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Il paese di madreperla

DiDaniele Lugli

Ott 23, 2017
Somalia Il paese di madreperla 1

non uno di quelli pazientemente ricomposti come risulta da “Panorama”: “Quei mezzi militari dell’Esercito Italiano finiti in Somalia. La procura di Firenze ha scoperto un’organizzazione che trafficava mezzi e strumentazioni militari tra la Toscana e Mogadiscio”.

Lo ha scoperto la Polizia stradale toscana. Mezzi dismessi dall’Esercito, completi di strumentazioni e dotazioni militari (che avrebbero dovuto essere distrutte), arrivano ai combattenti somali. Arrivano smontati, ma completi da rimontare, come dall’Ikea. È frutto di una collaborazione tra pisani, livornesi e fiorentini, che non vanno sempre d’accordo. Sono stati individuati intanto, e carcerati, Salah, Mehdi, Mohammed, Issa, Ammed. Agli arresti domiciliari è invece Denis, l’unico con un cognome toscano, Nuti. È il gestore di una grande officina e provvede allo smontaggio.

Questi mezzi attrezzati sono molto richiesti. Mi ricorda “Nigrizia”: “Somalia, violenze al top. Il paese del Corno d’Africa detiene l’infausto primato di Stato africano con il maggior numero di morti causati da episodi di violenza. La responsabilità non è solo del movimento jihadista al-Shabaab, ma anche delle milizie claniche”. Sul sito dell’ACLED (Armed conflict location and event data) si trova un rapporto aggiornato a settembre. Dall’inizio dell’anno si registrano 1.537 episodi di violenza, il Sud Sudan, secondo in classifica, ne ha “solo” 686. Non provo a entrare negli sviluppi della feroce guerra civile che da 26 anni attraversa il paese. Il gruppo più noto, al-Shabaab, è legato ad al-Qaeda, in competizione perciò con lo Stato islamico e in guerra con l’Amisom (missione di peacekeeping dell’Unione Africana sotto l’egida dell’Onu) e l’esercito governativo somalo. Non scherzano neppure, secondo il rapporto dell’ACLED, le milizie legate ai vari clan, come Habar Gidir, clan degli Hawiye, e Marehan, clan dei Darod.

Una lunga storia lega Italia e Somalia, protettorato (1889), colonia (1908), occupata dagli inglesi (1941-1949), in amministrazione fiduciaria (1950), Stato sovrano (1960). Consiglio la lettura dei libri di Angelo del Boca. Solo ricordo che per vent’anni società private gestiscono in modo indecente il territorio, incassano i diritti doganali e altro, anche sulla compravendita, pur vietata, degli schiavi. L’Atto generale della Conferenza di Bruxelles (1890) la vieta e nel 1903 l’Italia emana decreti attuativi. Già il divieto era stato posto nel 1873 dal sultanato di Zanzibar, dalla cui concessione dipende l’insediamento italiano in terra somala. La gestione attraverso società private, scandalosa per vari aspetti, viene revocata.

Per vent’anni Mohammed Abdullah Hassan con i suoi dervisci impazza (è il caso di dirlo: è il Mad Mullah secondo gli inglesi) sognando la grande Somalia nella jihad contro inglesi e italiani occupanti. Alla sua morte, 1920, succede un periodo di relativa tranquillità fino all’arrivo del quadrumviro De Vecchi. Eredita una colonia attorno a Mogadiscio e due protettorati dei sultanati di Obbia e di Migiurtinia. Con un bilancio otto volte maggiore del precedente, con migliore armamento, aviazione e marina, ne fa una colonia sotto un unico comando: il suo. Spedizioni punitive, distruzioni di villaggi, fucilazioni massicce domano ogni resistenza. La colonia si estende ai danni dell’Etiopia e con la concessione dell’Oltre Giuba da parte degli inglesi. Pensa anche a una scuola per gli indigeni: non oltre la terza elementare però. I successori di De Vecchi manterranno il limite, aggiungendo il divieto di classi comuni con i bimbi italiani. Il regno del quadrumviro dura 5 anni. Il bilancio dell’ultimo anno registra entrate 22 milioni, uscite 75, disavanzo 53. Il bilancio complessivo del successivo Impero coloniale ha un andamento simile. Con la guerra si segnala l’unica vittoria. Viene conquistata la Somalia inglese, ma già nel ’41 l’intera Somalia. sarà perduta. Neppure l’amministrazione fiduciaria italiana tra il 1950 e il 1960 ha molti motivi per essere ricordata.

