• 28 Marzo 2024 20:18

Azione nonviolenta – Ottobre 1998

DiFabio

Feb 8, 1998

Editoriale
IL DRAMMA MORALE DEL SOCIALISMO
Sandro Canestrini

L’argomento
UN NONVIOLENTO APERTO, LIBERO, RELIGIOSO
Mao Valpiana

PER UNA CORRENTE RIVOLUZIONARIA NONVIOLENTA
Aldo Capitini, Lanfranco Mencaroni

I MOVIMENTI GANDHIANI E NONVIOLENTI OGGI NEL MONDO
Antonino Drago

Pianeta India
LA DOMINAZIONE MUSULMANA E IL SIKHISMO
Claudio Cardelli

L’attualità
“NUOVE NORME IN MATERIA DI OBIEZIONE DI COSCIENZA”

E CHI RIFIUTA IL SERVIZIO CIVILE O MILITARE, CHE FINE FA?
avv. Maurizio Corticelli

LA LEGGE C’E’, USIAMOLA BENE!
Paolo Macina

Obiezione
L’EUROBIEZIONE DI COSCIENZA AL SERVIZIO MILITARE
Stefano Guffanti

4 NOVEMBRE

Anche il CAI con le stellette?

Al Direttore de Lo Scarpone

mensile del CAI (Club Alpino Italiano).

Mi è capitato di leggere con ritardo il n. 1/98 dello Scarpone. A pag. 7 trovo: “Volontario nell’esercito, un’opportunità per i giovani soci”. E’ un’informazione dell’avvenuto sodalizio tra CAI e Ministero della Difesa con la finalità di formare i giovani ad intraprendere la ferma breve nei contingenti alpini. Di fatto non è cosa da poco. E’ un coinvolgimento diretto del CAI a sostegno del Nuovo Modello di Difesa e di conseguenza supporto militare agli interessi economici e finanziari nazionali, in violazione dell’art. 11 della Costituzione. E’ una decisione dibattuta nelle varie sezioni? Da sempre apprezzo il ruolo del CAI che dà a tante persone la possibilità di gustare e conoscere la montagna… So che tra i soci c’è di tutto, ma mi sembrerebbe più consona un’alleanza con associazioni che lavorano per l’ambiente… Anch’io sono socia e, per farvi comprendere il mio rammarico, vi allego alcune pagine della rivista Azione nonviolenta, che sostengo, dove si trovano le motivazioni che mi hanno fatto scrivere.

Grazie per l’attenzione e vi chiedo cortesemente una risposta.
Anna Xausa

Zugliano – VI

Correlazione tra le idee politiche sostenute da Capitini ed eventi storici successivi

A cura di Antonino Drago

Contrarietà personale e religiosa al Fascismo, con sacrificio personale; non collaborazione al Fascismo.

Resistenza italiana come riscatto morale dal Fascismo. Rifiuto di collaborare di 20.000 ufficiali (su 28.000) e di gran parte dei 600.000 militari internati in Germania.

Abolizione del Concordato nella Costituzione

Accordi bilaterali dello Stato italiano con ogni confessione religiosa

Riforma razionale e laica della religione, basata sull’apertura e sull’aggiunta.

Cambiamento radicale nella fede dei Cristiani, degli Ebrei e degli Islamici. Ecumenismo.

I Centri di Orientamento Religioso.

Ecumenismo di base: Segretariato Attività Ecumeniche

Proposta della nonviolenza gandhiana (unità tra vita religiosa e vita politica).

D. Dolci, Don Milani, Lanza del Vasto, M.L. King, sviluppo della nonviolenza nel mondo.

Opposizione alle istituzioni chiuse

Concilio Vaticano II contro la chiusura chiesastica cattolica. Contestazione studentesca (1968)

Centri di Orientamento Sociale.

Assemblee studentesche, Consigli di Fabbrica (1970), Assemblee popolari contro le centrali nucleari

Obiezione di coscienza.

Obiezione di P. Pinna nel 1949; legge 772 nel 1972, fino ad oggi oltre 350.00 obiettori.

Tu-Tutti

Politica internazionale dei diritti umani (Carter, ONU)

Difesa popolare nonviolenta.

Cecoslovacchia 1968; sentenze (dal 1985) della Corte Cost. sulla parità della difesa della Patria con le armi con quella senza armi; Peacekeeping civile (Agenda per la Pace del Segr. Gen. ONU, B. Ghali, 1992).

Socialismo va in crisi se è senza religione.

