Nazionale di Danilo Dolci, di Giulia Allegrini, n. 1-2/05, p. 24
Sul filo della memoria. Colloqui con Norberto Bobbio, di Laura Operti, n. 4/05, p. 10

OBIEZIONE DI COSCIENZA
L’obiezione di coscienza in Bosnia Herzegovina, di Denis Kajicù, n. 3/02, p. 14
Il movimento per la pace in Israele: obiettori di coscienza per la convivenza, di Francesca Ciarallo, n. 6/02, p. 10
Storia parallela dell’obiezione: la riforma parlamentare, di Sergio Albesano, n. 7/02, p.22
Dopo un anno di combattimenti nei Territori Occupati, per noi sparare è diventato un orrendo gioco, a cura di Uri Blau, n. 8-9/02, p. 4
Quando gli obiettori volevano abolire l’esercito, di Sergio Albesano, n. 8-9/02, p. 23
Campagna di obiezione/opzione di coscienza del/la cittadino/a, n. 10/04, p. 18
La legge sull’obiezione ferma in Italia, passa in Europa,di Sergio Albesano, n. 10/04, p. 24
1972-2002: dall’obiezione di coscienza al servizio civile, 30 anni dopo. Quale futuro per il servizio civile? Quale futuro per l’obiezione di coscienza?, di Matteo Soccio, n. 11/02, p. 4
Diario di un’obiezione dal carcere militare, di Alberto Trevisan, n. 11/02, p. 13
Un diritto umano non riconosciuto: obiezione di coscienza nel Caucaso e in Asia Centrale, di Silke Makowski, n. 12/02, p. 6
197-2002: l’obiezione di coscienza e il servizio civile volontario nelle parole di alcuni obiettori nonviolenti, a cura di Elena Buccoliero; n. 11/02, p. 8
Così, trent’anni fa, scrivevamo su queste stesse pagine, n. 12/02, p. 11
La guerra di Piero. L’intervista a Pietro Pinna, n. 12/02, p. 12
Quando gli obiettori andavano all’estero, di Sergio Albesano, n. 12/02, p. 23
Abbiamo combattuto in Vietnam e nel Golfo, ora siamo obiettori di coscienza per la pace, n. 1-2/03, p. 3
Obiettori totali e obiettori riabilitati, n. 1-2/03, p. 24
Noi, cittadini israeliani e palestinesi, ci opponiamo alla guerra contro l’Iraq, di Elena Buccoliero, n. 3/03, p. 8
Tanti obiettori in esubero per una Legge da riformare, n. 3/03, p. 25
La Giornata degli obiettori di coscienza. Sosteniamo i Refusenik israeliani!, di Andreas Speck, n. 4/03, p. 17
Dalla piccola Pieve di Barbiana alla maestosità della Basilica di San Pietro, di Alberto Trevisan, n. 4/03, p. 18
Quando gli obiettori scoprirono un nuovo alleato: Giulio Andreotti, n. 4/03, p. 25
Sono un soldato ebreo. Mi sento sionista. Amo Israele. E per questo mi dichiaro obiettore, con “il coraggio di rifiutare”, di Elena Buccoliero, n. 5/03, p. 10
Quando il Parlamento voleva fare a pezzi l’obiezione, n. 5/03, p. 23
1996: più obiettori che posti di servizio, n. 11/03, p. 22
Obiettori totali e disertori per la libertà individuale, n. 12/03, p. 22
Cinque obiettori israeliani condannati ad un anno. Manifestazione di fronte al carcere militare, di Elena Buccoliero, n. 1-2/04, p. 20
Ancora processi e condanne per gli obiettori del 1996, n. 1-2/04, p. 36
1997, un anno positivo per l’obiezione di coscienza, n. 5/04, p. 24
Obiezione di coscienza e nonviolenza arrivano in Cina sulla cattedra dell’università, 15 anni dopo Tienanmen, Di WRI, n. 7/04, p. 14
Libertà di pensiero dopo 25 anni, n. 7/04, p. 22
Dopo 150 anni finisce la naja obbligatoria: è un bene o un male? Un nuovo antimilitarismo nell’epoca degli eserciti professionisti, di Giuseppe Ramadori, n. 8-9/04, p. 14

SERVIZIO CIVILE
1972-2002: dall’obiezione di coscienza al servizio civile, 30 anni dopo. Quale futuro per il servizio civile? Quale futuro per l’obiezione di coscienza?, di Matteo Soccio, n. 11/02, p. 4
Pari opportunità: volontarie civili e volontarie militari. Le donne disertano le caserme e optano per la società civile, di Paolo Macina, n. 3/04, p. 4
Il servizio civile fatto a pezzi, n. 3/04, p. 26

PACE E DISARMO
Dibattito
Action for peace, in Palestina per la pace per far parlare i protagonisti locali, di Farshid Nourai, n. 1-2/02 p. 8
Le alternative alla guerra stanno dalla parte della pace, di Gianni Scotto, n. 1-2/02, p. 23
L’antimilitarismo socialista dei proletari in divisa, n. 1-2/02, p. 24
Le mille idee di Porto Alegre per opporsi alla guerra e costruire insieme l’unico mondo possibile, di Tiziana Valpiana, n. 3/02, p. 6
Una politica attiva di pace e possibile anche in Italia?, di Gianni Scotto, n. 3/02, p. 20
Licenza globale di uccidere di Massimiliano Pilati, n. 4/02, p. 18
Quelle guerre lontane, sconosciute, dimenticate, che ci passano accanto, tra i vicini di casa, n. 7/02, p. 18
A Praga in novembre un vertice sto-NATO per rilanciare gli investimenti nel settore militare, di Paolo Bergamaschi, n. 8-9/02, p. 16
Dopo averla tanto preparata ecco che arriva un’altra guerra di Mao Valpiana, n. 10/02, p. 3
Nel rispetto della Costituzione che ripudia la guerra, mettiamo la pace al centro della politica, n. 10/02, p. 4
La guerra è il più grande crimine contro l’umanità. Solo la nonviolenza può contrastare la guerra, di Peppe Sini, n. 10/02, p. 6
La pace è nelle nostre mani. Noi proponiamo, Dichiarazione del Superiore Provinciale dei Comboniani alla conclusione della Carovana della Pace, n. 10/02, p. 14
In tre milioni, senza se e senza ma, per la pace, contro la guerra. Semplicemente, n. 3/03, p. 4
Difendere l’articolo 11. Ripudiare la guerra, di Daniele Lugli, n. 3/03, p. 17
La nuova speranza del mondo: fermare la prossima guerra!, di Mao Valpiana, n. 4/03, p. 3
Le vere ragioni di una guerra annunciata: una società “tossicodipendente” dal petrolio, n. 4/03, p. 4
Quali strumenti non simbolici contro la guerra? Alcuni modi concreti per prevenire la prossima crisi, di Marinella Correggia, n. 4/03, p. 6
Il movimento “ No War”: poeti, attori, chicanos, religiosi e l’opinione pubblica dell’altra America, spine nel fianco di Bush, di Gabriele Smussi, n. 4/03, p. 10
Mio fratello è morto nelle Torri. Era un americano innocente. Per questo oggi mi batto contro la guerra che fa strage di innocenti, intervista a Dawn Peterson a cura di Elena Buccoliero, n. 8-9/03, p. 10
L’11 settembre ci ha trasformati: prima abbiamo conosciuto la violenza e poi la capacità di superare l’odio. Da allora lavoriamo per un futuro di pace, dell’ Associazione Peaceful Tomorrows, n. 8-9/03, p. 12
Per la sicurezza europea, addio alle armi, di Daniele Lugli, n. 8-9/03, p. 16
Lettera aperta dei “Beati costruttori di pace”, n. 8-9/03, p. 17
Camminare assieme è meglio che camminare da soli. Salire sulle colline per vedere più ampiamente l’orizzonte, di Daniele Lugli, n. 10/03, p. 4
Incontrare il lupo, dentro e fuori di noi. Imparare a sognare. Riconvertire l’economia. Disarmare. Vivere una vita felice., di Nanni Salio, n. 10/03, p. 6
Il contributo dell’ Europa alla soluzione dei conflitti. Diverse strategie di intervento per i movimenti per la pace, di Elena Buccoliero, n. 11/03, p. 10
Lo stesso sangue, lo stesso dolore, il medesimo futuro. Parents’ circe, l’associazione di famiglie israeliane e palestinesi, n. 11/03, p. 14
Per un’Europa neutrale, disarmata, nonviolenta, n. 12/03, p. 11
Dibattito precongressuale. I nostri obiettivi per costruire una società sostenibile: meno armamenti, meno petrolio, meno automobili, di Pasquale Pugliese, n. 8-9/04, p. 22
Pacifismo e nonviolenza? Un dibattito sul nostro sito, n. 8-9/04, p. 26
Ma quanto ci costano le armi? Come impoverirsi ed essere meno sicuri, di Raffele Barbiero, n. 7/05, p. 6
Exa condannata alla riconversione, di Andrea Trentini, n. 7/05, p. 21
A piccoli passi verso l’orizzonte disarmo, di Massimiliano Pilati, n. 8-9/05, p. 3
Più forte che la bomba, di Daniele Lugli, n. 8-9/05, p. 4
Vendere armi e bloccare lo sviluppo: è stata questa la strategia globale?, di Alberto Castagnola e Riccardo Troisi, n. 8-9/05, p. 6
Armi leggere italiane, sparse nel mondo, di Elisa Lagrasta, n. 8-9/05, p. 10
Campagna “Control Arms”, di Riccardo Troisi, n. 8-9/05, p. 12
Economia in crisi, ma non per le armi, di Giorgio Beretta, n. 8-9/05, p. 14
Come le mine, peggio delle mine: bisogna fermare il massacro, di Simona Feltrami, n. 8-9/05, p. 16
Abolition Now! Liberi dalle armi nucleari, di Lisa Clark, n. 8-9/05, p. 17
Disarmare Dio e l’uomo: i cristiani e gli armamenti, di Fabio Corazzina, n. 8-9/05, p. 18
I conflitti dimenticati, di Maurizio Simoncelli, n. 8-9/05, p. 20
Corpi Civili di Pace
L’Europa della difesa comune e dei mercanti d’armi, non vuole far nascere il Corpo Civile Europeo di Pace, di Paolo Bergamaschi, n. 3/02, p. 8
In Italia il meeting annuale dell’European Network for Civil Peace Services, di Karl Giacinti e Alessandro Rossi, n. 6/02, p. 12
Realizzare in Europa una forza di difesa nonviolenta. Chiedere la costituzione dei Corpi Civili di Pace, di Gianni Tamino, n. 10/03, p. 10
Una politica di prevenzione e di trasformazione nonviolenta dei conflitti: il lungo cammino dei Corpi Civili di Pace Europei, di Giulia Allegrini, n. 4/04, p. 4
Chiese e movimenti ecclesiastici
L’azione ecclesiale nonviolenta per gli immigrati di Castel Volturno, n. 11/03, p. 8
Convertirsi alla nonviolenza? Credenti e non credenti si interrogano su laicità, religione e nonviolenza, a cura di Matteo Soccio, n. 12/03, p. 12
Fecero un’azione diretta nonviolenta contro la guerra tre suore domenicane condannate e incarcerate, di Paolo Mozzo, n. 3/04, p. 6
Viaggio nel buddismo del Ladakh, gente semplice, pacifica e spirituale, di Elsa Chaudhuri e Eliana Raggio, n. 11/04, p. 17
Appunti, spunti e riflessioni sul Papa della Chiesa cattolica, di Mao Valpiana, n. 5/05, p. 3
Morto un Papa(Karol Wojtyla)… Nunc dimittis, di Piero Stefani, n. 5/05, p. 6
…se ne fa un altro (Joseph Ratzinger). E se Ratzinger avesse qualche ragione?, di Alexander Langer, n. 5/05, p. 8
Il guerriero sconfitto dalla storia, di Marcello Veneziani, n. 5/05, p. 10
Una santificazione mediatica, di Lucio Garofano, n. 5/05, p. 11

