• 19 Aprile 2024 8:49

Le case di riposo: dell’eterno riposo

DiDaniele Lugli

Apr 20, 2020

Avrei potuto ricordare “Mani Pulite”, una trentina di anni fa, iniziate con l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, incastrato da un anticipo, 7 milioni (allora erano lire), di una piccola tangente da un’impresa di pulizie. Me ne ero scordato. Questa volta è anche peggio. C’è un’inchiesta che si estende ad altre strutture similari. Non ne parlo.

Fin qui per me Trivulzio è stata Cristina, “la prima donna d’Italia”, per Carlo Cattaneo di sette anni maggiore che di donne, e non solo, se ne intendeva. Ora apprendo che il Pio Albergo nasce nel 1771 per lascito testamentario di Antonio Tolomeo Trivulzio, principe del Sacro Romano Impero, di Mesocco e della Val Mesolcina, signore dei feudi di Trivulza e Mirandola, feudatario imperiale di Retegno e Bettole. Pur con natali così sfortunati era amico dei Verri e di Cesare Beccaria.

Il pio istituto ebbe sede nel palazzo di famiglia, via della Signora, vicino al duomo, per traferirsi nel 1910 alle porte di Baggio, da ciò detto “Baggina”. Una collocazione non di buon auspicio se è vero che i vecchi milanesi dicevano “Andà a Bagg”, per dire che si andava a morire – ospedale per tubercolosi o ricovero – e apostrofavano con un “Uei, baggina!” un coetaneo rincoglionito.

Per anni ho insegnato – meno di quanto abbia imparato – in corsi per Assistenti di base e Operatori sociosanitari, quasi tutte donne, che lavoravano in Case di riposo, Residenze sanitarie assistite. Abbiamo parlato anche della morte delle persone assistite, di come avveniva, di come erano accompagnate, che ruolo avessero i familiari nell’evento. Ritrovo un mio appunto, anni Novanta.

Malattia e morte: Anche senza condividere l’affermazione di Cicerone – la vecchiaia è di per sé malattia – non vi è dubbio che l’avanzare dell’età comporti tendenzialmente un peggioramento delle condizioni di salute ed un cronicizzarsi delle malattie. L’esperienza della malattia è dunque rilevante nella vita dell’anziano così come la modalità con la quale tale esperienza è vissuta. Si ricordano al riguardo i diversi modi nei quali, secondo la Herzlich, la malattia può essere vissuta (istruttiva, liberatrice, mestiere) in relazione alla gravità ed alla consapevolezza che se ne ha. L’esito di questo processo dipenderà dalla capacità di elaborazione della persona, ma molto anche dalla qualità e dall’azione degli agenti di socializzazione sopra ricordati, tra i quali si inserisce, con notevole importanza, la struttura assistenziale, nella quale l’addetto all’assistenza di base opera. Così lo stesso operatore viene a far parte, spesso gran parte, del piccolo mondo di ‘altri significativi’ dell’anziano assistito. Tra gli ‘altri significativi’ si ricordano l’altro confermativo, l’altro particolare, l’altro autoritativo, l’altro societario ed il loro peso nelle varie età e situazioni. L’addetto all’assistenza di base è spesso a contatto con il problema e la realtà della morte: un problema ed una realtà difficili da affrontare e spesso rimossi nella nostra società. L’anziano è il portatore più chiaro di questo problema e di questa realtà (se è vero che i giovani talvolta muoiono mentre i vecchi muoiono tutti). Diverse sono le modalità e le fasi con cui si affronta la propria morte. Elisabeth Kubler Ross, che ha nel campo una vasta esperienza teorico-pratica, distingue cinque fasi (non tutte necessariamente percorse): negazione ed isolamento, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione. Conoscere e riconoscere tali fasi è evidentemente importante nel lavoro con persone alle prese con il compito di concludere nel modo migliore (che può voler anche dire: riducendo gli aspetti peggiori) la propria vita”.

Care signore, che prendevano appunti, facevano domande e compensavano con sorrisi le mie lezioni. Le ho smesse quando mi è sembrato non stessi raccomandando loro la cura delle persone anziane, ma mi stessi raccomandando personalmente. Non abbiamo mai parlato di malattie contagiose nelle strutture. Oggi lo farei. Forse aggiungerei qualche autore, Norbert Elias “La solitudine del morente” e le buone esperienze degli hospice, nei confronti dei malati e dei familiari. Leggerei con loro qualche pagina di Silvia Pezzoli.

Non so se ripeterei, riaffrontando la loro incredulità: “Se ascoltiamo Jung, un grande psicologo morto ad 86 anni, è questo il compito precipuo della vecchiaia ed il contributo che i vecchi sono chiamati a dare agli altri: ‘Un essere umano non vivrebbe certo tanto da arrivare a settanta o ottanta anni se questa longevità non avesse alcun significato per la specie’. Sette sono i compiti più rilevanti della vecchiaia identificati dalla scuola junghiana: 1 Accettazione della morte come parte della vita 2 Riesame, riflessione, sunto della propria vita 3 Abbandono pesi ed aspirazioni non “autentici” 4 Abbandono del predominio del proprio Io 5 Conseguimento di un nuovo Io in cui quel che pareva opposto si concilia 6 Trovare il significato della propria vita 7 Conseguire la creatività, diventando l’autorità per sé medesimi”.

Forse sì: “Un vecchio così non l’ho mai visto”, ma anche, una volta, “Un nonno così l’avrei voluto”.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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