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Il prossimo che non vorremmo

DiDaniele Lugli

Set 9, 2019

A me basta quanto è detto nel Talmud: “Ciò che contraria te stesso, non farlo al tuo prossimo; ecco tutta la Legge, il resto sono solo commenti”. Non andrei oltre, memore dell’ammonimento di Bernard Shaw: “Non fare agli altri ciò che vorresti che loro facessero a te. Possono avere gusti diversi dai tuoi”.

Chi è il prossimo allora? Pròssimo viene dal latino proxĭmus, superlativo di prope, «vicino». Cioè è vicinissimo, vicino vicino. E vicino è pure dal latino, vicīnus, cioè dello stesso vicus, villaggio, rione. Ci sono due storie che propongo, una tristissima, passata (ma ne siamo proprio sicuri?) e una in corso, molto bella.

Neighbors

Neighbors – vicini di casa – è il titolo di un libro di Jan T. Gross. Il contenuto è chiaro da come è stato intitolato nell’edizione italiana. “I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia”.

Jedwabne ha ora tra i 5 e i 6 mila abitanti. Ne aveva poco più di 3 mila durante la guerra. Prima fu occupato dai russi, quando con i tedeschi si spartirono la Polonia, e poi dai tedeschi quando iniziò la guerra tra Germania e Russia. Secondo la deposizione di un testimone alla commissione dell’Istituto storico, il 5 aprile 1945 “Prima della guerra a Jedbwabne vivevano 1600 ebrei: ne sono sopravvissuti soltanto 7, che furono salvati dalla signora Wyrszykowska…”.

Nel dopoguerra ci fu un processo. Nel complesso era un paese tranquillo finché, il 10 luglio del 1941, metà degli abitanti del paese assassinò l’altra metà lapidandola, bastonandola, affogandola, scannandola, dandole fuoco. La dinamica è la stessa che abbiamo visto ripetersi nel 1994 in Ruanda e nel 1995 a Sebrenica. Ci sarebbe anche altro, di più vicino, da citare. Identità si sentono inconciliabili e prevale la volontà di farla finita con una componente. È un odio che perdura. La signora Wyrszykowska, colpevole di aver salvato la vita a una famiglia di ebrei, è stata perseguitata nel dopoguerra e costretta a lasciare il villaggio e cambiare residenza anche in altri comuni.

Gross conclude i suo libro – vittime, carnefici, spettatori vi sono attentamente analizzati – con una considerazione: “E se non riusciremo mai a capire perché è avve­nuto, abbiamo però il dovere di capire con chiarezza tutti i suoi risvolti. Sotto questo riguardo esso diventa un episodio fondante della sensibilità moderna, pur costituendo anzitutto un momento essenziale in qual­siasi riflessione sulla condizione umana”. Una componente è stata certo l’occupazione nazista e il desiderio di soddisfare i nuovi padroni, che a molti apparvero liberatori dagli invasori sovietici. Vi è un profondo effetto corruttore che discende dalle persone collocate ai livelli più alti della società. Scrive, citato nel libro, Eric Voegelin “Per indicarle direi di usare l’espressione generica gentaglia. Queste persone sono gentaglia nel senso che sono prive di ogni autorità morale e intellettuale sia della capacità di confrontarsi con la morale e con la ragione, quando queste ultime si levano per ammonirle o per rinfrescare la loro memoria. Ammettere che l’élite di una società possa consistere di gentaglia è tutt’altro che facile: E tuttavia questo è un dato di fatto… L’uomo comune è un uomo ragionevole finché la società nel suo complesso si mantiene in ordine, ma quando da qualche parte si propaga il disordine e la società comincia a cedere, diventa un selvaggio che non sa più quello che fa”.

Il messaggio della gentaglia, che sta in alto, è prontamente accolto e tradotto dalla gentaglia che sta sotto. Qualche esempio l’abbiamo sott’occhio senza allontanarci da casa e nel tempo. Alex Langer ci ha sempre ammonito: “Esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso, ecc. sono tra i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali, ecologiche o economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l’economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica o la religione”.

La Polonia ha dato in passato frutti migliori. “Ogni uomo è libero negli Stati della Repubblica, tanto se vi è nato quanto se vi si è stabilito, oppure vi è appena giunto… Nessun uomo può impadronirsi di un altro uomo, con la propria forza e con l’aiuto dei suoi simili; nessuno ha il diritto di aiutarlo per fare questo, né di causare pregiudizio alla persona, alla vita e alla fortuna del suo prossimo”, scriveva Hugo Kollataj, La legge politica della nazione polacca, 1790. E Adam Mickiewicz (1798-1855), nel programma della Legione polacca del 1848, “6. In Polonia, libertà per tutte le confessioni, libertà di ogni culto e di ogni associazione religiosa… 10 A Israele, fratello maggiore, rispetto, fraternità e aiuto nella sua ricerca dei beni eterni e di quelli temporali. Diritti uguali in tutto” Speriamo che la Polonia, e anche l’Italia, sappiano superare tempi di nuovo bui. La storia bella alla prossima volta.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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