RUBRICHE
Storia (a cura di Sergio Albesano)
L’antimilitarismo socialista dei proletari in divisa, n. 1-2/02, p. 24
Quando i socialisti erano antimilitaristi e pacifisti, n. 3/02, p. 21
L’antimilitarismo ai tempi del fascismo, n. 04/05, p. 24
L’antimilitarismo italiano durante il ventennio fascista, n. 6/02, p. 22
Storia parallela dell’obiezione: la riforma parlamentare, n. 7/02, p. 22
Quando gli obiettori volevano abolire l’esercito, n. 8-9/02, p. 23
La legge sull’obiezione ferma in Italia, passa in Europa, n. 10/04, p. 24
Quando gli obiettori andavano all’estero, n. 12/02, p. 23
Obiettori totali e obiettori riabilitati, n. 1-2/03, p. 24
Tanti obiettori in esubero per una Legge da riformare, n. 3/03, p. 25
Quando gli obiettori scoprirono un nuovo alleato: Giulio Andreotti, n. 4/03, p. 25
Quando il Parlamento voleva fare a pezzi l’obiezione, n. 5/03, p. 23
1996: un anno importante per l’obiezione di coscienza, n. 6/03, p. 23
I testimoni di Geova e il servizio civile, n. 7/03, p. 26
Claudio Miccoli, l’eccezione nonviolenta, di Francesco Ruotolo, n. 8-9/03, p. 24
La lunga lotta contro le precettazioni, n. 10/03, p. 23
1996: più obiettori che posti di servizio, n. 11/03, p. 22
Obiettori totali e disertori per la libertà individuale, n. 12/03, p. 22
Ancora processi e condanne per gli obiettori del 1996, n. 1-2/04, p. 36
Il servizio civile fatto a pezzi, n. 3/04, p. 26
La riforma ulivista del servizio civile, n. 4/04, p. 25
1997, un anno positivo per l’obiezione di coscienza, n. 5/04, p. 24
La nuova Legge di riforma sull’obiezione di coscienza, n. 6/04, p. 24
Libertà di pensiero dopo 25 anni, n. 7/04, p. 22
In viaggio nel Far West verso gli indiani delle praterie, n. 8-9/04, p. 31
La danza del sole degli indiani Sioux, n. 10/04, p. 24
Ritratti per raccontare la dignità dei Com’anche, n. 11/04, p. 24
Il declino degli indiani e di un loro grande amico, n. 12/04, p. 24

Cinema (a cura di Flavia Rizzi)
Momo alla conquista del tempo, di Enzo Dalò, Italia 2001, n. 1 -2/02, p. 20
Hijos-figli, di Marco Bechis, n. 3/02, p. 22
Come Harry divenne un albero, di Goran Paskaljevic, n. 4/02, p. 20
L’ora di religione, di Marco Bellocchio, Italia 2001, n. 6/02, p. 18
Bloody Sunday di Paul Greengrass, Gran Bretagna-Irlanda 2001, n. 7/02, p. 26
11’09’’01- September 11, di Y. Chahaine,etc. , Francia 2002, n. 10/02, p. 22
Il figlio, di Luc e Jea-Pierr Dardenne, n. 11/02, p. 25
Bowling a Colombine, di Michael Moore, USA 2002, n. 12/02, p. 26
Amen,di Costa Gravas, n. 1-2/03, p. 20
Il pianista, di Roman Polanski, n. 1-2/03, p. 20
Essere e avere ( etre et avoir ), di Nicolas Philibert, Francia 2002, n. 3/03, p. 24
Sweet Sixteen, di Ken Loach, Gran Bretagna 2002, n. 4/03, p. 24
Anche ad Hollywood sono tutti anti-americani?, n. 5/03, p. 21
Ararat, di Atom Egoyan, Canada 2003, n. 6/03, p. 21
I lunedì al sole, di Fernando Leon de Aranoa, n. 7/03, p. 21
Cinema per la pace, la biennale di Pisa, n. 8-9/03, p. 19
I film dell’acqua al Festival dei Popoli, n. 11/03, p. 19
Elephant, Di Gus Van Sant, Usa 2003, n. 12/03, p. 20
Piovono mucche, di Luca Vendruscolo, Italia 1996, n. 1-2/04, p. 32
Quattro registi italiani raccontano una Storia, di Mauro Caron, n. 3/04, p. 23
Rosenstrasse, di Margarethe Von Trotta, Germania/Olanda 2003, n. 4/04, p. 23
In my country, di J.Boorman, Gran Bretanga 2003, n. 7/04, p. 21
Il Rosenstrasse, di Margarethe Von Trotta, Germania/Olanda 2003, n. 8-9/04, p. 33
Fahrenheit 9/11, di Michael Moore, Usa 2004, n. 10/04, p. 22
Private, di Saverio Costanzo, Italia 2004, n. 11/04, p. 23
La profezia delle ranocchie, di Jacques Remy-Girerd, Francia 2004, n. 12/04, p. 22
Tutto il bene del mondo (un mundo menos peor), di A. Agresti, Argentina 2004, n. 1-2/05, p. 27
Camminando sull’acqua (Walk on Water), di E. Fox, Israele 2004, n. 1-2/05, p. 27
Alla luce del sole, di Roberto Faenza, n. 3/05, p. 22
Hotel Rwanda, Di Terry Gorge, Canada – Gran Bretagna – Italia – Sudafrica 2004, n. 4/05, p. 26
Non desiderare la donna d’altri, di Susanne Bier, Danimarca 2004, n. 5/05, p. 19
Saimir, di Francesco Munzi, Italia 2004, n. 6/05, p. 22
La sposa siriana, di Eran Rikliss, Francia – Germania – Israele 2004, n. 8-9/05, p. 24
La vita segreta delle parole, di Isabel Coixet, Spagna 2005, n. 10/05, p. 24
La rosa bianca, di Marc Rothemund, Germania 2005, n. 12/05, p. 20

Libri (a cura di Sergio Albesano)
Pietro Polito, L’eresia di Aldo Capitini, ed. Stylos, Aosta 2001, n. 1-2/02, p. 26
Mimmo Cortese e Roberto Cucchini, La forza lieve di Mimmo Cortese, ed. La Meridiana 2001, n. 3/02, p. 23
Chiwat Satha-Anad, Islam e nonviolenza, ed. Gruppo Abele, Torino 1997, n. 4/02, p. 26
Jacques Sémelin, La nonviolenza spiegata ai giovani, ed. archinto, Milano 2001, n. 4/02, p. 26
Pat Patfoort, Io voglio, tu non vuoi. Manuale di educazione nonviolenta, EGA, Torino 2001, n. 6/02, p. 23
F. Scaparro, Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni alternative delle controversie, Guerini e associati, Milano 2001, n. 6/02, p. 23
Flavio F. Menardi Noguera, Rescountar Castelmagno, 2002, n. 7/02, p. 27
A. Dogliotti, Trieste, Istituto per l’ambiente e l’educazione Scholé Futuro, 2001, n. 7/02, p. 27
“Discussioni” 1949-1953, ed. Quodlibet, Macerata 1999, n. 8-9/02, p. 24
D. Melodia, Introduzione al Cristianesimo Pacifista, n. 8-9/02, p. 24
L. Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, ed. Emi 2002
Simone Weil, Sui conflitti e sulla guerra, ed. Centro di ricerca nonviolenta, Brescia 2001, n. 11/02, p. 27
R. Morozzo Della Rocca, Mozambico. Una pace per l’ Africa, ed. Leonardo International, Milano 2002, n. 1-2/03, p. 25
Wolfgang Sachs, Ambiente e giustizia sociale, ed. Riuniti, Roma 2002, n. 3/03, p. 26
J.Hill, Ognuno può fare la differenza, ed. Corbaccio, Milano 2002, n. 4/03, p. 26
A.Castelli, Una pace da costruire, Franco Angeli editore, Milano 2002, n. 4/03, p. 26
Ekrippen Dorff, L’arte di non essere governati, politica etica da Socrate a Mozart, Fazi editore, Roma 2003, n. 6/03, p. 25
M.Pallante, La ricchezza ecologica, Manifesto libri, Roma 2003, n. 7/03, p. 27
E.Euli, M.Pallante (a cura di), Guida all’azione diretta nonviolenta, Consorzio Altra Economia Edizioni/Editrice Berti, Milano/Piacenza 2002, n. 8-9/03, p. 25
AA.VV., Obiazione alla violenza. Servizio all’uomo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003, n. 10/03, p. 25
AA.VV., Cecenia. Nella morsa di un impero, Gerini e associati, 2003, n. 11/03, p. 23
V.Lanternari, Ecoantropologia, Edizioni Dedalo, Bari 2003, n. 11/03, p. 23
M.Lanfranco e M.G.Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003, n. 12/03, p. 24
E.Liotta, Le solitudini nella società globale, La Piccola editrice, Celleno 2003, n. 12/03, p. 24
Caritas Diocesana di Trento, Questione di stile di vita, Vita Trentina editrice, Trento 2003, n. 12/03, p. 25
N.Capovilla, E.Tusset, Aquiloni preventivi, Michele Di Salvo Editore, Napoli 2003, n. 1-2/04, p. 38
J.Hill, Ognuno può fare la differenza, ed. Corbaccio, Milano 2002, n. 1-2/04, p. 38
AA.VV., Persone e comunità, Cunittà Aperta Edizioni, Troina EN 2003, n. 1-2/04, p. 39
N.Roosen, F.Van Der Hoff, L ’avventura del commercio equo e solidale, Feltrinelli, Milano 2003, n. 5/04, p. 25
W.Wink, Rigenerare i poteri, discernimento e resistenza in un mondo di dominio, EMI, Città di Castello PG 2003, n. 6/04, p. 25
Z.Sovilla, Bicicrazia. Pedalare per la libertà, Nonluoghi Libere Edizioni, n. 7/04, p. 23
M.B.Rosenberg, Le parole sono finestre, Edizioni Esserci 2003, n. 7/04, p. 23
AA.VV., Un tè a Ramallah, diario di sei mesi di interposizione pacifica in Palestina, Editrice Berti, Piacenza, n. 7/04, p. 23
P.P. Poggio, La crisi ecologica: origini, rimozioni, significati, Jaca Book, Milano 2003, n. 8-9/04, p. 34
E. Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, ed. La Meridiana, Molfetta (BA) 2004, n. 8-9/04, p. 34
F. Faloppa, Parole contro, Garzanti, Milano 2004, n. 11/04, p. 26
A. Croce, I mezzi della pace, Editoria Universitaria, Venezia 2004, n. 12/04, p. 25
l. Bettazzi, Giovani per la pace, La Meridiana, Molfetta (BA) 2004, n. 12/04, p. 25
A. Cozzo, Conflittualità nonviolenta, Mimesis, Milano 2004, n. 1-2/05, p. 31
J. Liss, L’ascolto profondo, La Meridiana, Molfetta 2004, n. 1-2/05, p. 31
M. Pallante, Un futuro senza luce? Come evitare i black out senza costruire nuove centrali, Ed. Riuniti, Roma 2004, n. 3/05, p. 24
F. Pugliese, I giorni dell’arcobaleno, Grafiche Future, Matterello (TN) 2004, n. 3/05, p. 24
M. Angelici, M. C. Basadonne, S. Rossi, Parole per leggere luoghi, Centro Culturale Peppo Dachà, Montoggio (GE) 2004, n. 3/05, p. 24
A. Chiara, D. Cipriani, L. Liverani (a cura di), Voci sull’obiezione, ed. La Meridiana, Molfetta (BA) 2004, n. 3/05, p. 25
J. Hilal, I. Pappe, Parlare con il nemico, Bollati Boringhieri, Torino 2004, n. 4/05, p. 30
AA.VV., Pace non è solo assenza di guerra ma dove la vita fiorisce, Marea (GE) 2004, n. 4/05, p. 30
“Valori”, Mensile di economia sociale e finanza etica, n. 4/05, p. 30
D. Calì e E. Daviddi, Mi piace il cioccolato, Zoolibri Commercio Alternativo, n. 4/05, p. 30
A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza, Ed. Ets, Pisa 2004, n. 5/05, p. 22
J. M. Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Ed. Plus, Pisa 2004, n. 5/05, p. 22
L. Pota, AAA Obiettrice cercasi, Ed. Berti, Piacenza 2004, n. 5/05, p. 22
E. Drewermann, La guerra è la malattia. Non la soluzione, Claudiana, Torino 2005-11-03, n. 6/05, p. 26
E. Peyretti, Dov’è la vittoria?, il Segno dei Gabrielli ed., Verona 2005, n. 6/05, p. 26
A. Manzi, E venne il sabato, Gorèe, Iesa 2005, n. 6/05, p. 27
A. Schlummberger, 50 piccole cose da fare per salvare il mondo e risparmiare denaro, Apogeo Milano 2005, n. 6/05, p. 27
A. Trevisan, Ho spezzato il mio Fucile, EDB, Bologna 2005, n. 7/05, p. 23
C. Piccioni, Semplicità volontaria. Come inquinare e consumare di meno, Edizioni Età Dell’Acquarioi, Torino 2003, n. 7/05, p. 23
M. Zucchetti, Il male invisibile sempre più visibile, Odradek, Roma 2005, n. 10/05, p. 26
M. Ferro, La guerra è stupida, Vieennepierre ed., Milano 2005, n. 10/05, p. 26

