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Passeggiate sulla murgia sconosciuta lungo gli itinerari di Jupiter

DiGabriella Falcicchio

Ago 26, 2014
Torretta di controllo - base missilistica di Altamura Alta

Dal 17 al 24 agosto le murge baresi hanno ospitato uno dei campi estivi del MIR-MN, presso il Casale Armonico in agro di Ruvo di Puglia, a due passi da Castel del Monte e non lontano dalle vestigia del passato militare delle murge. È lì che ho voluto portare i corsisti e qualche amico curioso per una passeggiata pomeridiana.

Sulla direttrice Ruvo-Altamura, infatti, abbiamo macinato qualche decina km in un territorio in cui – nonostante l’anomala estate che ha tinteggiato le campagne di un verdino inusuale rispetto al giallo secco tipico della stagione calda – gli ulivi cedono il passo alle lievi e spopolate sinuosità, ai campi di grano tagliato da tempo, al vento e al silenzio.

Ci siamo diretti allora verso una delle basi missilistiche degli anni ’60, quella chiamata di Altamura Alta, in località Ceraso, facile da percorrere per i sentieri ancora ben definiti tra il seminativo di grano e unica base che insiste nel territorio del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Si tratta di una delle 10 basi atomiche costruite all’inizio degli anni ’60 tra Puglia e Basilicata, ognuna delle quali ospitava 3 missili Jupiter. Nel pieno della guerra fredda, Fanfani prese accordi con Kennedy affinché, come in Turchia, anche in Italia venissero dispiegate le testate atomiche, ben 30, pronte a essere lanciate nell’arco di pochi minuti se fosse sopraggiunto l’ordine. Le murge vennero elette a tale scopo e i missili collocati in luoghi quasi sempre distanti dagli abitati più popolosi, dove nelle masserie vivevano agricoltori e allevatori, ma molta della popolazione locale ignorava cosa fossero quei cosi bianchi alti 20 metri e a quale pericolo fossero esposti. La tecnologia ultramoderna d’oltreoceano irrompeva nel silenzio immobile e premoderno della campagna pugliese. Certo, molta gente, ma non tutta ignorava il nucleo del problema, se è vero che a Gioia del Colle si svolse una delle manifestazioni assembleari più accese e se l’attivismo pacifista murgiano di quegli anni si organizzò nella prima Marcia della pace Gravina-Altamura, svoltasi il 13 gennaio 1963, ottenendo il consenso di molti intellettuali europei e italiani (tra questi anche il nostro amato Aldo Capitini).

L’aspetto più inquietante oggi è che, a parte il lavoro curato dal Centro Studi Torre di Nebbia (P. Castoro, “La Murgia nella guerra fredda. Dai missili atomici agli itinerari di pace”, Torre di Nebbia, Altamura 2008) e alle indagini, ad esempio, sui media del tempo condotte da appassionati come Gianluigi Cesari, manca la ricerca storica e che i luoghi di quel passato stanno scomparendo. Le basi sono state a volte “mangiate” dai mezzi agricoli di chi – anche ignorando il rischio ambientale mai adeguatamente verificato né dai privati né tantomeno dalle istituzioni – è rientrato in possesso delle terre e le ha rimesse a coltura da decenni. Restano ruderi, che se non si interverrà saranno distrutti dal tempo, che completerà l’opera di oblio a cui le scelte politiche hanno condannato finora questi siti. Di qui la necessità, l’urgenza direi, di portare le persone, i giovani in particolare a camminare su questi territori, che non conoscono affatto. È quanto ho voluto fare, insieme al prof. Corrado De Benedittis, questa primavera con ben 80 studentesse e studenti del mio corso di Pedagogia sociale e con una quarta del Liceo scientifico di Ruvo di Puglia. Anche con loro, passammo dal Ceraso e poi, risalendo la statale da Altamura e Gravina, ci spingemmo al campo di prigionia, poi campo profughi di Lama Sambuco, immediatamente prima del nuovo ospedale della Murgia.

