Pubblichiamo volentieri questo secondo articolo del filosofo Mauro Bozzetti (il primo è uscito il 6 ottobre con il titolo “Se Israele avesse rinunciato alla vendetta…”) che ci stimola, con il suo sguardo critico, a proseguire la riflessione su quale debba essere il ruolo dei nonviolenti rispetto al più ampio movimento per la pace. Ringraziamo Bozzetti per l’attenzione e la predilezione verso Azione nonviolenta.
Dopo una prima pacificazione fra Hamas e lo stato di Israele, dopo il rilascio degli ostaggi ancora vivi e di migliaia di palestinesi imprigionati da Israele, sarà decisivo vigilare su quale indirizzo e quale forma politica prenderà corpo in Palestina. Il movimento di protesta che si è creato in questi mesi per denunciare l’ingiustizia e la violenza esercitata da Israele soprattutto nei confronti del popolo palestinese, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, ha indubbiamente avuto i suoi effetti positivi. Soprattutto l’azione nonviolenta della Sumud Flottilla e il suo seguito via terra hanno costretto i governi americano e israeliano ad abbandonare i folli piani di vendetta per arrivare ad un compromesso. Pacificare quella terra così cara alle tre religioni monoteiste sarebbe una conquista per l’umanità intera e un forte segno di maturità. Il cardinale Pizzaballa ha sostenuto che “Gaza ha risvegliato la coscienza civile”, manifestando un’energia che non deve andare perduta per influenzare ancora il lungo processo verso l’auspicabile pace che sia qualcosa di più di un semplice armistizio.
Quello in Medio Oriente però non è l’unico conflitto in corso, se ne contano una quarantina, e il secondo a noi più vicino è sicuramente quello della resistenza ucraina contro l’invasore russo. Sarà interessante vedere se anche verso il conflitto russo-ucraino assisteremo ad un impegno energico e creativo, da parte della coscienza civile, per chiedere a una sola voce la fine anche di questa guerra che dura da più di tre anni e mezzo. A differenza dei Palestinesi gli Ucraini hanno uno stato da difendere e un desiderio condiviso dalla maggioranza della sua popolazione: diventare a tutti gli effetti una democrazia di tipo europeo e finire militarmente sotto l’ombrello protettivo della Nato, come si è affrettata a fare la Finlandia per difendersi dalle mire espansioniste della vicina Russia. L’America si allontana e la Russia si avvicina.
Io credo che questo non avverrà. Cioè, non credo che il movimento di indignazione che si è creato attorno alla difesa del popolo palestinese ferocemente attaccato abbia voglia di mantenere la stessa sensibilità nei confronti del martoriato popolo ucraino. E condivido pienamente il pensiero di Mahmud Darwish, il grande poeta palestinese, che in un’intervista con la poeta israeliana Helit Yeshurun sostiene: “Sai perché noi palestinesi siamo famosi? Perché voi siete stati nostri nemici. L’interesse per la questione palestinese deriva dall’interesse per la questione ebraica. Sì. È per l’interesse verso di voi, non verso di me! Se la nostra guerra fosse stata con il Pakistan, nessuno se ne sarebbe occupato”.
Saranno i fatti a fare la storia, ma la convinzione che Putin sia stato provocato, anzi minacciato dalla Nato con il favorire l’adesione della Ucraina nella sua Alleanza, è opinione maggioritaria all’interno di questo movimento di protesta. Opinione a mio avviso sbagliata: il paese più grande del mondo dovrebbe temere di essere accerchiato anche se la somma dei paesi Nato non costituisce neppure un decimo delle sue frontiere. L’invasore è poi tacitamente giustificato da questo movimento, nella sua azione omicida, perché gli ucraini sarebbero sostanzialmente dei nazisti, e questo lo si dice anche se il partito di estrema destra Swoboda nell’elezione del 2014 non ha neppure raggiunto il 5 per cento, ed è sensibilmente calato nel 2019. E lo si dice senza mai sottolineare che Putin governa il suo paese in maniera dittatoriale, incarcerando o uccidendo gli oppositori politici (Aleksej Navalny e Anna Politkovskaja su tutti e tutte), e che vede la forma democratica come il fumo negli occhi, figuriamoci poi se il popolo vota un presidente di origini ebraiche come è Zelensky.
Un “vero” movimento pacifista che si ispira alla nonviolenza non può avere comportamenti diversi a seconda delle simpatie politiche ereditate da un vecchio modo di fare politica, da un vecchio linguaggio derivante dalla lotta di classe. Alexander Langer diceva che fra il linguaggio della sinistra e quello dei verdi vi è un dato di continuità ma anche di rottura che lui paragonava alla relazione biblica fra Vecchio e Nuovo Testamento. Vi è una continuità fra i testi profetici, storici, sapienziali e l’epoca della Buona Novella, ma anche la rottura che il compimento di quel messaggio comporta. Le virtù verdi e nonviolente di cui lui parla sono qualitativamente diverse da quelle unicamente sociopolitiche di un discorso di sinistra. E io credo che per risolvere i problemi che abbiamo di fronte oggi, la sua prospettiva sia più giusta: non ci sono guerre legittime: contro la guerra, cambia la vita.
Mauro Bozzetti
Università di Urbino