Musica (a cura di Paolo Predieri)
Concerti e canzoni per la pace, in America e in Italia, n. 1-2/02, p. 21
Mille papaveri rossi nell’isola che non c’è. Canzoni italiane per la pace, non solo contro la guerra, n. 3/02, p. 24
Mille papaveri rossi. La pace nella canzone italiana, n. 4/02, p. 22
Pace, amore e rock’n’roll, di Mao Valpiana, n. 6/02, p. 16
Punk, rock, anarchia e pacifismo. Crass: da consumare entro il 1984, di Marco Pandin, n. 7/02, p. 24
La ballata del secolo breve. Incontro di Giovanna Marini, n. 10/02, p. 23
La sua chitarra non suona più…eppure il vento soffia ancora, n. 11/02, p. 24
Canzoni, poesie e concerti contro la guerra annunciata, n. 12/02, p. 27
Immagina un cantautore ministro della cultura,… n. 1-2/03, p. 21
Se possiamo cantare insieme possiamo anche vivere insieme, n. 3/03, p. 22
Le canzoni per la pace contro le armi della guerra, n. 4/03, p. 21
Mi sento disarmato e canto “Il disertore”, n. 5/03, p. 22
La memoria delle canzoni, un antidoto contro la guerra, n. 6/03, p. 22
Canto e faccio musica perché spero in un mondo migliore. Intervista impossibile a Luigi Tenco, che non è invecchiato, n. 7/03, p. 24
Ricky Gianco: suono e canto contro questo imperialismo, n. 10/03, p. 24
“Se tutte le ragazze e i ragazzi del mondo si dessero la mano”, Sergio Endrigo contro la guerra, tra musica e poesia, n. 11/03, p. 20
L’impegno degli U2 per la pace a Sarajevo, n. 12/03, p. 21
Che bella cosa ” ‘na jurnata ‘e sole”, anche se fuori piove a dirotto, n. 1-2/04, p. 34
Gilberto Gil e i figli di Gandhi colorano il forum sociale Mumbai, n. 3/04, p. 24
Dall’Ariston di Sanremo all’Ariston di Mantova, n. 4/04, p. 24
Canzoni e nonviolenza da Viadana all’Europa, n. 5/04, p. 23
Ha cantato la pace, la fatica e la gioia dei contadini siciliani, n. 6/04, p. 23
Faccio nonviolenza con un’armonica blues, n. 7/04, p. 20
Bagliori estivi. Inni di pace, n. 8-9/04, p. 32
Satyagraha, un’opera di Glass su Gandhi, n. 10/04, p. 23
Il Messia di Händel. Principe della Pace, n. 11/04, p. 25
Con la voce e la chitarra canto l’Amore per la vita, n. 12/04, p. 23
Boris Vian, storia di un disertore, n. 1-2/05, p. 28
Con la riforma scolastica la musica è finita…, n. 3/05, p. 23
Immagina che tutti vivano la vita in pace, di Mao Valpiana, n. 4/05, p. 27
Rispettare le differenze, ricercare ciò che unisce. Per un’educazion e musicale nonviolenta, n. 5/05, p. 14
Comprensione musicale come veicolo di pace, di Alessandro Di Paola, n. 6/05, p. 24
Musiche, lingue, culture diverse riunite in un unico grande coro, n. 8-9/05, p. 26
Omaggio a Sergio Endrigo, musicista e poeta che ripudiava la guerra e coltivava la curiosità, n. 10/05, p. 22
Non c’è rivoluzione senza canzoni. La musica sulle barricate. Dalla Marsigliese all’Internazionale fino a El Pueblo Unido…, n. 11/05, p. 24
Nobel e Premi agli artisti per la pace, n. 12/05, p. 23

Economia (a cura di Paolo Macina)
Banca etica compie tre anni e presenta il bilancio, n. 1-2/02, p. 22
Quali sponsor per le Olimpiadi di Torino 2006?, n. 3/02, p. 19
La mostruosità di una mostra d’armi…, n. 4/02, p. 25
Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, n. 6/02, p. 19
Quelle guerre lontane, sconosciute, dimenticate, che ci passano accanto, tra i vicini di casa, n. 7/02, p. 18
Quale economia nonviolenta nelle nostre associazioni? n. 8-9/02, p. 22
Cos’hanno in comune Letizia Moratti e Chicco Testa?, n. 10/02, p. 21
Cosa sta succedendo al mercato delle banane?, n. 11/02, p. 23
Perché tanti comuni stanno svendendo le farmacie pubbliche?, n. 12/02, p. 22
Traffico d’armi e mercenari nelle guerre dimenticate, n. 1-2/03, p. 23
Riconvertire i beni dei mafiosi in terra e lavoro per tutti, n. 3/03, p. 20
Se un imprenditore “di sinistra” finanzia la dittatura birmana…, n. 4/03, p. 23
Segreti e misteri della Certificazione Sociale SA8000, n. 5/03, p. 20
Informazione e intrattenimento: il potere di Murdoch (e di Silvio), n. 6/03, p. 18
Con il governo Berlusconi fare il Generale rende bene!, n. 7/03, p. 18
Bilancio sociale del progetto “Presenza amica a Torino”, n. 8-9/03, p. 20
Milioni di drogati di energia elettrica, n. 10/03, p. 20
Il Presidente Lula guida il Brasile da un anno, n. 11/03, p. 18
Il potere di morte di un kalashnikov, n. 1-2/04, p. 33
Traffici di armi e rifiuti hanno ucciso Ilaria Alpi, n. 3/04, p. 20
Aerei invisibili e aziende invisibili, n. 4/04, p. 19
Il Ministro Tremonti e la finanza etica, n. 5/04, p. 18
Silenzio, parla Barilla (e le armi sparano…), n. 6/04, p. 18
Quando i diritti non entrano nel carrello, n. 7/04, p. 16
Conflitti in casa nostra. Le liti di condominio, n. 8-9/04, p. 30
La moneta miracolosa del Parco dell’Aspromonte, n. 10/04, p. 21
Democrazia alla francese: vendere armi notizie, n. 11/04, p. 21
Pecunia non olet! Il denaro degli immigrati, n. 12/04, p. 20
“Mi faccia il pieno, grazie”. Ma quanto costa veramente?, n. 1-2/05, p. 26
Olimpiadi di Torino 2006. No a Finmeccanica!, n. 3/05, p. 20
Gli angeli nonviolenti vegliano sulla città, n. 4/05, p. 24
L’etica localistica della finanza padana, n. 5/05, p. 16
Fregarsene dei diritti umani e vendere armi alla Cina…, n. 6/05, p. 23
Sulle spiagge della Sardegna ignari dell’uranio americano, n. 7/05, p. 20
Fondi pensione ed equità sociale, n. 8-9/05, p. 25
Spaghetti all’italiana, con pomodoro, senz’armi, n. 10/05, p. 18
Anno del micro credito, una prima valutazione, n. 11/05, p. 23
Ode alla pedalata assistita, quando la tecnologia è intelligente, n. 12/05, p. 24

Alternative (a cura di Gianni Scotto)
Le alternative alla guerra stanno dalla parte della pace, n. 1-2/02, p. 23
Una politica attiva di pace e possibile anche in Italia?, n. 3/02, p. 20
Involuzione italiana e resistenza nonviolenta, n. 4/02, p. 19
Mille segnali di speranza nella politica italiana, n. 6/02, p. 21
Progettare la trasformazione per la pace del futuro, n. 7/02, p. 20
Progettare la trasformazione nella società di oggi, n. 8-9/02, p. 19
Una rete europea per il servizio civile di pace, n. 11/02, p. 22
La guerra annunciata e il programma costruttivo, n. 12/02, p. 21
Contro la guerra: cambiare modello di sviluppo, n. 1-2/03, p. 19
Venti di guerra e soffi di speranza, n. 3/03, p. 21
Dietro a quelle bandiere c’è il movimento arcobaleno, n. 4/03, p. 20
Ripensare la politica estera, mettere in discussione la Nato, n. 5/03, p. 18
L’Unione Europea e la prevenzione dei conflitti violenti, n. 6/03, p. 17
La nuova Unione Europea e la guerra infinita del Congo, n. 7/03, p. 20
Ricerca, studio e formazione: il Centro Studi Difesa Civile, n. 8-9/03, p. 18
Nuove esperienze di formazione: gli operatori per la pace, n. 12/03, p. 16
Un comitato delle Nazioni Unite per la prevenzione dei conflitti violenti, n. 1-2/04, p. 29
La catastrofe irachena e le elezioni Europee, n. 5/04, p. 17
Nel kosovo dimenticato c’è chi vuole il dialogo, n. 8-9/04, p. 28
A quando un Tavolo programmatico con la Pace?, n. 1-2/05, p. 25

Educazione (a cura Angela Dogliotti Marasso)
Un programma formativo per la nonviolenza attiva, n. 1-2/02, p. 18
Se io fossi Lilliput, farei silenzio, andrei piano, non mi agiterei, dedicherei tempo all’educazione dei bambini, investendo nel millennio…, di Enrico Euli, n. 3/02, p. 16
La violenza delle scritte ingiuriose e gli atti simbolici di riconciliazione, di Jean Pol Rocquet, n. 6/02, p. 14
Insegnanti e bulli: togliamoci la maschera, di Elena Buccoliero, n. 7/02, p. 23
Teatro e nonviolenza nei Gruppi Educativi Territoriali di Reggio Emilia. Appunti da un percorso non solo teatrale, di Pasquale Pugliese, n. 8-9/02, p. 20
Peacebuilding, globalizzazione e giustizia sociale, n. 10/02, p. 20
Un percorso formativo per nuovi formatori, di Enrico Euli, n. 11/02, p. 26
Ha ha ha, la notte arriverà! Storie per grandi e piccini, di Elena Buccoliero, n. 12/02, p. 24
Decennio ONU per l’educazione alla nonviolenza: a che punto siamo?, n. 1-2/03, p. 22
Educare i cittadini alla pace per trasformare i conflitti futuri, n. 4/03, p. 22
Il ruolo dei cittadini e degli enti locali per prevenire la guerra. Le iniziative del decennio per una cultura di pace e nonviolenza, di Alberto Trevisan, n. 5/03, p. 16
Educarsi all’assertività per essere nonviolenti, n. 6/03, p. 20
Sicurezza o fiducia: quale modello?, di Chiara Manina e Mariella Lajolo, n. 7/03, p. 19
Come possiamo cambiare il modello di riferimento?, di Chiara Manina e Mariella Lajolo, n. 8-9/03, p. 21
Le emozioni nel conflitto. La fiducia nelle relazioni, di Chiara Manina e Mariella Lajolo, n. 10/03, p. 21
La mia storia, la tua storia, il nostro futuro. Un gioco di ruolo per comprendere le ragioni del conflitto fra Israele e Palestina, di Elena Buccoliero, n. 12/03, p. 18
L’esperienza positiva del comune di Chieri, n. 1-2/04, p. 37
Storie di resistenza con occhi di donna, n. 3/04, p. 22
Spunti per una pedagogia nonviolenta. Esperienze concrete in classi elementari, di Gabriella Favati, n. 5/04, p. 20
Capire l’aggressività e trasformarla in creatività, di Stefania Gavin, n. 6/04, p. 22
Aggressività e rabbia come richieste di aiuto, di Stefania Gavin, n. 7/04, p. 17
Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra, n. 8-9/04, p. 29
A chi ti toglie la tunica, tu dai anche il mantello, n. 10/04, p. 19
Se ti costringono a portare un carico per un miglio, tu portalo per due, n. 11/04, p. 22
Viaggio all’interno dei conflitti nella relazione educativa, di Pasquale Pugliese, n. 1-2/05, p. 30
L’arte di ascoltare per un sano conflitto, di Pasquale Pugliese, n. 3/05, p. 18
Un breve itinerario all’interno dei conflitti nella relazione educativa, di Pasquale Pugliese, n. 4/05, p. 28
Bullismo e bullismi. Bulli e vittime nella scuola di oggi. Nostra intervista a Elena Buccoliero, n. 5/05, p. 20
Laboratorio maieutico in Puglia tra educazione e politica, di Eugenio Scardaccione, n. 7/05, p. 22
Uno sguardo libero e consapevole per sospendere il giudizio, n. 8-9/05, p. 28
Se vuoi la pace educa alla pace, Convegno Internazionale sul decennio per l’educazione alla nonviolenza, n. 10/05, p. 20
Riscoprire sé stessi, le relazioni, e il territorio, il piacere di imparare. Intervista a Salvatore Dirozzi, di Elena Buccoliero, n. 11/05, p. 20