Il campo è un altro importantissimo sito storico, di proprietà del Comune di Altamura (sul quale penderebbe la spada di Damocle di un appalto possibile per farci villette), in completo stato di abbandono e con edifici pericolanti. Il suo valore passa da alcune caratteristiche importanti. Innanzitutto il campo esiste, a differenza del campo di prigionia della Prima Guerra di Santeramo in Colle, di cui è rimasto solo un fabbricato con l’alzabandiera e sito in proprietà privata. Poi la configurazione di “campo” è chiarissima e straordinariamente efficace sul piano didattico per far capire a ragazzi o visitatori di ogni età la logica del campo (qualunque definizione esso abbia, di prigionia, concentramento, lavoro o sterminio), cioè il controllo assoluto dei detenuti, come in ogni istituzione totale. Controllo che passa dall’invisibilità della struttura dall’esterno (chi percorre la statale Altamura-Gravina non può immaginare cosa ci sia oltre il declivio e vede pochissimo), a cui fa da contrappunto il criterio chiave del panopticon all’interno. Chi sta ne campo – i prigionieri – è visibile costantemente. Sarebbe dunque esperienza formativa validissima per gli studenti toccare con mano concetti che solitamente attribuiamo ad altri campi, come i lager nazisti, ma che valgono per ogni istituzione totale.

C’è infine un altro motivo rilevante, e cioè il valore dei graffiti presenti in alcune costruzioni. Il campo di prigionia – di cui si sa poco e su cui ha scritto una pagina il prof. Pasquale Sardone nel volume prima citato – divenne dal 1951 al 1961 campo profughi che ospitava italiani in fuga da Dalmazia o Libia dopo la fine dell’ultima guerra mondiale. Riadattato a villaggio, aveva anche la scuola dell’infanzia ed elementare. All’interno di un edificio ancora presente, stanno purtroppo sbiadendo testimonianze incise direttamente dai profughi in serbo (come la frase in foto “Smrt Fascism Sloboda Narodu”, “Morte la Fascismo, Libertà al Popolo”), oltre che alcune cartine dell’Europa dell’Est e dell’Italia dipinte e ricche di particolari.

Pensare che questi luoghi diventino discariche di rottami buttati lì, luoghi di ritrovo di bevitori di birra o frequentatori di prostitute (come purtroppo altre testimonianze meno gradevoli attestano), ignorati dalla popolazione e soprattutto dai giovani, abitati solo dagli uccelli che hanno steso il loro tappeto di guano sui pavimenti, mentre le pitture esposte all’umido e alle intemperie scoloriscono, fa piangere il cuore.

Che vengano distrutti e rimpiazzati da villette a opera proprio delle istituzioni è ancora più grave. Il Centro Studi Torre di Nebbia, che ha prodotto pubblicazioni di pregio su questi siti e sulla storia della Murgia, ha più volte proposto di convertire questi luoghi in parchi della memoria e della pace, che richiedono certo investimenti ma possono anche produrre reddito, se ben gestiti. Di questo abbiamo bisogno, ma gli Enti locali – Regione in testa – hanno finora disatteso queste proposte, lasciando che l’incuria e il perdurante stato di ignoranza della popolazione facciano il resto. Non solo un peccato, ma una colpa grave.

Noi, oltre che raccogliere e rilanciare queste proposte che darebbero un volto culturale serio e significativo al turismo murgiano, sempre più di vocazione europea anche per volontà del Parco dell’Alta Murgia, vogliamo continuare a portare le persone su questi luoghi, creando interesse e svegliando dal torpore volutamente indotto quei cittadini del prossimo futuro a cui la memoria è affidata.

Ringrazio Vince Fariello per le foto scattate in occasione della passeggiata con i corsisti MIR-MN.deposito jupiter edificio comando jupiter europa orientale sloboda narodu torre di guardia perimetrale torretta jupiter

Di Gabriella Falcicchio

Ricercatrice presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bari, Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche, responsabile del Centro Territoriale Pugliese del Movimento Nonviolento.

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