di Mao Valpiana *
Cinque lezioni, nell’anniversario
Sono i suoi scritti, a disposizione di tutti, l’eredità principale che ci ha lasciato e che produce frutti che ognuno può cogliere e gustare.
Alexander Langer (1946-1995) era e ha fatto tante cose (esploratore di frontiere, saltatore di muri, facitore di pace, pacifista concreto, viaggiatore leggero, costruttore di ponti, architetto di pace, tessitore di reti, utopista concreto, motorino d’avviamento, traditore della compattezza etnica) ma le sue due professioni sono state insegnante e giornalista: dunque le parole sono state gli attrezzi del mestiere.
Ricorda nella sua autobiografia Minima Personalia: “Reggio Calabria – Sudtirolo, la lotta contro lo Stato” è il titolo del mio primo paginone sul quindicinale Lotta Continua. Mi dedico agli esteri e acquisisco conoscenze e competenze intorno a problemi internazionali”.
Alex è stato un fine intellettuale che usa idee e parole non per creare nuove idee e nuove parole, ma per modificare la realtà, per spingere all’azione, per cambiare la politica, per mettere in contatto le persone, per realizzare progetti concreti. Così che anche i suoi pezzi migliori, persino quelli della tensione poetica, sono stati partoriti sempre per una finalità bene precisa, indirizzati ad uno scopo sociale. I suoi articoli, anche se hanno un valore assoluto, che li rende attualissimi ancor oggi, sono in realtà sempre riferiti al momento storico in cui sono stati scritti, quasi sempre su richiesta esplicita di chi ne aveva bisogno per un’iniziativa contingente. Scritti ieri guardando a domani.
Ha prodotto tanto, Alex, per giornali e riviste. Ha scritto anche per Azione nonviolenta (ogni volta che glielo chiedevamo, e anche quando non trovava altri luoghi accoglienti per pubblicare le sue proposte, a volte troppo scomode). Sono 22 gli articoli di Langer raccolti in “Fare la pace – scritti su Azione nonviolenta 1984-1995” (Edizioni Cierre e Movimento Nonviolento Editore, 2005, seconda edizione 2017).
Per questo oggi lo voglio celebrare su queste pagine, tre decenni dopo quel tragico giorno di luglio. È per me come ritrovarlo qui su Azione nonviolenta, dove si sentiva a casa …
“Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa mia dipartita”, ha scritto nel suo ultimo biglietto a Pian dei Giullari, il 3 luglio 1995.
A trent’anni dalla sua disperata dipartita, sentiamo ancora intatta la nostalgia e anche il vuoto lasciato dalla sua assenza. Non c’è incontro, riunione, convegno, manifestazione, assemblea di movimento dove Alex non venga in qualche modo ricordato, citato, rimpianto. Ci manca. Ma lo sentiamo anche fortemente vicino, compresente. Alla domanda ricorrente “perché?” non ci può essere risposta, ma ognuno di noi un senso a quella morte lo vuole dare: forse a schiacciarlo è stato il troppo amore, la troppa compassione, il farsi carico senza limite dei pesi altrui.
L’aveva scritto chiaramente in quel suo capolavoro letterario del 1990 che è la lettera a San Cristoforo, il traghettatore da una riva all’altra del fiume del bambino dapprima leggero ma che poi si sarebbe rivelato essere il Cristo, con tutto il fardello delle sofferenze dell’umanità: “Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare? Quale è la Grande Causa per cui impegnare oggi le migliori forze?”. Cinque anni dopo quelle domande, le sue ultime parole sono state: “I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più”. Nell’estremo gesto, nella precisione con la quale l’ha preparato, c’era un senso religioso: la scelta del luogo, il libro di preghiere, la cena con gli amici qualche giorno prima, l’ordine lasciato nelle proprie cose, le ultime telefonate per ricordarci gli impegni e i prossimi appuntamenti (ai quali sapeva che non avrebbe partecipato…), un atto meditato da giorni, da settimane, cresciuto negli anni.
In una lettera agli amici: “Penso di aver compiuto un periodo di servizio sufficientemente lungo da poter desiderare un periodo sabbatico” (febbraio 1994, prima delle elezioni europee); e poi a voce ci confidava: “Tutti cercano risposte da me, ma io non ho risposte nemmeno per me stesso”.