Lilliput (a cura di Massimiliano Pilati)
Vedere l’economia dalla parte degli oppressi, n. 1-2/02, p. 25
Se io fossi Lilliput, farei silenzio, andrei piano, non mi agiterei, dedicherei tempo all’educazione dei bambini, investendo nel millennio…, di Enrico Euli, n. 3/02, p. 16
Una Rete che crede nella nonviolenza, n. 3/02, p. 18
Famiglie in rete per consumi leggeri, n. 4/02, p. 21
Il gruppo di lavoro tematico su nonviolenza e conflitti, n. 6/02, p. 20
Genova… un anno dopo: limiti e segni di stanchezza. Intervista ad Alberto Zoratti, n. 7/02, p. 21
Campagna di obiezione/opzione di coscienza del/la cittadino/a, n. 10/04, p. 18
Gruppi di azione nonviolenta della rete di Lilliput per passare dal dire al fare (anche se c’è di mezzo il mare), n. 11/02, p. 20
A Firenze in trentamila tutti insieme appassionatamente, di Enrico Pezza, n. 12/02, p. 25
Impressioni da Baghdad: un viaggio della Pace, di Riccardo Troisi e Francesco Vignarca, n. 1-2/03, p. 18
Quando fai benzina finanzi la guerra, n. 3/03, p. 19
Teniamo le bandiere sui nostri balconi!, n. 5/03, p. 14
Lettere ai pacifisti contro la guerra infinita, di Enrico Euli, n. 6/03, p. 24
Trasformare il mondo in un grande supermercato, di Roberto Cuda, n. 7/03, p. 23
La nuova legge sulle armi…e ora?, n. 8-9/03, p. 23
Una politica locale per darsi dei limiti, di Antonella Valer, n. 12/03, p. 19
GAN e Rete di Lilliput: serve un nuovo confronto, n. 1-2/04, p. 31
Monópoli al contrario. Per giocarsi il denaro, di Patrizio Suppa, n. 3/04, p. 21
E’ nata “controllarmi”, la Rete italiana per il disarmo, di Massimiliano Pilati e Francesco Vignarca, n. 4/04, p. 23
Una campagna lillipuziana smuove Banca Intesa, di Andrea Baranes, n. 5/04, p. 19
Esperienze di economia equa, ecologica e socialmente sostenibile, di Davide Biolghini, n. 6/04, p. 19
Campagna “Tesorerie Disarmate” rivolta agli enti locali per la pace, di Andrea Trentini, n. 7/04, p. 19
Fare politica, tra pannolini e passata di pomodoro, n. 10/04, p. 20
Cambiamo finanziaria. Le proposte di “Sbilanciamoci!”, n. 11/04, p. 20
Con le armi “leggere” si fanno guerre pesanti, di Fabio Affinito e Emilio Emmolo, n. 12/04, p. 21
Vogliamo la “Decrescita”. 10 consigli per resistere, n. 3/05, p. 19
La passata di pomodoro mette in rete produttori e consumatori biologici, di Dario Pedrotti, n. 4/05, p. 29
Dopo 60 anni…mettiamo al bando le armi nucleari!, n. 5/05, p. 18
Exa condannata alla riconversione, di Andrea Trentini, n. 7/05, p. 21
Dialogo con un candidato su pace, guerra, disarmo, di Lisa Clark, n. 10/05, p. 19
Il trasformismo della Nestlè e il caffè corretto equo solido, n. 11/05, p. 19
Aiuto! Anche l’opposizione vuole più spese militari, n. 12/05, p. 25

L’azione (a cura di Luca Giusti)
Contro le guerre del petrolio lasciamo a casa le automobili, di Luca Giusti, n. 1-2/03, p. 16
Boicottaggio economico delle multinazionali americane, n. 3/03, p. 18
Un teatro contro la mostruosa mostra d’armi EXA 2003, n. 4/03, p. 19
Non solo corteo. Agire con il teatro, n. 5/03, p. 19
Il Carroarmato fa il pieno alla Esso, n. 6/03, p. 19
Digiuno a staffetta contro la guerra dei consumi, n. 7/03, p. 22
Monumento antimilitarista ai caduti di tutte le guerre, n. 8-9/03, p. 22
I gesti simbolici delle comunità di base, n. 10/03, p. 22
Non pago le spese militari, aiuto i bambini lebbrosi, n. 11/03, p. 17
Digiuno a sola acqua per una finanziaria di pace, n. 12/03, p. 17
Il metodo nonviolento alla portata di tutti, n. 1-2/04, p. 30
Troviamo un Ponte fra pensiero e azione, n. 3/04, p. 25
Le biciclettate nonviolente sobrie e piacevoli, si candidano come alternativa alle manifestazioni con corteo, n. 4/04, p. 20
Formazione alla nonviolenza per la Guardia di Finanza, di Andrea Cozzo, n. 5/04, p. 22
In bicicletta e con le bandiere della pace per tenere gli occhi ben aperti su Exa, di Andrea Trentini, n. 6/04, p. 20
In bici da tutta Europa sulla strada della Palestina, n. 7/04, p. 18
Un monumento al disertore come valore di umanità, di Andrea Trentini, n. 12/04, p. 19

Per esempio (a cura di Maria G. Di Rienzo)
La lettera di Clara mette in crisi il comando strategico nucleare, n. 3/05, p. 21
La resistenza nonviolenta salva le foreste nicaguaresi, n. 4/05, p. 25
Un team internazionale per la pace nei Balcani, n. 5/05, p. 17
Un’azione mondiale per la giustizia climatica, n. 6/05, p. 25
Lo sciopero della fame delle detenute palestinesi, n. 7/05, p. 19
L’occupazione di massa degli impianti petroliferi in Nigeria, n. 8-9/05, p. 27
Nonviolenza a Belfast per spezzare i fucili, n. 10/05, p. 25
Vuka S’hambe: il risveglio dei giovani prigionieri in Sudafrica, n. 11/05, p. 22
Le campagne di Jagori per i diritti delle donne, n. 12/05, p. 22

SVILUPPO ? BASTA !
Consumo critico
Banca etica compie tre anni e presenta il bilancio, di Paolo Macina, n. 1-2/02, p. 22
Famiglie in rete per consumi leggeri, n. 4/02, p. 21 Da Rio a Johannesburg, ovvero dalle speranze alla delusione, di Gianni Tamino, n. 10/02, p. 8
E’ l’uomo in sé, l’unica vera minaccia per il futuro del pianeta. Quando impareremo a smettere di voler controllare la vita?, di Christoph Baker, n. 10/02, p. 12
Boicottaggio economico delle multinazionali americane, n. 3/03, p. 18
Quando fai benzina finanzi la guerra, n. 3/03, p. 19
“Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo”. Il diritto dei bambini ad usare le mani (e buttare il computer), di Gianfranco Zavalloni, n. 7/03, p. 16
Educare alla nonviolenza oggi: uno sguardo d’insieme per un radicale cambiamento di vita, produzione e consumo, di Angela Dogliotti Marasso, n. 10/04, p. 16
Economia
Vedere l’economia dalla parte degli oppressi, n. 1-2/02, p. 25
I poveri sono poveri ovunque e ovunque hanno bisogno di una banca. Intervista a Muhammad Yumus, di Elena Buccoliero, n. 5/02, p.16
Dopo il fallimento di Cancún: verso un’economia globale di giustizia?, di Gianni Scotto e Alberto Zoratti, n. 10/03, p. 18
La cultura della fiducia e della reciprocità nelle economie senza denaro, di Maurizio Pittau, n. 5/04, p. 12
Dibattito precongressuale. I nostri obiettivi per costruire una società sostenibile: meno armamenti, meno petrolio, meno automobili, di Pasquale Pugliese, n. 8-9/04, p. 22
Ripensare il Commercio Equo e Solidale. Meno consumo, più sobrietà, di Alex Zanotelli, n. 11/05, p. 4
Ecologia
Da Ferrara, città delle bici, nasce la rivolta contro le auto, di Mao Valpiana, n.3/02, p. 3
Hai lasciato l’impronta? Sì, ma quella…ecologica, di Nanni Salio, n. 7/02, p. 12
Esperanza Martinez, Premio Langer 2002. salvare popoli e ambiente dai danni dell’oleodotto, n. 7/02, p. 13
Da Rio a Johannesburg, ovvero dalle speranze alla delusione, di Gianni Tamino, n. 10/02, p. 8
Scorie radioattive e sottomarini nucleari: l’eredità inquinante della guerra fredda, di Paolo Bergamaschi, n. 12/02, p. 16
Contro le guerre del petrolio lasciamo a casa le automobili, di Luca Giusti, n. 1-2/03, p. 16
A Scanzano abbiamo difeso la nostra Terra, abbiamo fatto resistenza; abbiamo fermato la polizia con la preghiera, e abbiamo vinto, di Luciano Capitini, n. 3/04, p. 16
La conversione ecologica potrà fermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile, di Alexander Langer, n. 6/05, p. 6
La Rete ecologista lancia il programma di governo, di Michele Boato, Gianozzo Pucci, Mao Valpiana, n. 11/05, p. 26
Le possibili alternative sostenibili all’alta velocità in Val di Susa, di Nanni Salio, n. 12/05, p. 4
Breve storia di un’opera che non s’ha da fare, n. 12/05, p. 5
Luoghi comuni su un luogo non comune, n. 12/05, p. 6
Contro la militarizzazione del nostro territorio per rispettare la volontà popolare e l’ambiente, n. 12/05, p. 8
Rapporto nord/sud
Ottocento milioni di affamati. Che non fanno paura, di Gabriele Colleoni, n. 7/02, p. 7
Un operaio Presidente che eredita il maggior debito sociale del mondo e promette “fame zero” in un “Brasile decente”: Luis Inacio Da Silva, di Gabriele Colleoni, n. 12/02, p. 14
Risvegliare le nostre coscienze, uscire dalla casa del Faraone. Intervista a padre Giorgio Poletti, missionario comboniano, di Elena Buccoliero, n. 11/03, p. 4
L’azione ecclesiale nonviolenta per gli immigrati di Castel Volturno, n. 11/03, p. 8
Globalizzazione
Le mille idee di Porto Alegre per opporsi alla guerra e costruire insieme l’unico mondo possibile, di Tiziana Valpiana, n. 3/02, p. 6
La provocazione verbale incoraggia la violenza: la polizia e i no-global, Bush e Bin Laden, di Jerome Liss, n. 3/02, p. 12
Poliziotti che ci picchiano. Poliziotti che ci difendono,, di Alessandro Marescotti, n. 6/02, p. 9
Bisogna sostituire la globalizzazione con la tutela delle diversità e creare un mercato dalla parte dei consumatori. Intervista a Vandana Shiva, di Denise Murgia, n. 7/02, p. 4
Genova… un anno dopo: limiti e segni di stanchezza. Intervista ad Alberto Zoratti, n. 7/02, p. 21
Da Rio a Johannesburg, ovvero dalle speranze alla delusione, di Gianni Tamino, n. 10/02, p. 8
Nella globalizzazione selvaggia vince la legge del più forte. La via istituzionale alla pace per costruire un governo mondiale, di Padre Angelo Lavagna, n. 4/04, p. 16

VEGETARIANESIMO
Vegetarianesimo ovvero la nonviolenza nel piatto. La scelta del cibo riguarda il nostro rapporto con la natura, di Marco Baleani, n. 4/04, p. 12
Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei!, di Marco Lorenzi, n. 4/04, p. 12
L’Associazione Vegetariana Italiana, n. 4/04, p. 13
Non uccidere gli animali fa crescere la pace nel mondo, di Carmen Somaschi, n. 12/05, p. 26

GIOVANI
lauracorradini@tin.it

Questa non è una rubrica per i giovani, o sui giovani, ma è la rubrica dei giovani amici della nonviolenza
Sconfiggere l’inferno mafioso
per fare della Calabria un paradiso

Dal giorno seguente l’omicidio di Francesco Fortugno (il vicepresidente del Consiglio Regionale della Calabria ucciso a Locri al seggio elettorale dell’Unione il 16 ottobre 2005), per la prima volta i giovani calabresi di Locri sono scesi in piazza per sfidare la ‘ndrangheta e l’omertà che le consente di sopravvivere.
Mentre al nord in Val di Susa il governo reagisce alle manifestazioni nonviolente della popolazione della valle militarizzando il territorio, in Calabria, dove la gente scende in piazza rischiando la vita per chiedere un’urgente e concreta presenza delle istituzioni e delle forze dell’ordine, il governo è latitante.

Abbiamo intervistato Martina Raschillà, moderatrice del forum “ammazzatecitutti.org”

Parliamo della manifestazione spontanea degli studenti del 17-18 ottobre: come e da chi è nata l’idea?
La mattina del 17 ero sul pullman ed è iniziato tutto lì… “Dobbiamo fare qualcosa! dobbiamo lottare! Basta restare in silenzio!” Sono arrivata a scuola e ho trovato altre cento teste che la pensavano come me… abbiamo fatto una colletta per le classi… un paio di chiamate ai rappresentanti, organizzato tutto. Il pomeriggio stesso abbiamo scritto gli striscioni tra cui “OMERTA’ LA LORO FORZA, NOI LA LORO FINE”. Tutti uniti. È stato bellissimo. Il corteo è stato gestito da noi studenti ed è stato davvero una soddisfazione vedere che l’unione fa la forza e non è solo una frase fatta…

Qual era l’obiettivo concreto che desideravate raggiungere?
Sconfiggere la mentalità mafiosa… non la mafia perché combatterla non sta certo a noi ma allo Stato che fino ad ora non ha fatto nulla per aiutare la Calabria…è facile far false promesse quando si hanno davanti i riflettori di tutta Italia…

Quali risultati effettivi avete raggiunto?
Abbiamo raggiunto dei risultati che non credevamo. Prima di tutto abbiamo avuto un’attenzione inaspettata da tutta Italia, una sensibilità e una fratellanza da parte dei nostri coetanei che vivono lontano dalla nostra realtà. Per concretizzare tutto ciò che stiamo programmando abbiamo istituito il forum FOREVER ( n.d.r.: Forum per la Resistenza e la Verità ) che ci permetterà di organizzare incontri nelle scuole, interviste, concerti e tutto quello che ci può aiutare in questo lungo cammino.

