Se un attentato terrorista in Europa o negli USA avesse ucciso nove figli di una pediatra, ferendo gravemente il decimo ed il marito, come accaduto alla dottoressa Alaa al-Najjar il 24 maggio, che se li è visti portare in ospedale carbonizzati, sarebbe notizia di un impatto sconvolgente. Invece a Gaza il terrorismo di Israele diventa contabilità ordinaria, sommando questi bambini alle decine di migliaia di vittime innocenti: l’infinita contabilità di Erode. Uccisi per “hobby”, come aveva denunciato alcuni giorni prima Yair Golan, ex generale e leader del Partito Democratico israeliano, mettendo sotto accusa l’esercito, prima di ritrattarla in una conferenza stampa convocata per dire che la responsabilità è esclusivamente del governo e non dell’Israel Defence Force.
Ma chi bombarda i bambini, chiedeva il 22 maggio il giornalista israeliano Gedeon Levy su Haaretz, è «il Primo Ministro Benjamin Netanyahu con il suo “cannone sacro”, il Ministro della Difesa Israel Katz nella cabina di pilotaggio di un F-35I, il Ministro dei Trasporti Miri Regev che pilotava un drone suicida, il Ministro degli Esteri Gideon Sa’ar su un elicottero d’attacco e il Ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi su un veicolo d’artiglieria mobile»? Questa strage degli innocenti non sarebbe possibile senza l’obbedienza agli ordini da parte dei soldati: «Senza l’IDF, il massacro di Gaza non avrebbe avuto luogo, anche se il governo lo avesse voluto», aggiunge Levy. Tema cruciale sul rapporto obbedienza/disobbedienza al Potere – almeno a partire dal Discorso su la servitù volontaria di Etienne de La Boétie (1549) – ripreso dalla storica Anna Foa su La Stampa il 23 maggio, dove mette a fuoco il cuore del problema, ossia la responsabilità personale dei militari, ricordando che l’obbligo di obbedire è «la difesa avanzata da tutti i nazisti, a cominciare da quelli processati a Norimberga per finire con Eichmann».
Il tema dell’obiezione di coscienza al servizio militare non è affatto nuovo in un paese nel quale tutto l’impianto educativo è finalizzato alla militarizzazione delle coscienze fin da bambini. Lo documenta Nurit Pedel-Elhanan, già docente di Scienze dell’educazione linguistica all’Università ebraica di Gerusalemme (che ha perso la figlia tredicenne per un attentato palestinese nel 1997), analizzando ideologia e propaganda veicolate dai libri: «In Israele, i testi scolastici sono destinati a ragazzi che a diciott’anni si arruolano nel servizio militare obbligatorio per attuare la politica israeliana di occupazione dei territori palestinesi» (La Palestina nei testi scolastici di Israele, 2021). Subendo – e non solo dai libri – il devastante lavaggio del cervello raccontato nel film-documentario Innocence dal regista israeliano Guy Davidi, presentato nel 2022 alla Biennale di Venezia ma censurato in patria.
Nonostante questa occupazione militare delle menti, l’obiezione di coscienza è un fenomeno che, soprattutto in occasione delle frequenti guerre israeliane, si manifesta sia da parte di giovani che devono svolgere il servizio militare sia da parte dei riservisti, che fino a quarant’anni hanno l’obbligo di rispondere alle chiamate dell’esercito. Dei giovani refusenik che rifiutano di partecipare al genocidio in corso, organizzati nel movimento Mesarvot e sostenuti dalla campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento, ne abbiamo parlato in occasione della testimonianza in Italia di alcuni di loro nello scorso ottobre. Ma oggi, racconta il giornalista israeliano Meron Rapoport sulla testata indipendente israelo-palestinese +972 Magazine, l’esercito israeliano sta affrontando la più grave crisi di rifiuto degli ultimi decenni. Dopo il 7 ottobre 2023, «l’esercito dichiarò di aver reclutato circa 295.000 riservisti, oltre ai circa 100.000 soldati in servizio regolare. Se i dati relativi a una presenza del 50-60% tra i riservisti sono corretti, significa che oltre 100.000 persone hanno smesso di presentarsi al servizio di riserva», spiega Rapoport nella sua inchiesta, «Il rifiuto arriva a ondate, e questa è l’ondata più grande dalla prima guerra del Libano nel 1982»
Il dissenso dei militari che cominciano man mano a rispondere alla propria coscienza, anziché agli ordini – come testimoniano da tempo organizzazioni come Breaking the silence e Combatants for peace – preoccupa fortemente il governo israeliano che fa registrare una censura senza precedenti dei media, spiega ancora Meron Rapoport intervistato da Altreconomia, sia rispetto alle tante lettere firmate da migliaia di soldati che chiedono la fine della guerra, che alle migliaia di articoli critici sull’operato dell’esercito di cui cui è stata vietata la pubblicazione. Di fronte alla complicità ipocrita dei governi occidentali con la strage degli innocenti, che continuano ad inviare armi per l’operazione di sterminio e deportazione del popolo palestinese, l’ultimo argine possibile sembra risiedere proprio nel rifiuto di coscienza dei giovani e dei richiamati alle armi, con tutto lo stigma che in quel contesto comporta. «Spezzeranno le loro spade per farne aratri, trasformeranno le loro lance in falci»: sconfiggere Erode con la profezia di Isaia.