Sandinisti in Nicaragua; crollo del comunismo antireligioso dell’URSS.

Compresenza dei vivi e dei morti.

La tecnologia moderna (nucleare, bioingegneria, trasformazione del territorio, ecc.) ci impone una corresponsabilità globale verso tutta l’umanità e le generazioni future.

Omnicrazia, potere di tutti.

1989: autoliberazione dei popoli oppressi dalla divisione mondiale di Yalta e da una dittatura sedicente proletaria

Paragone con lo scontro tra la civiltà macedone e la civiltà romana; vittoria della romana

Scontro URSS-USA, vittoria degli USA

Domanda (intrigante, ma tipica della nonviolenza):

Chi (ha) fa(tto) la storia?:

Quelli che prendono le decisioni al vertice delle grandi istituzioni, o quelli che tirano le verità storiche dal centro della propria vita?
Articoli su Aldo Capitini

in Azione nonviolenta dal 1968 ad oggi

Numero Monografico “Aldo Capitini”, n. 11-12/68.

“La lezione politica di Aldo Capitini”, Luciano Capuccelli, n. 1/69, p. 8.
“La nonviolenza nella vita e nel pensiero di Aldo Capitini”, Lamberto Borghi, n. 2-3/69, p. 10.
“Rigore filosofico nel pensiero di Aldo Capitini”, Alberto Granese, n. 4/69, p. 8.
“Esigenze comunitarie nel pensiero di Aldo Capitini”, Andrea Canevaro, n. 4/69, p. 10.
“Ricordando Aldo Capitini – I anniversario della morte di Aldo Capitini”, n. 9-10/69, pp. 1-6.
“Ricordo di Aldo Capitini”, Walter Binni, n. 10-11/70, pp. 1-3.
“Convegno a Pisa su Aldo Capitini”, Novembre-Dicembre 1973, p. 6.
“Azione Nonviolenta vive da dieci anni”, Maggio-Giugno 1974, pp. 6-11.
“La zappa agli intellettuali – lettera inedita di Don Milani ad Aldo Capitini”, Gennaio-Febbraio 1977, supplemento.
“Il messaggio di Aldo Capitini”, Lacaita, Gennaio-Febbraio 1977, p. 8 (recensione).
Numero Monografico “Aldo Capitini”, Settembre-Ottobre 1978.
“La responsabilità dello scrittore”, Matteo Soccio, Settembre-Ottobre 1978, pp. 21-24.
“Superamento del marxismo e rivoluzione nonviolenta in Capitini”, Matteo Soccio, Novembre-Dicembre 1978, p. 8.
“Violenza e nonviolenza di Aldo Capitini”, Pietro Pinna, n. 4/82, p. 3.
“Vent’anni di Azione Nonvolenta”, servizio speciale, n. 1/84, pp. 2-26.
“In ricordo di Aldo Capitini”, Lorenzo Fazioni, n. 10/84, p. 12.
“L’educazione alla pace in Aldo Capitini”, Lamberto Borghi, n. 10/84, p. 13.
“L’antitesi radicale del fascismo, Norberto Bobbio ricorda Capitini”, n. 10/85, p. 12.
“Eredi dell’insegnamento di Aldo Capitini”, n. 10/88, p. 2.
“Il pensiero di Aldo Capitini”, Lorenzo Fazioni, n. 10/88, p. 3.
“Aldo Capitini: una vita per la nonviolenza”, Matteo Soccio, n. 10/88, p. 6.
“Il linguaggio di Capitini”, intervista con A. Caledda, n. 10/88, p. 11.
“A confronto con Aldo Capitini”, Pietro Pinna, n. 11/88, p. 10.
“Aldo Capitini, la sua vita, il suo pensiero”, Giacomo Zanga, Bresci ed., n. 12/88, p. 28 (lettera all’autore di Beppe Marasso) (recensione).
“Aldo Capitini educatore di nonviolenza”, Nicola Martelli, Lacaita, n. 4/89, p. 27 (recensione).
“Aldo Capitini e il Movimento Nonviolento”, Francesco Bizzotto, Tesi di Laurea in Pedagogia, n. 3-4/93, p. 29.
“Aldo Capitini. Scritti sulla nonviolenza”, a cura di Luisa Schippa, Protagon, n. 6/93, p. 32 (recensione).
“La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica”, Tiziana Peroni, Clueb, n. 8-9/93, p. 36 (recensione).
“Aldo Capitini 25 anni dopo”, Fabrizio Federici, n. 2-3/94, p. 30.
“Il primo convegno su Aldo Capitini”, Rete Telematica Peacelink, n. 7/94, p. 22.
“Religione e nonviolenza in Aldo Capitini”, Davide Melodia, n. 11/94, p. 15.
“Capitini allegro”, Claudio Cardelli, n.1-2/96, p. 21.