Come hanno reagito le vostre famiglie e la popolazione locale?
Le nostre famiglie ci sono state accanto, se no non saremo scesi in piazza. Certamente abbiamo trovato anche chi rimaneva incredulo e in silenzio ai bordi delle strade mentre passavamo in corteo…

Dagli articoli che abbiamo letto e da alcuni messaggi sul vostro sito, sembra che la maggior parte delle persone in Calabria, anche se a parole condanna la corruzione e gli illeciti, viva poi basandosi su questo tipo di relazioni.
La gente condanna come noi la mentalità mafiosa. Ma è difficile da sconfiggere, perché anche al nord si va avanti con il clientelismo, le raccomandazioni ecc…

Chi e che cosa ritenete vi abbia aiutato a crescere con valori  e con una mentalità diversa rispetto a tanti altri delle generazioni precedenti e anche ad altri vostri coetanei?
Siamo cresciuti differentemente perché i nostri genitori, i nostri insegnanti ci hanno sempre trasmesso i valori della famiglia, della casa, l’importanza di avere un lavoro che gratifichi la persona, di godere della vita, di ribellarci a un sistema superiore a cui loro si sono ribellati minimamente per colpa dei loro genitori che vivevano ancora con la paura nel cuore. Noi siamo cambiati. La Calabria sta cambiando.

Come è stato e come è oggi il vostro rapporto con le istituzioni?
Il nostro rapporto con le istituzioni è un po’ migliorato. Le istituzioni prima dell’accaduto non davano fiducia a noi giovani. Forse ora le cose piano piano cambieranno…o forse non cambierà proprio nulla. Lo stato deve accorgersi che qui in Calabria c’è una situazione d’emergenza!

Immaginate in futuro di entrare attivamente nel sistema politico?
Non vogliamo fare politica. La politica è per i grandi…noi siamo piccoli…a noi interessa solo far cambiare le cose…trasformare in un paradiso la Calabria.

Avete già in programma nuove azioni? Che cosa possiamo fare concretamente per voi?
Non avete paura della ‘ndrangheta?
Vogliamo portare avanti un progetto di “educazione alla legalità” nelle scuole, con testimonianze reali, film, attività. Voi potete fare tanto per noi. Ogni singolo chicco di riso può spostare l’ago della bilancia…non abbiamo paura.

Intervista realizzata da Vanessa Gambini (12 anni), Sofia Mancini (12), Lorenzo Arnoletti (11), Simone Negro (11), Riccardo Sguazzini (11), Khouloud Dakhil (16), Jing Cheng (22).

Invitiamo i giovani a collaborare attivamente a questa rubrica, inviando lettere, articoli, commenti. Il tema del prossimo numero sarà: “dal bullismo a scuola, alla criminalità”.

EDUCAZIONE
A cura di Pasquale Pugliese – puglipas@interfree.it

Resilienza e coscientizzazione per educare nel tempo della globalizzazione

Una cartolina dalla globalizzazione: New Orleans

Fiumi di parole sono state versate per descrivere la globalizzazone e allertare sulle sue conseguenze su persone e natura. Oggi possiamo registrare che i fenomeni reali stanno superando anche gli incubi hollywoodiani di fine secolo sul futuro prossimo venturo.
Per giorni New Orleans è regredita allo stato selvatico, con saccheggi, uccisioni e stupri. E’ diventata la città dei morti e dei morenti, una zona post-apocalittica in cui vagano quelli che Giorgio Agamben chiamava “homini sacri”: gli esclusi dall’ordine civile. Molto si potrebbe dire di questa paura che pervade la nostra vita, la paura che per qualche incidente naturale o tecnologico il nostro intero tessuto sociale possa disintegrarsi. Questo sentimento di fragilità dei nostri legami sociali è di per sé un sintomo sociale: proprio quando ci si aspetterebbe uno slancio di solidarietà davanti a una calamità, esplode l’egoismo più spietato.
In primo luogo ci sono buoni motivi per sospettare che gli Stati Uniti subiscano più uragani del solito a causa del riscaldamento globale causato dall’uomo. In secondo luogo, l’effetto catastrofico dell’uragano è stato in larga misura dovuto a responsabilità umane: le dighe di protezione non erano abbastanza solide e le autorità non erano pronte per la (facilmente prevedibile) emergenza umanitaria. Ma il vero trauma è stato successivo: la disintegrazione dell’ordine sociale. Quasi che in una sorta di azione differita, la catastrofe naturale si ripetesse in chiave sociale.
Questa sequenza di eventi – raccontata da Slavoj Zizek in un reportage intitolato evocativamente Fuga da New Orleans1 – mette in fila tre elementi concatenati, tutti ascrivibili a quella dinamica complessa che definiamo globalizzazione, che insieme hanno prodotto la tragedia di New Orleans: la massiccia emissione di gas serra nell’atmosfera causa dell’intensificarsi dei fenomeni naturali estremi; l’uso di ingenti risorse economiche per finanziare interventi bellici in giro per il pianeta stornate da interventi interni di prevenzione sociale e protezione civile; la frantumazione dei legami sociali frutto dell’impoverimento di fasce ampie di popolazione, grazie ad anni di ricette economiche neoliberiste e di indottrinamento individualista.

Solo l’educazione “ci può salvare”?

Intanto, gli studiosi dell’insieme dei fenomeni che vanno sotto il nome di globalizzazione da tempo affermano che la politica è pressoché impotente ad intervenire strutturalmente. Ciò che è in corso è una grande espropriazione del “politico” da parte dell’”economico”, il quale sempre più fluttuante e transnazionale, svincolato da ogni legame con la materialità dei territori, detta le priorità nelle agende dei governi. Disinteressandosi degli effetti collaterali – essi sì materiali e locali – ambientali o sociali o di guerra. Anzi, come spiega Zygmunt Bauman, per non aver nulla da temere l’ordine globale necessita di tantissimo disordine locale2
Perciò chi ha responsabilità educative si trova oggi a fare i conti, senza mediazione, con le conseguenze dei processi di globalizzazione sulle fasce più deboli della popolazione mondiale. E quanto più diventa impotente la politica tanto più gli educatori assumono una nuova responsabilità politica.
E ciò non sfugge ad alcuni grandi vecchi del pensiero educativo contemporaneo.
Edgar Morin rivolse queste parole agli educatori italiani riuniti in convegno a Reggio Emilia nel marzo del 2003: più ci accorgiamo che il mondo sta entrando in uno stato di caos, più possiamo prendere coscienza che sono davanti a noi molti pericoli per l’umanità. Tuttavia mi pare che non siamo ancora sufficientemente consapevoli che andiamo o verso una situazione catastrofica o verso una metamorfosi molto difficile3.
E Piero Bertolini specifica che non fare nulla, sia come cittadini sia come intellettuali e segnatamente come educatori e pedagogisti, si trasformerebbe in un colpevole atteggiamento di co-responsabilità nei confronti non solo di ciò che sta accadendo ma soprattutto di ciò che potrà accadere nel futuro4.
E infine Franco Cambi, parafrasando Heidegger, afferma perentoriamente che ormai solo l’educazione ci può salvare5.
Ma non tutte le risposte educative appaiono all’altezza della sfida.

La globalizzazione chiama, l’educazione risponde

Ciò che comunemente definiamo globalizzazione è la rappresentazione di un insieme di processi che condizionano pesantemente la vita delle persone sotto molti aspetti. Una sua caratteristica è la vischiosità che tende a rendere tutti contemporaneamente sostenitori e vittime di quei processi. L’aspetto più pervasivo è il potere del consumo che non solo è diventato l’elemento che definisce ormai la nuova identità del cittadino – divenuto a tutti gli effetti cliente – ma si espande progressivamente in ambiti un tempo estranei alla cultura del mercato e del consumo. Dopo essersi introdotto prepotentemente nella vita dei bambini attraverso dosi massicce di pubblicità televisive ad essi rivolte, oggi il potere del consumo entra anche in quello che è stato da sempre il santuario dell’educazione e della cultura: la scuola.
Anche in questo caso gli Stati Uniti rappresentano il luogo geografico e sociale dove i cambiamenti si manifestano prima di diffondersi altrove: soltanto nella contea di Broward, a nord di Miami, – scrive Vanni Codeluppi – sono già stipulati oltre 1200 contratti di sponsorizzazione tra le scuole e aziende come Coca-Cola, McDonald’s, Little Cesar Pizza. Tutto si può dare in affitto alle aziende affinché vi mettano la loro pubblicità: aule, corridoi, palestre, mense, pulmini. Persino il tetto della scuola. E naturalmente anche i libri di testo. Ma il caso più clamoroso di ingresso del mondo del consumo nella scuola statunitense è quello di Channel One News, rete televisiva via satellite che opera dal 1990 e oggi è trasmessa in 12 000 scuole. Le scuole aderenti hanno l’obbligo di trasmettere quotidianamente un notiziario della durata di 12 minuti, due dei quali sono riservati alla pubblicità. Quest’ultima è straordinariamente efficace, non soltanto perché viene vista come parte della formazione scolastica, ma anche perché viene fruita in classe, in condizioni di massima attenzione da parte dei ragazzi, che non avendo il telecomando per cambiare canale sono costretti a guardare il programma6
E questa è una risposta possibile dell’educazione alla globalizzazione: dare i ragazzi in pasto alle multinazionali.

Due parole chiave: resilienza e coscientizzazione

Un’altra risposta educativa alla globalizzazione è quella che legge le storie di vita dei ragazzi e delle ragazze con gli occhi della complessità. Cioè collocandole all’interno del sistema sociale pervaso dal senso diffuso di incertezza, precarietà e rischio7, personale e collettivo. Interrogandosi sui traumi da sradicamento di cui sono portatori i nuovi abitanti delle istituzioni educative, portati dai flussi migratori frutto dell’impoverimento dei sud del mondo. Una risposta educativa che si confronta con territori sociali sempre più attraversati dalla paura, dalla chiusura e dall’egoismo. Che incrocia i conflitti e spesso la violenza, che non è solo quella della guerra o dell’aggressione fisica, ma che molto più spesso è quella strutturale, della povertà, dell’oppressione e dell’ingiustizia, e culturale, dall’indifferenza all’odio per altro.
Questa educazione ha, tra le altre, due parole chiave che sostengono la sua azione: resilienza e coscientizzazione.
La resilienza è propriamente la proprietà che hanno i metalli di tornare alla loro forma iniziale dopo essere stati sottoposti ad uno stress e in campo pisicopedagogico, come spiega Anna Oliviero Ferraris, designa un termine poco usato nella lingua italiana che non ha sinonimi per rimpiazzarlo. Alla resistenza, passiva, la resilienza aggiunge una dimensione dinamica oltre che positiva: la capacità di fronteggiare e ricostruire8. E’ la forza d’animo, la capacità di fronteggiare i traumi e le sofferenze che attraversano la vita e ricostruire, riuscire a saltarci fuori attingendo alla riserva interna di energia per superare le avversità.
In un contesto sociale sempre più privo di sicurezze e di punti di riferimento stabili, in cui emerge la fragilità dei legami ed a nessuno è garantita alcuna certezza di benessere né di preservazione dai traumi, educare alla resilienza è uno dei pochi investimenti certi sul futuro dei ragazzi e dei loro/nostri contesti di vita. La resilienza – scrive Elena Malaguti – non significa trionfo delle abilità individuali, non corrisponde al successo, esprime il sentimento di far parte di una società più ampia. Significa, anche, offrire la possibilità di ripristinare i legami sociali, il senso di appartenenza ad un luogo che si percepisce come proprio, nel quale poter fare ritorno e con il quale ricominciare a costruire9.

(1° parte, continua)

ECONOMIA
A cura di Paolo Macina
Un obiettivo nonviolento: garantire a tutti il diritto al lavoro
Ma quale lavoro? Per fare cosa? Quanto lavorare? Per chi?