L’abbiamo perdonato, certo, ma gli abbiamo anche chiesto perdono per non aver saputo capire la disperazione che c’era dietro a quel sorriso accogliente, dietro a quella totale disponibilità a fare sacrificio di sé.
La figura di Langer oggi piace molto ai giovani. Lo sentono attuale, vero, coerente. Offre loro un’idea di politica così diversa e bella rispetto alla decadenza e alle miserie viste negli ultimi decenni. La forza di Alex sta nel fatto che viveva coerentemente con ciò che diceva. La vita e la politica le aveva prese sul serio.
Pace e ambiente, risoluzione nonviolenta dei conflitti e transizione ecologica, sono i due binari su cui correva la locomotiva Langer (la velocità di lavoro, le corse per rispondere a tutte le richieste, erano le uniche incoerenze che si concedeva, rispetto al suo lentius, che valeva per gli altri, mantenendo per sé solo il profundius e il suavius). L’attualità del suo pensiero è impressionante.
Ma c’è un’avvertenza, che voglio esplicitare.
Nessuno è legittimato a servirsi dei suoi scritti di anni fa, o di sue scelte politiche legate alla contingenza dei tempi, per utilizzarli politicamente nella realtà di oggi, in una direzione o nell’altra. Iscrivere d’ufficio, a posteriori, una persona ad un movimento, rischia di essere un’operazione arbitraria. Per il rispetto che ho dell’esperienza umana e politica di Langer, preferisco non fargli dire proprio niente sull’oggi. Cosa farebbe oggi Langer rispetto alla guerra in Ucraina o in Palestina è una domanda insensata che non ha risposta. Tocca a noi scegliere cosa e come fare. Lasciamolo in pace, non tiriamolo in ballo per fargli dire da che parte sarebbe stato oggi. Alex ha deciso di non dire, di non sapere e non vedere più nulla, e va rispettato anche in questa scelta. La lezione del Maestro Langer è terminata il 3 luglio 1995. Tocca a noi attuare quello che abbiamo imparato.
Alex Langer è stato un maestro perché abbiamo saputo riconoscerlo come tale.
Tra le tante perle che ci ha regalato, scelgo di segnalare qui cinque lezioni fondamentali che Alex ha impartito ai suoi discepoli di allora e a chi vuole esserlo oggi.
La lezione di pace
Contro la guerra cambia la vita è una delle invenzioni di Langer emersa da quella avventura prolifica che fu la Campagna nord-sud. Lo scrive lui stesso, sintetizzando gli obiettivi politici che voleva raggiungere: aiutare a superare il “pacifismo (solo) gridato” e affrontare il ricorso alla “forza”, senza che ciò debba essere sinonimo di guerra, un problema che i nonviolenti da sempre pongono e che non può ridursi all’alternativa tra subire o fare la guerra.
“Dinnanzi al fallimento della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognerà pur rafforzare gli “anticorpi” a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate.
Se è considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognerà pur che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di “obiezione alla guerra”. Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per “cambiare la vita di fronte alla guerra”, nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare – ognuno – almeno un pezzettino di apparente giustificazione.
sono convinto che oggi il “settore R&S” (ricerca e sviluppo) della nonviolenza debba fare grandi passi avanti e non fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza civile. E la spaventosa guerra in corso non deve farci fare tutti quanti un salto indietro, riammettendo la guerra tra i protagonisti della storia e tra gli strumenti – seppur estremi – della convivenza tra i popoli. Con il livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarietà ecologica del pianeta comunque non ci può più essere “guerra giusta”, se mai ve ne poteva esistere in passato”
(Terra Nuova Forum, gennaio 1991).
La lezione israeliana/palestinese
La sua radice ebraica, e il suo cristianesimo, l’hanno reso ancor più sensibile e attento a quanto accadeva in Terra Santa.
“Pur rendendomi conto anche delle persecuzioni e sofferenze che la nascita di questo Stato a sua volta aveva inflitto ad altri innocenti – i palestinesi – tremavo all’idea che gli ebrei d’Israele potessero davvero essere “buttati a mare”. Aggiungo che tremerei – anzi tremo visto che si parla di una realtà tremendamente in corso – all’idea dell’esilio forzato e del genocidio del popolo palestinese”.