Se la Somalia è qualificata come la “Cenerentola delle colonie” allo Stato sovrano non va meglio. È il primo nella speciale graduatoria degli “Stati falliti”, il posto peggiore per essere madri per Save The Children, primo pure per mutilazioni genitali femminili. È le “pays des femmes cousues” (“il paese delle donne cucite”), secondo l’inchiesta condotta da Annie de Villeneuve nei primi mesi del 1936, pubblicata nel 1937 su “Journal des Africanistes”: “Etude sur une coutume Somalie: les femmes cousues. Il presidente che ha preceduto l’attuale aveva dato il proprio sostegno a una campagna per l’abolizione di questa pratica crudele.

Mohamed Abdullahi detto Farmajo (formaggio) è dall’8 febbraio il nuovo Presidente, con doppia cittadinanza somalo-statunitense e, anche, se non d’Italia, almeno di Eataly, visto l’appellativo. In lui si concentrano molte speranze della comunità internazionale e di molti somali. I problemi che ha di fronte sono immani. Più di metà della popolazione non mangia abbastanza, violenza estrema e corruzione caratterizzano il paese, nel quale la fedeltà tribale prevale sulle istituzioni. Del resto la sua stessa elezione, avvenuta nel solo posto considerato sicuro del paese, un hangar blindato nell’aeroporto di Mogadiscio, è basata sulla forza dei clan. Grandi elettori sono stati 275 parlamentari e 54 senatori, scelti nei mesi precedenti dai 14mila anziani di clan e tribù. Il nord del paese, Somaliland, ha proclamato l’indipendenza dal 1991. Pur non riconosciuto come stato autonomo ha moneta, burocrazia, polizia, esercito propri. Il suo Governo ha rapporti con Onu, Ue, Lega araba, Usa, Regno unito, Danimarca. La situazione interna è complessivamente migliore di quella esistente nel resto del Paese. Forse la Somalia ha qualcosa da imparare.

A me resta una curiosità, certo frivola di fronte alla serietà e imponenza dei problemi evocati. Che fine ha fatto “un magnifico servizio di posateria d’argento per quarantotto persone e un altro, veramente principesco, di porcellana appositamente eseguito da Ginori, con lo stemma della Società il biscione visconteo milanese? È lo stemma della “Società anonima commerciale italiana del Benadir” che gestisce gli interessi italiani prima della gestione statale. Luigi Robecchi Bricchetti nel 1904, in un’accurata relazione sulle malefatte della Società ne esalta tutta la magnificenza. Sia la coincidenza del “biscione” nello stemma, sia l’insistenza sulle cene eleganti, mi fa quasi pensare che possa essere pervenuto al signor B., appassionato collezionista di bellezze muliebri, Carina certo la “nipote” di Mubarak, egiziana-marocchina, ma la bellezza somala è superiore. Cenerentola, ma come tutte le “cenerentole” è meglio delle sorellastre. Ne è sicuro Giuseppe Zucca (“Il paese di madreperla”, 1926): “Belle, bellissime donne produce all’Italia, ottima buongustaia, la sterminata pianura della Somalia… questa loro pelle compatta, levigata, setosa… assai fresca al tatto, di un colore caffè poco bruciato, cacao al latte, mogano naturale, melanzana nero-violacea, ricca di riflessi, di impasti, di sottosensi, di sfumature cbiude come in una elastica guaina un corpo dove tu non hai più pensare alla rigida armatura dell’osso o alle corde dei tendini o al volume e al guizzo dei muscoli… E le mammelle piccole e erte, piantate molto aperte a sommo del torace; e ventre, niente. Molto flessuosa la vita; solide le anche ma ben scivolate; le reni cave; la gamba lunga, piuttosto sottile, sfusata con garbo; sotto il ginocchio minuto perfettamente a piombo; arida la caviglia, temprata in schietto metallo temprato dal lungo andare per sentieri delle carovane”.

Mi piacerebbe che grazie alle sue donne, non più oggetto di concupiscenza e consumo, anche più belle, perché libere finalmente da ogni crudeltà e oppressione, la Somalia fosse conosciuta con un nome prezioso: Il paese di madreperla.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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