Mi auguro che, sia pure in extremis, Zerocalcare e Amnesty Italia possano rivedere la loro rinuncia alla partecipazione a Lucca Comics. Credo che questa scelta sia un errore, politico e simbolico.
di Mimmo Cortese
L’ambasciata non è la prefettura di uno Stato, non rappresenta il governo ma l’intero paese, tutti i suoi cittadini. Cittadini, quelli israeliani, che oggi potrebbero fare la differenza e mettere in atto una vera e propria svolta sulla politica del proprio paese. Lo stanno dicendo forte e chiaro le famiglie degli ostaggi, lo ha detto Yocheved Lifschitz quando è stata rilasciata da Hamas. Lo sa bene Netanyahu, il cui consenso effettivo è ormai ad un consunto lumicino.
A meno che non pensiamo che la soluzione militare sia la sola realistica e possibile non abbiamo altra strada che lavorare affinché i popoli israeliano e palestinese diano una sterzata definitiva alle scelte dei loro governanti, contrarie da tempo immemore a politiche di fratellanza e solidarietà. Proposte che possono raccogliere consensi solo attraverso una lotta organizzata civile e nonviolenta, in entrambi i campi, che parta da un minimo e condiviso assunto: la garanzia, per tutte le persone che calcano quella terra, al diritto alla vita, al rispetto della dignità umana, e alle libertà di movimento e di espressione.
Individuare lo Stato israeliano, in luogo del suo governo, come responsabile, o peggio come nemico, è un errore enorme, perché in questo modo si pone come obbiettivo – inevitabile per questa strada – la sua punizione, la sua sconfitta, e si accetta, implicitamente, il solo scenario (l’unico condiviso da entrambe le parti!) oggi sul terreno: quello militare.
In questo modo peraltro si legittima un piano che i movimenti pacifisti e solidaristi hanno rifiutato da sempre, quello della centralità degli Stati nazionali, con il suo corollario nefando composto da sciovinismi e nazionalismi.
Questa strada non solo è inaccettabile ma alla sua fine può portare solo a una catastrofe generalizzata, dalle dimensioni inimmaginabili, nella quale potrà prevalere chi è più crudele, più spietato, più violento, più disumano, da entrambe le parti. E quand’anche una delle due venisse pesantemente ridimensionata e distrutta, il veleno del risentimento e della vendetta sarebbe penetrato così a fondo da avere intriso ogni fibra individuale e collettiva.
Tuttavia il pericolo più grave, tornando a individuare gli Stati come responsabili, è quello simbolico. Chi ha vissuto da vicino la guerra in Bosnia ricorda bene che una delle prime cose che imparavi era usare un linguaggio preciso, senza ambiguità. I nemici erano i cetnici non i serbi, gli ustascia non i croati. Confondere i popoli, sovrapporli, farli coincidere, con i nazionalisti e i massacratori era essenziale per fare passare e depositare a fondo la retorica degli Stati nazionali, delle radici identitarie e religiose, della lotta per la terra e per il sangue.
Il potere simbolico del linguaggio può cambiare, modificare, oppure mistificare, distorcere, radicalmente la prospettiva con cui guardare quello che accade. Lo hanno messo a fuoco bene coloro che sono passati nella furibonda temperie della seconda guerra mondiale, con il carico, e lo strascico, di propaganda e mistificazione dei fatti e della realtà che in molte questioni perdura ancora oggi. Victor Klemperer, primo tra tutti, ne ha dato conto in quel saggio fondamentale de “LTI. La lingua del Terzo Reich”. È per quest’ultimo motivo che chiedo a Zerocalcare, e agli amici di Amnesty International, di ripensare alla loro scelta. So bene quanto siano addolorati da quello che sta succedendo e devastati dalla sorte che sta toccando a uomini e donne in tutta quella regione. Tuttavia le loro parole, la loro scelta, hanno un peso enorme. Credo, e spero, possano vedere i pericoli che potrebbe produrre questa loro decisione.
“Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero“. Così diceva Etty Hillesum in una delle tante memorabili pagine del suo diario. Forse riprendere tra le nostre mani anche la sua voce potrebbe aiutarci anche oggi.