La sua analisi, lucidissima, sul suicidio di Israele:
“Le discriminazioni e le barriere etniche contro i cittadini israeliani non-ebrei, ed in particolare contro i palestinesi, ed il ruolo indubbiamente repressivo verso i palestinesi dei territori occupati; la contrapposizione armata verso tutti i suoi vicini; una tragica solitudine che cerca affinità e solidarietà piuttosto che con i propri vicini, oltre gli oceani; la crescente militarizzazione della convivenza civile; l’essere sempre in guerra; […] tutto questo e molto altro, non può essere quell’Israele della speranza e della ragione che i Baruch Spinoza, i Martin Buber, i Walter Benjamin e le Hannah Arendt e tanti altri maestri di sapienza biblica, di scienza e di vita ci fanno amare e sperare”.
(il manifesto, 1 marzo 1987)
La lezione jugoslava
Nel disorientamento generale, seguito all’inizio della guerra dei Balcani, primo banco di prova fallimentare della politica estera europea, Alex si è messo subito all’opera, convocando e costruendo il “Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace in Jugoslavia”.
“C’è un gran bisogno di sostenere coloro che vanno contro corrente, e che sono i soli che indicano una strada praticabile per il futuro: i serbi che si oppongono alla politica antidemocratica e granserba di Milošević e di Drasković e che sono solidali con gli albanesi del Kossovo, i croati che si oppongono al nazionalismo croato di Tudjman e cercano soluzioni per le comunità serbe incluse in Croazia, gli sloveni che lottano per una Slovenia smilitarizzata e per il diritto alla cittadinanza anche degli immigrati provenienti dalla Jugoslavia del sud, i montenegrini che non vogliono che la loro repubblica sia vassalla di Milošević, i macedoni che riconoscono pari diritti ai loro concittadini di lingua albanese, i musulmani della Bosnia che si oppongono alla spartizione del loro paese tra serbi e croati, le donne che manifestano contro la guerra, i disertori ed i renitenti alla guerra ed al richiamo nazionalista”.
(il manifesto, 26 gennaio 1992)
La lezione umana
Alex ha dovuto scrivere molti necrologi nella sua breve vita. Uno dei più drammatici è quello per la sua amica “pacifista visionaria” Petra Kelly.
“Con foga quasi religiosa e con enfasi profetica aveva proclamato alcune verità semplici, ma difficili da tradursi in politica: che la pace si fa togliendo di mezzo le armi e gli apparati militari, che i diritti umani e di tutti gli esseri viventi non possono sottostare ad alcuna ragione di stato ed hanno carattere assoluto, che l’umanità deve optare se accelerare la corsa al suicidio (ed ecocidio) o se preferisce un profondo cambiamento di rotta, magari doloroso per qualche rinuncia nel breve periodo, ma anticipatore di una nuova e più ricca qualità della vita”.
La conclusione del pezzo lascia senza fiato. Ci parlava di se stesso, ma non l’avevamo capito:
“Forse è troppo arduo essere individualmente degli “Hoffnungsträger”, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanita e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”.
(il manifesto, 21 ottobre 1992)
Le lezione politica
Viene considerato il fondatore dei Verdi, ma in realtà si è sempre mosso per non farli diventare partito, per il loro scioglimento. La sua principale attenzione era per il Regno, non per la Corte. Parafrasando langerianamente il detto evangelico possiamo dire che i partiti sono stati fatti per la Politica, non la Politica per i partiti. Ecco il suo pensiero:
“La logica dei blocchi blocca la logica, ce l’ha insegnato il movimento pacifista. E per coagulare sul serio percorsi ed ispirazioni diverse in uno sforzo comune, bisogna che prima di tutto le rigidità e gli spiriti di bandiera si attenuino e magari si dissolvano. “Solve et coagula”, sciogliere e coagulare, dicevano gli alchimisti rinascimentali”.
