Riceviamo e pubblichiamo, in occasione dell’anniversario del 7 ottobre, questo testo del filosofo Mauro Bozzetti, condividendone lo spirito “senza vendetta”.
Se Israele avesse rinunciato alla vendetta, avrebbe portato le democrazie occidentali a riconoscere senza mezzi termini la barbarie di Hamas e a richiedere con convinzione la liberazione degli ostaggi.
All’interno della striscia di Gaza poi si sarebbe potuta esprimere, con le dovute cautele, una opposizione interna alla politica e al gesto folle di Hamas, che avrebbe potuto portare anche ad una nuova intesa politica della popolazione di Gaza con settori dell’OLP.
Rinunciare alla pratica terribile e ingiustificabile della vendetta avrebbe sostanzialmente favorito un senso di umanità diverso da quello normalmente attribuito alle forze di occupazione del governo d’Israele, creando problemi etici ad una organizzazione come Hamas ormai accecata dalla stessa voglia di rivalsa.
Se Israele avesse rinunciato alla vendetta, se la sua anima religiosa, anche guardando a ciò che resta del Muro del pianto, si fosse raccolta, in silenzio, a pensare prima di agire; il mondo intero avrebbe cercato di riconsiderare le ragioni su cui si fonda l’ingiustificabile regime di Apartheid nei confronti del popolo palestinese, aprendo una discussione sul non-senso dello stesso e sulla necessità inderogabile della convivenza. Anche ricordando i tempi belli in cui israeliani e palestinesi vivevano pacificamente insieme, come ricorda ad esempio Hans Jonas.
Se Israele avesse parlato di pace invece di scaldare i motori dei suoi infiniti Carrarmati, la condanna morale dell’operato di Hamas avrebbe assunto una giustificazione ecumenica ridando una qualche autorità ai versetti della Torah.
Una risposta nonviolenta poteva rappresentare anche l’apertura di un confronto sullo stato delle cose, per capire che la violenza non può avere carattere risolutivo dei problemi, ma solo esasperare gli stessi e rendere la terra da entrambi i popoli amata un ammasso di macerie e morte come invece è avvenuto, come sta avvenendo. Si sarebbe potuto aprire una discussione fra la sofferenza storica della Shoah e quella della Nakba e non per inseguire l’unicità, ma per ritrovare l’umanità sofferente che quelle terribili vicende hanno causato.
Dopo il 7 ottobre tutti si aspettavano la vendetta, nessuno pensava a un gesto di misericordia, alla sospensione del giudizio, al darsi un tempo per il lutto, e chiedere aiuto per evitare una risposta che non fosse nel segno della violenza. Sia Hamas che Israele hanno pensato subito alla vendetta che sarebbe arrivata o che doveva arrivare.
Ecco, il problema della Palestina oggi è che gli interessi di Hamas si sono incontrati con quelli del reazionario governo di Netanyahu. I morti, i troppi morti, sembrano giustificare sia l’agire di Hamas, che nel militarismo omicida di Israele vede legittimata la sua stessa scelta militare, sia la politica intransigente e colonizzatrice del governo Netanyahu, che può giustificare eticamente la sua condotta violenta negando a sua volta al nemico palestinese qualsiasi forma di parentela con il genere umano.
E come sempre, e di nuovo, l’odio produce odio, violenza genera violenza. E come sempre a perdere la loro preziosa vita sono civili inermi, bimbi assolutamente innocenti, ignari di ciò che gli adulti maturi, non più bambini, sono in grado di infliggere alla loro esistenza.
Mahmud Darwish diceva che “Gaza dichiara che merita di vivere”, ma l’eccidio di quasi due anni fa è nel segno della stessa disumanità per decenni subita.
Solo il sentiero sabbioso e accidentato della nonviolenza, solo il riconoscimento dell’altro come prossimo al mio essere può portare i fronti di lotta non a ridosso del precipizio ma sulla radura di un rinnovato dialogo, in modo che la pace possa far sentire nuovamente la sua flebile voce.
Mauro Bozzetti
