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Gli Italiani son fatti così

DiDaniele Lugli

Mag 6, 2019

Gli Italiani son fatti così

Molte volte per spiegare, o peggio ancora per giustificare, gli spropositi e le porcherie fatti ieri e oggi dai politicanti italiani di ogni denominazione, si ripete che “gli italiani son fatti così” e la botte non può dare che il vino che ha.

Giolitti ai suoi tempi diceva che il popolo italiano era gobbo e – lui – non poteva fare a un gobbo altro che un abito da gobbo. E certo il popolo italiano era gobbo. Ma Giolitti invece di tentare quanto sarebbe stato possibile per farlo, non dico dritto come un fuso, ma un gobbo meno gobbo di quanto egli aveva trovato, lo rese più gobbo di quanto fosse prima. Poi venne Mussolini e disse che il popolo italiano era buono a nulla. Poi sono venuti molti – troppi – antifascisti e anch’essi dicono che il popolo italiano è fatto così. Dove tutti sono responsabili, nessuno è responsabile…

La verità è che dove tutti sono responsabili, ciascuno è responsabile per la parte che gli spetta, in proporzione della sua capacità a fare il bene o fare il male, e in proporzione del male che ha realmente fatto e non ha cercato di impedire. Un contadino sardo è anche lui responsabile per la sua quarantacinquemilionesima parte di quanto avviene oggi in Italia. Ma un Ministro che sta a Roma è infinitamente più responsabile che un contadino sardo, per quel che avviene col suo consenso, o per suo ordine, o con la sua complice passività…

Gli italiani furono responsabili per non aver mandato al diavolo il re col suo duce, sebbene, a dire il vero, sia difficile spiegare che cosa gli italiani avrebbero potuto fare, ridotti come erano a polvere incoerente e passiva da una organizzazione di pretoriani armati e da una polizia onnipotente. Ma lui il re, che non correva nessun pericolo di essere bastonato o mandato al domicilio coatto e in galera, lui, il re che aveva ai suoi ordini un esercito, non ebbe dunque nessuna responsabilità nelle vigliaccherie e nelle perfidie per cui rimarrà immortale nella storia?…

Sissignori, gli italiani presi uno per uno sono quello che sono. Ma grazie al cielo, non tutti sono allo stesso modo. Ve ne sono alcuni che… sono fatti diversamente.

Quanti siano stati partigiani in Italia fra il settembre 1943 e l’aprile 1945 nessuno saprà mai. Il comandante delle truppe angloamericane ammise che nei primi mesi del 1945 essi distrassero dal fronte di combattimento sei divisioni nazifasciste. Sei divisioni, anche calcolando diecimila uomini per divisione, fanno 60.000 uomini. Per tenere a bada 60.000 uomini bene armati, organizzati alla tedesca sotto una direzione centrale, quei partigiani scalcagnati, divisi in gruppi scombinati, senza rapide comunicazioni, e con una direzione centrale che funzionava come Dio voleva, devono essere stai almeno tre volte più numerosi delle divisioni nazifasciste. Dunque non corriamo pericolo di esagerare se mettiamo che nei primi mesi del 1945 vi erano nell’Italia del Nord non meno di 180.000 partigiani. Ma mettiamo fossero non più di 100.000. Dietro a quei 100.000 uomini di prima linea, c’erano le seconde e le terze linee, senza il cui favore la prima linea non avrebbe potuto tenere duro per mesi. Se calcoliamo tre persone (uomini e donne) di seconda e terza linea per ogni uomo di prima linea, siamo certi di non esagerare. Abbiamo dunque un totale di 100.000 più 300.000 uomini e donne: cifra tonda 400.000 italiani.

Non tutti sono stinchi di santo. D’accordo. Molti erano anche essi fatti così. D’accordo. Facciamo una tara della metà. Facciamo una tara dei due terzi. Facciamo una tara dei tre quarti. Si potrebbe essere più pessimisti di così? Restano sempre 100.000 uomini e donne, in tutti i partiti e fuori di tutti i partiti, che erano fatti diversamente.

E quand’anche gli italiani che sono fatti diversamente, fossero non centomila, ma appena mille, cento, dieci, uno solo, quell’uomo solo – degno di rispetto e non carogna – dovrebbe tener duro e non mollare. E sarebbe dovere approvarlo, incoraggiarlo, sostenerlo e non dirgli: “Pensa alla salute, tira a campare, chi te lo fa fare, bada ai fatti tuoi, lascia correre: gli italiani son fatti così”. Un uomo degno di rispetto è una ricchezza che non si deve buttare via.

Chi sa? Quell’uomo solo potrebbe diventare, quando meno lui stesso se lo aspetta, centro d’attrazione e di cristallizzazione per molti altri.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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