Sollecitato a dare un mano per risolvere crisi interne ai Verdi, lotte tra capi-correnti, scontri per le composizioni delle liste elettorali, rispondeva così:
“Non credo che alcun meccanismo “interno” possa aiutarci ad uscire dalla secche. Prima dobbiamo profondamente rinnovare la nostra conoscenza del mondo “esterno”, sino a diluire al massimo la distinzione tra interno ed esterno, altrimenti continueremo ad occuparci più della Corte che del Regno”. E i suoi consigli erano tanto chiari, quanto inascoltati: “chiudere il partito per un anno; – ricominciare – anche in vista delle elezioni regionali e comunali – dall’impegno locale, che potrebbe sostanziarsi nella costruzione di comitati per dar vita a liste “maggioritarie” (con eventuali elezioni primarie) non espresso da accordi fra vertici di partiti e con molte persone nuove (non solo, però); – lavorare per valorizzare culture politiche non interne alla sinistra, “popolari” e anche “di conservazione”. E poi la conclusione, con una soluzione spiazzante, per andare “oltre” la stessa politica: “Il fatto che le proposte di alternative sin qui avanzate (anche da noi!) non abbiano né convinto la gente né immunizzato il popolo italiano contro la gigantesca aberrazione che oggi si esprime nella maggioranza politico-televisivo-pubblicitaria berlusconiana, ci deve far riflettere e cambiare profondamente, se vogliamo continuare a dire una parola che pesi in politica. Altrimenti è meglio (forse ci si dovrà arrivare) che scegliamo un altro terreno di impegno, meno legato alla rappresentanza, al potere, alle istituzioni”.
(L’Unità, 19 novembre 1989 e Lettera ai Verdi Veneti, luglio 1994)
Il Maestro Langer ha ancora tante altre lezioni pronte, per chi vuole studiare, ripassare, approfondire. Ognuno può seguire quella che sente più adatta per se stesso. I suoi scritti sono lì, basta leggerli. Il suo archivio, in gran parte ancora inesplorato, curato dalla Fondazione Alexander Langer Stiftung, e prossimamente depositato presso l’Archivio della Provincia autonoma di Bolzano in accordo con la Fondazione Museo storico del Trentino, è una miniera.
Ai giovani che mi chiedono da quali testi partire per avvicinarsi al suo pensiero/azione, consiglio sempre il Tentativo di Decalogo per la convivenza interetnica (insieme ai due testi religiosi A proposito di Giona e Caro San Cristoforo). Il punto 9 del Decalogo, è per me decisivo. Si intitola “Una condizione vitale: bandire ogni violenza”.
Su questo ho già scritto nel decimo e nel ventesimo anniversario. E riporto qui, in conclusione, le stesse mie parole, perché mi appaiono ancora valide.
Il convinto e convincente no alla violenza è per me una definizione essenziale della nonviolenza.
Langer descrive e interpreta la nonviolenza senza mai nominarla esplicitamente. Di sicuro è una scelta voluta e motivata. La ricerca di strumenti efficaci per la convivenza interetnica, ha portato alla nonviolenza, il cui cuore sta proprio nel rifiuto della violenza. No alla violenza, dice Langer. E non aggiunge altro. Non ha bisogno di specificare “senza se e senza ma”, o – come più probabilmente avrebbe fatto – “con tanti se e tanti ma”. Dice solo “no alla violenza”, e tutti capiscono cosa significhi. E’ un no chiaro e deciso. Ma deve essere anche “convinto e convincente”.
Convinto. Chi rifiuta la violenza deve aver fatto un percorso interiore, deve esserne intimamente convinto, persuaso direbbe Capitini, deve rifiutare innanzitutto la propria violenza, quella che viene da dentro di sé, prima di poter ripudiare quella esterna, quella degli altri.
Convincente. Il rifiuto della violenza non può essere uno slogan, una bandiera, un precetto. Diventa un messaggio convincente solo se chi lo riceve ne vede l’utilità, ne capisce l’importanza decisiva. Diventa convincente un messaggio di cui si vede l’efficacia, oltre alla bontà della testimonianza.
Se si è convinti si riesce ad essere convincenti. E si è convincenti solo se si è davvero convinti.
Alex era un persuaso della nonviolenza, nella parola e nell’azione, e perciò ancor oggi la sua testimonianza è convincente.
La politica di Langer sembra aver perso. Il Sudtirolo, l’Italia, l’Europa, il mondo, stanno andando nella direzione contraria per cui si è speso tutta la vita. Eppure, il suo messaggio orienta ancora il pensiero e l’azione di tante persone di buona volontà, perché quello che era giusto, è ancora giusto, e sarà giusto.
Di questo, e altro, parleremo al Convegno su “Alex Langer, facitore di pace” che si terrà a Verona nei giorni 18 e 19 ottobre 2025, promosso dal Movimento Nonviolento con la Fondazione Toniolo e la Scuola di Pace e di Nonviolenza.
L’amicizia va oltre la morte. Grazie, Alex.
* Presidente del Movimento Nonviolento
3 luglio 2025