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Aleppo brucia, come i segni delle torture sulla pelle dei siriani

DiRedazione

Dic 15, 2016

“Troviamo incredibile che parte del mondo pacifista italiano ritenga oggi che per promuovere la pace in Siria si debba smettere di denunciare i crimini del regime, smettere di invocare giustizia”. Il comunicato stampa di “Un ponte per…”  

Roma, 15 dicembre 2016 – Non è facile continuare a dedicarci al lavoro umanitario per inviare aiuti e farmaci in Siria, mentre la proporzione della tragedia cresce di giorno in giorno. Ad Aleppo una nuova tregua deve essere negoziata con il regime di Bashar al-Assad e servono immediatamente osservatori internazionali che garantiscano l’uscita dei civili dalle aree martoriate dai bombardamenti, con particolare attenzione agli attivisti e difensori dei diritti umani che si sono esposti per il loro lavoro sociale e politico. Non possiamo lasciare che spariscano nelle carceri di Assad, perché quelli sono i lager di oggi.

Lo testimonia la mostra fotografica “Nome in codice Caesar” che portiamo in questi giorni a Napoli, con le immagini delle vittime della tortura nelle carceri del regime di Assad. La mostra, patrocinata dal Comune di Napoli e dall’Università Orientale è promossa da Amnesty International, FNSI, FOCSIV, Articolo 21, UniMed e Un ponte per…, con la collaborazione della FUCI di Napoli e degli Studenti Unior pro Rivoluzione Siriana. Viene inaugurata oggi, 15 dicembre, dall’intervento dell’attivista e comunista siriano Mazen Alhummada, originario di Deir El Zor, nell’est della Siria, arrestato 3 volte tra il 2011 e il 2012 all’inizio delle manifestazioni pacifiche di piazza contro il regime. L’ultima detenzione  è durata 1 anno e 7 mesi, ed ha subito torture efferate.
[Qui una sua recente intervista alla Rai in occasione della sua visita a Roma].

Mazen è magro e scavato in volto ma trova la forza di denunciare, e come tutti gli attivisti siriani con cui abbiamo collaborato nella storia di Un ponte per… sostiene che i movimenti per la pace non possono prescindere dalla denuncia dell’ingiustizia e dell’oppressione. Mentre chiediamo alla comunità internazionale di negoziare una tregua con Assad, dobbiamo puntare il dito contro le atrocità che commette contro il suo popolo, o tradiremmo la dignità dei siriani. Un rapporto di Amnesty International stima che dall’inizio della crisi nel 2011 siano morte sotto tortura nelle carceri del regime almeno 18.000 persone, oltre 300 al mese, solo tra quelle identificate con certezza. E molti di loro erano attivisti laici e democratici come Mazen, mentre i salafiti che poi hanno costituito Daesh (IS) sono stati rilasciati nella prima amnistia di Assad dopo l’inizio della rivoluzione. In questi giorni, mentre i soldati di Assad combattono la battaglia di Aleppo, Daesh ha ripreso controllo dei campi petroliferi tra Palmira e Homs, e continuerà a vendere petrolio sottocosto ad Assad come alla Turchia e alle multinazionali del settore.

Troviamo incredibile che parte del mondo pacifista italiano ritenga oggi che per promuovere la pace in Siria si debba smettere di denunciare i crimini del regime, smettere di invocare giustizia. Speravamo fosse finita l’epoca in cui si giustificavano feroci dittature in nome di un’astratta idea di pace, e si censuravano le denunce degli attivisti locali. C’è chi è riuscito, per ignoranza o cieca ideologia, a stravolgere il significato di un report di Human Rights Watch che attesta la veridicità delle foto di Caesar. Le foto che vedrete esposte a Napoli sono tratte da quelle che HRW attribuisce con certezza a vittime morte sotto tortura nelle carceri di Assad. Certamente anche altre fazioni armate commettono analoghe violazioni ma la sproporzione nelle cifre stimate è eclatante, la responsabilità del regime sono enormemente più alte.

Noi crediamo che l’unica pace sostenibile in Siria sia una pace giusta, che dovrà essere negoziata tra le parti ma senza tacere sui crimini di guerra e le violazioni del diritto umanitario internazionale, senza rinunciare alla verità sulla sofferenza dei civili. Il governo di Assad è la fazione politicamente e militarmente più forte e maggiormente responsabile dei crimini di lesa umanità in atto, ed è per questo che chi si dice pacifista deve puntare il dito prima di tutto contro il regime. Per questo chi si dice antimilitarista deve chiedere innanzitutto la fine dei bombardamenti russi e dell’esercito lealista sulle città siriane, oltre ad invocare un embargo totale sull’export di armamenti nella regione e ad opporsi strenuamente a qualsiasi altro intervento armato della comunità internazionale. La pace si negozia, e si costruisce sulla verità.

 

15 dicembre 2016 – Un ponte per…

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