Quali idee la nonviolenza pone al servizio delle sfide sociali che impegnano il nostro paese nel terzo millennio? Sicuramente una di queste è cruciale, e coinvolge indifferentemente giovani e adulti, uomini e donne, bianchi e neri, il nordovest come le isole: è la sfida del lavoro.
A questo riguardo, il nostro paese ha una indubbia originalità: è l’unico al mondo che all’articolo 1 della sua Costituzione recita “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”; lavoro da intendersi, secondo le parole di Ernesto Balducci, contrapposto al concetto di “proprietà” e come tale, strumento per fare dell’individuo un cittadino nel senso pieno del termine (Cittadini del mondo, ed. Principato 1981). L’uomo quindi, secondo i nostri padri fondatori, è e vale socialmente per quello che fa, non per quello che ha. In virtù delle benefiche funzioni dell’attività lavorativa, relative sia alla persona, sia alla società presso la quale la persona opera, il cittadino è perciò titolare di un diritto al lavoro (art. 4) che lo Stato si impegna a tutelare.
E’ inoltre certa la rilevanza che l’argomento ha nelle tematiche nonviolente: basti pensare alle lotte che hanno portato il movimento operaio, tramite scioperi, sit in, occupazioni, dalla nascita dei sindacati (1922) fino alla conquista dello Statuto dei Lavoratori (1970); oppure quelle recenti intraprese delle varie campagne di boicottaggio verso le aziende che vessano i propri dipendenti (Clean Clothes Campaign, Boycott Coca Cola, ecc.). Ma come si sono comportati gli ultimi governi, per facilitare l’occupazione dei cittadini?
Con lo spauracchio della concorrenza del sudest asiatico, è stata promulgata nel 2003 una legge che facilita la flessibilità del posto di lavoro, che i nostri nonni ed i nostri padri ci avevano insegnato essere garantito: la famosa legge 30 o legge Biagi, dal nome dell’economista che aveva contribuito a stilarla e che proprio per questo ha pagato con la vita, ucciso in un barbaro attentato da estremisti contrari all’impatto che la legge avrebbe avuto sulla classe operaia.
A distanza di due anni dall’entrata in vigore dei decreti attuativi, i pareri non potrebbero essere più discordi, sia nella raccolta che nella interpretazione dei dati. La legge, che aveva obiettivi lodevoli come l’emersione del lavoro nero (3,5 milioni di lavoratori), l’aumento dell’occupazione ed il miglioramento della competitività delle aziende italiane tramite una ottimizzazione del mercato del lavoro, prevede l’istituzione di figure lavorative che ormai sono entrate nel lessico familiare: i co.co.co (ora sostituiti dai più prosaici lavoratori a progetto), gli interinali, l’apprendistato, lo staff leasing e così via. “Le aziende che si avvalgono di lavoro occasionale pagano solo il 18% dei contributi previdenziali contro il 32% versato per i propri dipendenti” accusa l’ex ministro Treu, “in caso di successo elettorale la legge sarà cambiata”. Il sottosegretario Sacconi rivendica invece la nascita di 1,2 milioni di posti di lavoro, parafrasando il suo presidente del Consiglio e trascurando la qualità della vita effettivamente raggiunta con tali occupazioni.
Secondo i dati dell’istituto governativo ISFOL, nel 2003 e nel 2004 l’occupazione è effettivamente cresciuta dello 0.8%, ma il risultato rischia di essere fuorviante se non analizzato in profondità: negli Stati Uniti, per esempio, si registrano periodi di diminuzione della disoccupazione quando, per motivi di ordine pubblico, le carceri si affollano e il numero delle persone in cerca di lavoro diminuisce in conseguenza. Ma sfido qualunque economista a gioire per il risultato. Nel nostro caso, l’esito sembra totalmente attribuibile alla regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. Dai dati dell’istituto di ricerca si registra una diminuzione dei lavori precari a tempo parziale e a termine, e mentre fino a dieci anni fa, per 26 lavoratori a tempo determinato su cento la fine del contratto significava il ritorno alla disoccupazione, oggi questa percentuale è ridotta al 13 per cento; ma viene contemporaneamente registrata una diminuzione della partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto tra i giovani, segno che diversi hanno addirittura perso la voglia di cercarlo. Ancora, si registra un raddoppio in dieci anni del part-time (2,8 milioni di lavoratori, il 13% del totale), ma nello stesso tempo quattro giovani su dieci, pur avendo un impiego, non riescono a raggranellare le risorse economiche per abbandonare la casa dei genitori e costruirsi una vita indipendente.
Di certo risulterà veramente buffo per i lettori apprendere che, al termine della presentazione nel novembre scorso, gli stessi lavoratori dell’ISFOL hanno manifestato per denunciare la situazione di precariato che riguarda l’85% del suo personale. Ma anche loro probabilmente sommano i disagi del lavoro non garantito ai tipici vincoli del lavoro dipendente, pur non percependone sicurezza e riconoscimenti economici: l’80% dei precari (dati Ires-CGIL) lamenta infatti di lavorare per un unico datore, di essere tenuto a rispettare un orario stabilito e a volte di dover garantire la presenza quotidiana nel luogo di lavoro, sotto l’occhio mesto del dipendente fisso che fa lo stesso lavoro ma guadagna di più.
Sicuramente l’intento di traghettare i giovani dalla disoccupazione, alla precarietà momentanea e quindi alla mobilità (perenne, ma garantita) è molto di là da venire: il mondo del lavoro sta creando una generazione che non riuscirà a raggiungere una professionalità a causa dei continui cambi di lavoro; che in molti casi, senza poter contare sugli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e sussidi), verrà espulsa dai processi produttivi perché considerata poco valida; che scoprirà essere inutile studiare per acquisire una laurea; che avrà infine serie difficoltà a costruirsi una famiglia perché il settore del credito la valuterà poco solvibile e le negherà mutui e prestiti. Gli effetti di queste problematiche potrebbero essere devastanti in un futuro non lontano, se non si interverrà a modificare la situazione.
Di fatto l’aumento maggiore di lavoratori si è registrato nelle aziende private che, sostituendo gli statali ma sicuri uffici di collocamento, ora si occupano di trovare ai disoccupati qualche attività lavorativa: multinazionali come Manpower, Adecco, Kelly e Randstad sono planate in Italia da ogni parte del mondo e si sono affiancate a quelle fondate da privati (Ali, Quanta, Metis, ecc.), sindacati, centrali cooperative e Comunione e Liberazione (Obiettivo Lavoro).
Accusate dai sindacati di occuparsi solamente dell’inserimento di top manager e grandi professionisti, di essersi sostituite al caporalato e di maramaldeggiare le persone con minor potere contrattuale (illuminante la denuncia di Ken Loach nel film “Paul, Mick e gli altri“), le 76 aziende (in Francia sono 1.200!) di selezione del personale contano ormai 8.500 dipendenti e producono un fatturato di 4 miliardi di euro, nonostante le vetrine sfasciate che ormai concludono qualsiasi manifestazione no global. Tre agenzie su quattro si trovano al nord, e finiscono quindi per sistemare i lavoratori nell’industria (53%), nel commercio/terziario (32%) e nei servizi (13%).
Torniamo quindi alla domanda di apertura, individuando alcuni obiettivi che il mondo nonviolento dovrebbe porsi nel futuro prossimo.
1)Opporsi a livello europeo alla direttiva Bolkestein, che prevede la possibilità, per le aziende che lavorano in un paese ospite, di applicare ai propri dipendenti i livelli di salario previsti nel paese di provenienza. Per intenderci, una ditta albanese potrebbe lavorare in Italia pagando i suoi lavoratori con salario albanese. E’ facile immaginare che non accadrà mai l’inverso. La sciagurata direttiva, proposta con ragionamento contorto per fermare l’esodo delle aziende occidentali nel sud del mondo, è in discussione in questi giorni a Bruxelles, e bisogna supportare in ogni modo gli europarlamentari verdi e socialisti che la contrastano (Alex Langer, veglia su di loro!).
2)Appoggiare alle prossime elezioni nazionali i partiti che si impegnino a metter mano in profondità alla legge Biagi, per garantire più diritti ai lavoratori benedetti da “San Precario”.
3)Sostenere, a livello locale, quelle amministrazioni che nelle gare d’appalto pubbliche privilegiano le aziende nelle quali esista la presenza di standard di lavoro qualitativi, come la certificazione SA8000.
4)Ricordare infine, a livello personale, a chi ha mansioni di responsabilità, di non giocare a Dottor Jackyll e Mister Hyde, predicando magari nei comizi serali la questione operaia, per poi il mattino dopo opporsi agli ingressi lavorativi che si potrebbero agevolare. Quanti simpatizzanti della nonviolenza hanno in questi anni raggiunto incarichi lavorativi dai quali potrebbero mettere in atto politiche occupazionali? E quanti hanno pensato di dedicare una parte del proprio tempo alla attività sindacale? I grandi cambiamenti cominciano sempre dall’interno di ciascuno di noi, ed esserne consapevoli è il primo passo per effettuarli.

PER ESEMPIO
A cura di Maria G. Di Rienzo
I magnifici sette che non pagano la guerra

Dicono che si tratta di un abuso dei loro diritti umani, e si dichiarano obiettori di coscienza. Non intendono aggiungere il denaro delle loro tasse agli oltre 6 miliardi di sterline che la Gran Bretagna ha già speso per la guerra in Iraq. I sette resistenti, per la maggior parte Quaccheri, sostengono che il loro governo sta violando, nei loro confronti, l’articolo 9 della Convenzione europea sui diritti umani (quello che garantisce la libertà di manifestare la propria religione o i propri convincimenti). E’ probabile che il loro caso finisca alla Corte di Strasburgo. I tribunali inglesi non vogliono riconoscerli quali obiettori perché la richiesta sarebbe stata presentata oltre i termini di legge, così essi hanno a loro volta aperto un’azione legale contro il governo. I loro avvocati sostengono che “Lo stato è obbligato a cercare di evitare di mettere i suoi cittadini in una situazione estremamente dolorosa e pesante, in cui si chiede loro di non essere leali verso i propri princìpi di coscienza o di violare la legge.”
Simon Heywood, portavoce del gruppo, spiega: “La questione tocca una parte essenziale della nostra identità, religiosa o meno, Quaccheri e no. La nostra coscienza non ci consente di finanziare degli omicidi. La legge corrente non ci accetta come obiettori, e quindi chiede la nostra complicità alla guerra, e ci dichiara criminali quando ci rifiutiamo di finanziarla. E’ chiaro che tale legge deve essere cambiata. Siamo per altro dispostissimi a versare quello stesso denaro in un fondo governativo che persegua la pace.”
Con uno straordinario sussulto di sincerità, il governo inglese ha fatto conoscere la sua principale preoccupazione: ovvero che tale opzione, se accettata, costituirebbe un precedente grazie al quale ad esempio gli animalisti potrebbero dichiarare la loro obiezione a tassazioni che andrebbero a finanziare esperimenti su animali.
Lo scorso 26 luglio, la richiesta della revisione da parte della Corte d’Appello della condanna ricevuta per non aver pagato il 10% delle tasse, è stata rifiutata ai sette obiettori dopo tre ore di dibattimento, durante il quale il giudice ha dovuto però convenire su molte delle loro argomentazioni. Il punto chiave di questa sentenza, per quanto spiacevole nel suo insieme, sta nel fatto che il giudice ha riconosciuto che il caso dovrebbe essere dibattuto dalla Corte europea. I sette hanno comunque reiterato il loro rifiuto di finanziare le spese militari e la guerra.
Come sapete, l’obiezione fiscale in questo senso ha una lunga ed onorevole storia: la novità nella vicenda degli obiettori inglesi sta nell’aver denunciato il governo per la violazione dei propri diritti umani. Questo ha avuto parecchi effetti positivi, sul sostegno da parte dell’opinione pubblica e sull’interesse dei media, che probabilmente non ci sarebbero stati se il rifiuto di pagare le tasse fosse stato contenuto all’interno della consueta cornice: obiezione fiscale, azione legale intentata dal governo, dibattimento in tribunale, condanna, conferma dell’obiezione, carcere.
Mettere il proprio oppositore in condizione di doversi esso stesso scagionare da un’accusa moralmente ineccepibile (in nome di quale etica neghi la nostra sottrazione alla complicità in delitti?), suffragata da un impegno internazionale che esso ha sottoscritto (la Convenzione europea sui diritti umani), e nel contempo offrire una via d’uscita comune (paghiamo quei soldi, se finanziano la pace) è un esempio di come un’azione nonviolenta “classica” sia stata produttivamente elaborata in maniera da ampliarne l’efficacia.

DISARMO
A cura di Massimiliano Pilati
Quando i numeri contano Bilancio della campagna “banche armate”

La nuova rubrica DISARMO è un agile strumento per presentare ciò che si muove attorno a questo argomento ed è il contributo del Movimento Nonviolento alla Rete Italiana per il Disarmo

Nel 2004 il Governo italiano ha autorizzato alle banche operazioni relative ad esportazioni di armi per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto alla media dei quattro anni precedenti. Nel quinquennio 2000-5, cinque istituti di credito italiani – Capitalia, S. Paolo IMI, BNL, Banca Intesa e Unicredit – si sono aggiudicati da soli tre quarti di tutte le operazioni autorizzate dal Ministero delle Finanze.

Nell’ultimo anno Capitalia ha assunto autorizzazioni per esportazioni di armamenti per oltre 396 milioni di euro con paesi tra i quali Cina (15,4 milioni di euro) e Taiwan (oltre 10 milioni), India (5 milioni) e Pakistan (3 milioni), Repubblica Dominicana (16 milioni) e Malaysia (75 milioni) ma anche un lungo elenco di paesi altamente indebitati. Il gruppo Capitalia afferma di aver deciso nell’aprile 2004 di “adottare nuovi e stringenti criteri che autolimitano l’assistenza finanziaria alle aziende esportatrici di armamenti”, e sarà quindi interessante vedere la Relazione della Presidenza del Consiglio del prossimo anno per valutare l’applicazione della decisione.

Qualche risultato dovrebbe invece mostrarlo San Paolo Imi considerato che il bilancio sociale del 2002 impegnerebbe il gruppo ad un “codice interno di autodisciplina” e limiterebbe l’attività “alle sole operazioni destinate a paesi dell’UE o della Nato e comunque caratterizzate, per la loro natura, unicamente da finalità di difesa o sicurezza”. Se nel triennio 1999-2001 l’istituto torinese riceveva solo 148 milioni di operazioni autorizzate, nel triennio successivo la San Paolo ha invece assunto impegni per oltre 538 milioni. E tra i paesi destinatari ce n’è più di uno che pone qualche interrogativo: Cina, India, Pakistan, Malaysia, Tailandia, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Egitto e Cile.

Chi invece tace, forse perché ha altri grattacapi, è la Banca Nazionale del Lavoro che con 279 milioni di euro nel periodo 2002-4 raddoppia le autorizzazioni rispetto al triennio precedente. Tra i paesi verso i quali la banca romana continua ad appoggiare il commercio di armi vi sono paesi in conflitto come Israele, nazioni altamente indebitate e paesi dove le organizzazioni internazionali riportano reiterate violazioni dei diritti umani: 30 milioni di euro per Telethon 2005, ma ben 445 milioni nell’ultimo quinquennio per operazioni relative al commercio delle armi transitano presso la BNL.

Qualche banca che sembra cominci a “disarmarsi” a dire il vero c’è. E’ il caso di Unicredit che passa dagli oltre 806 milioni di euro di operazioni autorizzate nel triennio 1999-2001 ai poco più di 157 milioni del triennio successivo. Ma anche di Banca Intesa, che nel periodo 1999-01, con oltre 452 milioni di euro di autorizzazioni ricopriva un ruolo di prim’ordine mentre nel 2004 assume autorizzazioni per soli 23 milioni di euro.

Se qualche istituto esce dalla lista delle “banche armate” qualche altro ne occupa il posto. E’ il caso della Banca Antoniana Veneta che con oltre 121 milioni di euro, si piazza al terzo posto nel 2004. Ma anche della Banca Popolare di Milano: una cifra nettamente inferiore (53,4 milioni di euro), ma che non ha mancato di suscitare le rimostranze dei settori attenti alla finanza etica: BMP, infatti, è socia di Banca Etica e partecipa alla compagine sociale di Etica sgr, la società di gestione del risparmio che promuove prodotti finanziari con un elevato profilo di trasparenza. Tra le 22 commesse di cui, per esplicita ammissione, BPM è “domiciliataria di incassi/pagamenti” figurano anche paesi altamente indebitati come Brasile, Messico e Pakistan, e seppur per valori minori, India, Marocco e Malaysia.

E le banche estere? C’è un fatto nuovo: le industrie italiane cominciano a commissionare alle banche straniere le operazioni più esposte a critica. E’ il caso, ad esempio, della Galileo Avionica – una controllata di Finmeccanica – che affida al gruppo bancario francese Calyon i pagamenti per la fornitura alla Cina di radar militari Grifo del valore di ben 121,2 milioni. C’è da preoccuparsi? Non più di tanto visto che si tratta principalmente di gruppi bancari con sede nei paesi dell’UE. Ma per i promotori della Campagna “banche armate” è urgente intensificare i rapporti con le associazioni europee attive nel monitorare le attività delle banche di appoggio e finanziamento all’industria delle armi.

Giorgio Beretta
Campagna di Pressione alle Banche Armate

MUSICA
A cura di Paolo Predieri
Storie di guerre e lacrime speranze e desideri

Apriamo l’anno ricordando qualche disco che nel 2005 ha offerto spunti interessanti.
Il primo in realtà è uscito alla fine del 2004 accompagnandoci poi per gran parte del 2005:“Dieci stratagemmi” di Franco Battiato. Il titolo prende spunto da un libro cinese di strategia militare, che qui trova nuovi significati, come precisa l’autore: “Io sono antimilitarista. Non mi piace essere comandato e non mi piace comandare. Mi piace l’idea di fare una mossa per ottenerne un’altra, un po’ come negli scacchi dove l’intelligenza si manifesta non ai danni di qualcun altro; è gioco, non sopraffazione. Il primo di questi stratagemmi, ‘attraversare il mare per ingannare il cielo’, in qualche modo rappresenta questo disco”. Fra le canzoni,“Fortezza Bastiani” parla della difesa contro l’aggressività delle notizie nefaste che ogni giorno ci bombardano; “Ermeneutica” e “Odore di polvere da sparo” sono grandi esempi di critica politica che centra l’obiettivo senza bisogno di riferirsi specificamente alle ideologie, indirizzandosi a quel potere costituito che non è al servizio dei cittadini e arrivando a dire che “Gli stati servi s’inchinano a quella scimmia di presidente”.
Poi abbiamo “Il ragù con la guerra”. Ce ne parla direttamente l’autore, Nino D’Angelo: “L’idea e la voglia di scrivere mi è arrivata addosso dall’invadenza televisiva di una inspiegabile guerra che ha riempito e riempie le nostre tavole di pranzi e cene. La rabbia e il dolore hanno toccato il sentimento e così mi sono trovato a smuovere il pensiero che non voleva solo pensare ma dire e cantare, toccare altre menti, altre coscienze, soprattutto quelle di chi continua a farci credere che questa è una guerra per la pace… Io penso che la pace non si trovi con le bombe e i carri armati, bensì con dialoghi onesti e bilaterali, senza secondi fini; non c’è pozzo di petrolio che valga una vita… e così sono nate le prime canzoni: ‘Odio e lacreme’ (le bugie sono colpi di fucili che uccidono la pace e chi tiene la passione per Dio lo deve aiutare a portare la croce) e ‘L’eroe’. La speranza è che le parole arrivino veramente a farsi sentire da chi con troppa indifferenza ha lasciato che il mondo si ammalasse sempre più di insicurezza e ipocrisia”.
Enrico Ruggeri, dopo “Le sette sorelle” dove ha raccontato con ironia i vizi capitali, mettendoci in bella evidenza il commercio delle armi, dopo “Primavera a Saraievo” e “Nessuno tocchi Caino”, è arrivato con “Amore e guerra”, un intero album che parla delle paure del mondo e della cattiva informazione…
“Ho scritto ‘Eroi’- dice Ruggeri – pensando a quelli che non entrano mai nei libri di storia, a tutti gli eroi sconosciuti e sconfitti che, dalla Palestina all’Irak, dal Tibet all’Armenia e in mille altri angoli del mondo, hanno perso le loro battaglie, sconfitti un po’ come tutti noi da missili e banche”. “L’americano medio” in un’altra canzone è descritto terrorizzato, sbarrato in casa, ipocondriaco, come potrebbe essere anche l’italiano medio… ”Il mondo ha paura – dice Ruggeri – ma sono stati gli Usa a raccontarci che in Irak c’erano armi nucleari che non si sono trovate”
Poi c’è un avvenimento a dir poco storico: a 31 anni di distanza dal disco precedente, ritorna Fausto Amodei con “Per fortuna c’è il cavaliere”, un lavoro nuovo di zecca (solo 2 canzoni su 14 sono vecchi gioielli rispolverati!). Protagonista della canzone politica italiana, considerato a ragione ‘maestro’ da cantautori come Francesco Guccini, Amodei si è sentito quasi costretto a cogliere l’abbondanza di ispirazioni che, purtroppo, la vita politica italiana offre. Sono nate così “Per fortuna c’è il cavaliere”, “I persuasori occulti”, “ Padreterno@aldila.com ”, “I tre porcellini”e “Berluscrauti”. Da sottolineare anche “Lettera di Robert Bowman”, tratta da una lettera indirizzata nel 1998 da un vescovo cattolico della Florida al Presidente Usa. Bowman, tenente-colonnello nella guerra in Vietnam, spiega ‘perché gli Stati Uniti sono odiati’…
“Quel Lungo treno” di Massimo Bubola contiene undici canzoni con storie di guerra e lacrime, speranze e desideri, alcune riprese dalla tradizione popolare come “Era una notte che pioveva” e “Monte Canino”, trasformate in ballate folk e altre scritte dallo stesso Bubola in collaborazione con Michele Gazich. Un lavoro musicale che è anche proposta culturale che recupera brandelli della storia del nostro Paese, raccontando la guerra per capire la pace.
A questo punto mi accorgo che abbiamo preso in considerazione solo autori e interpreti maschi! L’invito a lettrici e lettori è perciò doveroso: attendiamo segnalazioni di lavori musicali di interesse per la nonviolenza, di provenienza femminile…

CINEMA
A cura di Flavia Rizzi
La luce della Storia illumina la memoria

Ogni cosa è illuminata
Regia: Liev Schreiber
Origine: USA
Anno: 2005
Produzione: Peter Saraf, Marc Turtletaub
Distribuzione: Warner Bros
Cast: Elijah Wood, Eugene Hutz, Boris Leskin

Jonathan è un “collezionista”, uno strano collezionista. Comincia la sua collezione quando è ancora un bambino, prendendo dal comodino del nonno, appena morto, un ciondolo di ambra con un insetto incorporato. La sua collezione negli anni si arricchisce di un grandissimo numero di oggetti bizzarri e improbabili, legati in qualche modo alla storia e ai personaggi della sua famiglia, oggetti accuratamente riposti in bustine di plastica trasparente e minuziosamente catalogati… una collezione così ricca da ricoprire interamente la più grande parete della sua stanza.
Ormai uomo, al capezzale della nonna Jonathan riceve due oggetti appartenuti al nonno: “Voleva che li avessi tu… per la tua collezione”: una catenina con la stella di Davide e una foto invecchiata che ritrae il nonno, da giovane, con una donna accanto, Augustine, che porta al collo il primo pezzo della collezione di Jonathan.
Così inizia il viaggio del nostro protagonista, un giovane ebreo americano che parte alla volta dell’Ucraina per andare alla ricerca di Augustine, la donna che nella seconda guerra mondiale avrebbe salvato il nonno nascondendolo ai nazisti. Unico indizio, una scritta sul retro della foto: “Trachimbrod”.
Ed ecco comparire sulla scena i bizzarri compagni di viaggio del nostro collezionista: Alex, un giovane ucraino fanatico degli “States” che gli fa da interprete col suo ingelese-americano un po’ approssimato, il nonno di Alex, un vecchio burbero che, controvoglia, è costretto a fare da guida e da autista pur dichiarandosi cieco, e Sammy Davis Junior Junior, il cane pazzo che il nonno vuole con sé perché gli faccia da guida… dato che lui è cieco!!??
Tratto dall’omonimo romanzo del giovane autore Jonathan Safran Foer , quest’opera prima del regista Liev Schreiber è un altro efficace esempio di come sia possibile affrontare con “leggerezza” il tema tragico della Shoha. Con umorismo e ironia Schreiber ci accompagna in questo viaggio pieno di sorprese, dove la protagonista è la memoria, che sola dona la luce necessaria a “illuminare ogni cosa”. E così… la sterile collezione di nomi e di oggetti di un giovane e miope ebreo americano diventa vita e identità…un vecchio burbero, scontroso e “cieco” ritrova la vista e la pace… e un giovane ucraino spensierato scopre che la “Storia” è anche la sua storia.

LIBRI
A cura di Sergio Albesano
Rimettere ordine nel rapporto fra esseri viventi
Scienze, filosofie, religioni, per capire gli animali

GIUSEPPE PULINA, Minima Animalia, piccolo bestiario filosofico, illustrazioni di Marco Lodola. Sassari, Mediando, pag. 96, euro 18,00.

Minima animalia è quello che si può definire senza tanti preamboli un singolare libro di filosofia. Tale è per il tipo di scrittura adottato e per i contenuti che lo rendono trasversale a molte altre discipline. Saggio pluridisciplinare in cui l’autore, docente di filosofia, studioso del pensiero mitteleuropeo, fa convergere influenze, passioni e interessi tra i più diversi, Minima Animalia può essere inteso come un contributo originale alle ricerche dell’ultima etologia, visto che si parla di animali e di una loro riabilitazione anche nel campo del sapere. È pure un libro di critica letteraria che pone al centro delle sue riflessioni alcuni dei temi delle poetiche di Pavese e Leopardi.
Per esplicita volontà dell’autore, vuole presentarsi anche come un contributo critico per una difficile battaglia in difesa degli animali, minacciati, in questo caso, non più solo dalle doppiette dei cacciatori, ma anche – se non soprattutto – dalla strumentalizzazione che per fini intellettualistici ne ha spesso fatto la cultura occidentale. Nell’indice del libro, paragonabile ad una sorta di anagrafe aggiornata della lista passeggeri dell’arca di Noè, figurano i gatti di Pavese, l’acaro di Pascal (il filosofo che paragonò l’uomo al più insignificante dei parassiti), il serpente tentatore di Nietzsche, la balena bianca di Melville, i tacchini di Bertrand Russell e gli animali fantastici di Leonardo da Vinci e Borges. Attraverso quattordici capitoli si scopre che il pregiudizio della presunta inferiorità degli animali si è consolidato durante il Medio Evo proprio per opera di una delle menti più brillanti della cosiddetta età di mezzo: quell’auctoritas maledetta che rispondeva al nome di Abelardo, libero e spregiudicato genio filosofico. In uno dei capitoli più densi, quello dedicato al filosofo Giordano Bruno, si apprende che nelle opere di questo pensatore figura il più lungo campionario di animali. Il lettore potrà inoltre sorprendersi scoprendo che i logici – che vengono comunemente considerati intellettuali dal freddo raziocinio attratti dalle astrazioni e dai simboli – hanno una predilezione tutta loro per gli animali: Wittgenstein parla di cani e gatti nelle sue “Ricerche logiche”, l’americano Quine di conigli, Popper di cigni e Russell di tacchini.

ADRIANO MARIANI, Do per cibo il verde dell’erba. Il cristianesimo alla prova della condizione animale, “Quaderni Satyagraha”, n. 8, 2005 (pp. 170, € 16,00)

Può una religione autenticamente persuasa dei valori etici su cui si è costituita escludere il vegetarianesimo quale pratica alimentare e stile di vita in grado di condurre alla nonviolenza? Se il sacro deve bandire le tracce di violenza che potrebbe contenere in sé, secondo quanto va da tempo pensando Girard, quale mediazione potrà mai trovare con il costume alimentare della sarcofagia, dell’assunzione di carne? Perché poi una delle linee di più evidente demarcazione tra il mondo religioso orientale e quello occidentale è segnata proprio dal diverso modo di intendere la condizione animale? A queste domande fornisce una serie di risposte efficaci e riccamente documentate l’ultimo dei quaderni Satyagraha. Un numero monografico che prende il titolo da una citazione del Genesi, opera di Adriano Mariani, esperto del pensiero leopardiano, ora autore di un volume che per la qualità delle sue argomentazioni e per lo stretto rapporto tra nonviolenza, animalismo e religioni bibliche che molto criticamente è riuscito a costruire sembra destinato a diventare una piccola summa della filosofia del vegetarianesimo. Un discorso tra filosofia e teologia mirante a definire i termini di un nuovo rapporto tra l’uomo e il resto degli esseri viventi che popolano il pianeta e che vede nelle religioni bibliche il principale bersaglio polemico.
I dati citati da Mariani, che passa in rassegna tutta una serie di obiezioni spesso poste con cinica superficialità al vegetarianesimo, danno i brividi. Si tratta, certo, di argomenti in gran parte noti, in virtù soprattutto delle opere di Singer e dei teorici dell’ultima ecosofia, ma il merito è quello di avere posto coraggiosamente l’accento sui limiti e sulle contraddizioni che ancora oggi ledono la credibilità di religioni che professano teoricamente la nonviolenza per poi giustificare, non chiamandola così e appellandosi ad una prescrizione divina, l’uccisione degli animali. Tanto da scoprire che il vegetarianesimo, prassi di un’esistenza consacrata alla nonviolenza, è un elemento estraneo al cristianesimo delle origini e ancora oggi fortemente osteggiato dal pensiero cattolico.

Giuseppe Pulina

ANSELMO PALINI, Testimoni della coscienza da Socrate ai nostri giorni, Ave edizioni, Roma 2005, pagg. 304, € 13.

Il libro propone diverse figure esemplari, alcune delle quali pressoché sconosciute, che, in circostanze spesso drammatiche, hanno saputo dire no alle pretese del potere, anteponendo le ragioni della coscienza perfino a quelle della sopravvivenza. Il tratto che contraddistingue questi personaggi è la fedeltà a valori e a principi morali non negoziabili, che essi hanno ritenuto superiori alle leggi dello Stato.
Accanto a figure realmente esistite, quali Socrate, Massimiliano di Tebessa, Tommaso Moro, Pavel Florenskij, Franz Jägerstätter, gli studenti della Rosa Bianca e il loro professore Kurt Huber, Palini inserisce Antigone, ossia una creazione letteraria. La presenza della protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle, spiega l’autore, è dovuta al fatto che in lei, per la prima volta nella storia della letteratura, si pone il problema del contrasto fra la legge dello Stato e le leggi degli dèi, ossia delle norme sentite come superiori. Dal V secolo a.C. in poi, Antigone ha così incarnato l’idea del diritto naturale, che gli antichi chiamavano legge non scritta, che nessuno aveva mai letto in un codice, ma che tuttavia si poneva come inviolabile. Antigone obbedisce a quella che ancora non chiama la sua coscienza, ma che ad essa assomiglia molto.
Palini si occupa da anni di tematiche legate alla nonviolenza, ai diritti umani e, più recentemente, ai totalitarismi nel XX secolo. Il testo è corredato da note accurate che aiutano il lettore a comprendere appieno le ricostruzioni biografiche e i brani antologici presentati.
Le donne e gli uomini di cui l’autore parla pongono un problema ben preciso: il rapporto fra la coscienza e il potere, fra il diritto dello Stato e una norma superiore e definitiva che non ammette eccezioni. Utilizzando le categorie del cristianesimo, il dilemma che si pone è fra ciò che spetta a Dio e ciò che spetta a Cesare. Questo problema cessa di essere una disquisizione filosofica e si pone in termini drammaticamente esistenziali quando ci si trova di fronte a una legge che in coscienza viene ritenuta illegale. “Era chiaro”, scriveva Tommaso Moro alla figlia Margaret “che giurare era contrario alla mia coscienza (e che) il mio dovere era di non obbedire al mio principe”.
Per superare questo conflitto di coscienza gli Stati oggi prevedono, in particolari situazioni, la possibilità dell’obiezione di coscienza. Anche la Chiesa oggi afferma la possibilità di disobbedire a leggi ingiuste. Nel passato ciò non era ammesso: gli Stati e le Chiese esortavano sempre all’obbedienza. I personaggi di cui parlano queste pagine sono dunque profeti, in quanto hanno anticipato l’idea che in certe gravi situazioni bisogna obbedire alla coscienza, poiché, come ha detto il presidente tedesco Richard von Weizsacker il 13 febbraio 1993 commemorando a Monaco il sacrificio dei ragazzi della Rosa Bianca, “ognuno è responsabile per ciò che fa e per ciò che lascia fare”.

Flavio Marcolini

LORENZO MILANI, La parola fa eguali, Libreria editrice fiorentina, Firenze 2005, pagg. 160, € 14,00.

Un testo prezioso per approfondire aspetti poco noti della vita e dell’opera di don Lorenzo Milani è questo volume, che è una raccolta di scritti del sacerdote fiorentino su un tema per lui essenziale: dare la cultura ai poveri.
Il libro, curato da Michele Gesualdi, presidente della Fondazione dedicata al priore, è arricchito da scritti portati per la prima volta alla conoscenza del pubblico e da cui emerge come durante la sua vita egli abbia testimoniato le sue convinzioni, ora scrivendo lettere a ragazzi, a sacerdoti e amici, ora parlando ai direttori didattici di come fare scuola, ora spronando a realizzare un giornale di scuola e corsi di lingua straniera alla radio, ora rivolgendosi direttamente ai genitori dei figli dei contadini e degli operai perché esigessero dall’amministrazione comunale da loro eletta un doposcuola che colmasse le lacune della scuola del mattino.
Il libro è il primo di una serie di pubblicazioni che la Fondazione fiorentina ha deciso di curare per ridare la parola a don Milani, una fonte a cui molti hanno attinto e stanno attingendo, anche se nel corso di questi anni non di rado il suo nome è stato usato per affiancargli tesi che egli non avrebbe mai potuto condividere.
“Don Lorenzo”, ci ha detto Gesualdi “si conosce ascoltando don Lorenzo: il don Lorenzo che insegna, che realizza, che evangelizza, che protesta, che difende, che grida, che rifiuta, che si schiera, che scuote le coscienze, il tutto mosso dalla forza dell’uomo e del sacerdote coerente con il Vangelo”.

Flavio Marcolini

MOVIMENTO
A cura della Redazione – an@nonviolenti.org
Medici obiettori contro il porto d’armi

Il Comitato Medico Scientifico dell’AVI rivolge un appello a tutti i medici affinchè neghino il certificato di idoneità per il porto d’armi a tutti coloro che lo richiedono e che non lo necessitano per attività lavorative.
L’Associazione Vegetariana Italiana è nata nel 1952 sotto il segno della nonviolenza.
Aldo Capitini ne è stato il fondatore e ha voluto dare a questa associazione un impulso che va ben oltre la scelta di non cibarsi di violenza e di sofferenza. Pochi conoscono la scelta vegetariana come parte di un di-segno che vede nella nonviolenza la sua origine e il suo sviluppo. Noi vegetariani abbiamo una lunga storia di battaglie per i diritti civili, per l’ambiente e per il riconoscimento del diritto alla vita di chi ha avuto la sola colpa di nascere nonumano.
Fedeli alla tradizione della nonviolenza e del rispetto di tutti gli esseri viventi i membri del Comitato Medico Scientifico dell’Associazione Vegetariana Italiana si fanno promotori di un’iniziativa che vuole coinvolgere tutti i colleghi in una battaglia di civiltà, di amore e di rispetto.
Rivolgiamo questo appello a tutti i medici e proponiamo loro di farsi promotori e sottoscrivere la campagna Obiezione di coscienza al rilascio di certificati per il porto d’armi.
In una percentuale elevata di casi chi ha un’arma, la utilizza per scopi diversi da quello per cui la possiede. Molti utilizzano il fucile per uccidere gli altri animali in nome di uno sport chiamato caccia e a volte l’arma da difesa diventa arma di offesa rivolta verso il coniuge, il figlio, il parente, il vicino, scatenando tragedie orren-de.
Da un punto di vista numerico, con riferimento ai dati del 2001 si è calcolato che si verifica un incidente mor-tale sul lavoro circa ogni 3.500.000 giornate lavorative e almeno un incidente mortale di caccia ogni 550.000 giornate di caccia. Dal rapporto fra tali cifre risulta che le morti per caccia sono il sei volte e mezzo in più rispetto a quelle sul lavoro.
Se ancora confrontiamo il dato sulla caccia rispetto agli incidenti d’auto, dove vi è un incidente mortale ogni 634.658 “giornate di guida”, si vede che la caccia ha una frequenza del 15% in più di incidenti mortali.
Ogni giorno i giornali riportano notizie di omicidi e suicidi con armi regolarmente denunciate.
Tutti noi siamo consapevoli di quanto possa essere pericoloso avere un’arma e di come, in particolari mo-menti, i possessori possano essere indotti a utilizzarla in modo improprio. Chi la possiede per “difesa” molte volte la usa per offesa. Chi la usa per uno “sport” chiamato caccia e uccide ogni stagione poveri innocenti esseri viventi può usarla anche verso un presunto ladro o verso la moglie il vicino o chissà chi altro. Decine di migliaia di persone innocenti ogni anno muoiono in Europa e nel mondo per mano di uomini che, con il porto d’armi rilasciato da noi medici, hanno la licenza di uccidere.
La responsabilità che ha un medico quando rilascia questi certificati è evidente.
Per questo motivo vi chiediamo di farvi promotori di questa iniziativa che potrebbe sconvolgere il mercato delle armi e la cultura della violenza che è insita in chi possiede un’arma.
Dichiariamoci obiettori al rilascio del certificato per il porto d’armi.
È un gesto semplice, ma al tempo stesso potente: rifiutare il certificato di idoneità per il porto d’armi a tutti coloro che lo richiedono e che non lo necessitano per attività lavorative (come ad esempio polizia, guardie giurate, eccetera).
Chiediamo l’adesione a questa iniziativa a tutti: dai movimenti pacifisti, ai movimenti cattolici per la vita, dal Papa, al Presidente della Repubblica, dai Partiti, agli uomini di cultura, alle donne e agli uomini che vogliono la pace.
Forse da questo piccolo gesto, che ognuno di noi medici può e deve fare, può nascere qualcosa di più grande che dia veramente una svolta ai movimenti per la pace di qualunque colore essi siano.
Questo invito è rivolto soprattutto ai medici di famiglia, ma tutti i medici possono e devono aderire anche se non sono parte attiva nel rilascio del porto d’armi.

Medici primi firmatari:
Riccardo Trespidi, Ciro Aurigemma, Luciana Baroni, Stefano Cagno, Gabriele Peroni, Leonardo Pinelli, Luciano Proietti

Con l’adesione di:
Associazione PeaceLink
Movimento Nonviolento

Di Fabio