“I pionieri del rifiuto del servizio militare, da Capitini a Pinna”, Daniele Lugli, n. 5/97, p. 4.

A TRENT’ANNI DALLA MORTE
Ricordare Aldo Capitini
Perugia, Sala dei Notari lunedì 19 ottobre, ore 9

Giornata di studio e riflessione promossa dalla Fondazione “Aldo Capitini”

In mattinata:

Alberto de Sanctis (Univ. Di Genova): “Compresenza e omnicrazia in Capitini”

Marina Fantin (Univ. Padova): “L’altro necessario: coralità dell’essere e dedizione al “tu” nella teoria della compresenza capitiniana”

Luigi de Luca (Univ. Di Roma): “L’impegno nonviolento e pacifista di Capitini negli anni ‘60”

Nel pomeriggio:

Premiazione per la miglior tesi di laurea sul pensiero capitiniano

Dibattito aperto ai partecipanti

Conclusione di Mao Valpiana (Direttore di Azione nonviolenta): “Proseguire l’opera di Capitini”

In serata:

concerto pianistico di musica classica.

UN CD AUDIO IN ANTEPRIMA SUL CD ROM DI PROSSIMA USCITA
Ascoltare Alexander Langer
Questo cd-audio è rivolto soprattutto a chi non ha avuto la fortuna di conoscere personalmente Alexander Langer; a chi ne ha sentito parlare solo dopo la sua morte; a chi non ha ancora letto i suoi scritti. E’ un cd che non ha alcuna pretesa di completezza: vuole offrire solo uno stimolo per invogliare ad approfondire il pensiero di Langer. Il lavoro è stato diviso in tre sezioni, ambiente-pace-convivenza, che sono stati i pilastri del suo agire politico. Le registrazioni sono tratte dagli archivi di Radio Radicale di Roma, dell’associazione Proeuropa di Bolzano e della rivista Azione Nonviolenta di Verona. Fanno parte di un immenso patrimonio audio, video e principalmente cartaceo che costituisce l’eredità di Langer e che entrerà in gran parte in un cd-rom di prossima pubblicazione. Nei suoi trent’anni di attività pubblica Alex ha fatto molto, ha parlato molto, ha scritto molto. In questo cd potrete ascoltare interviste o interventi a convegni sui principali temi cari al suo agire politico, dove la teoria è sempre accompagnata da una pratica concreta. La forza delle idee qui espresse non sta solo nel loro spessore culturale, ma anche nella persuasione che se ne trae. Ad ogni pensiero corrisponde un’azione, ed ogni azione ha provocato un pensiero.

Sentire la voce di Langer, il suo argomentare, il suo interrogarsi, approfondire poi questi pensieri con la lettura, può aiutare specialmente i giovani se non a trovare delle risposte, almeno ad orientarsi nella babele di messaggi che oggi ci piovono addosso.

AMBIENTE, PACE, CONVIVENZA

1. Nucleare: paura dell’atomo? 2. Nord-Sud: biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito. 3. Il Sud del mondo nostro creditore. 4. Germania: bosco di Haimburg. 5. Situazione jugoslava e albanese. 6. Guerra del Golfo. 7. Esperienze concrete di soluzioni nonviolente dei conflitti. 8. Censimento etnico. 9. Il futuro dell’Europa è plurilingue? 10. La tutela delle minoranze linguistiche.

Editore: Movimento Nonviolento

Richiedere ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona

Tel. 045/8009803 Fax 045/8009212 e-mail: azionenonviolenta@sis.it

Ccp 10250363. Nella causale: “Cd audio Alex Langer”

Spedizione anche in contrassegno L. 20.000
PRIMI PROBLEMI POSTI DALLA NUOVA LEGGE
E chi rifiuta il servizio civile o militare, che fine fa?

Aspetti processuali e penali dell’articolo 14. Il parere dell’avvocato.

Avv. Maurizio Corticelli

Accanto ai più vari commenti generali e politici riguardo la nuova Legge sull’obiezione (la n. 230 dell’8/7/98 in G.U. 15/7/98 n. 163) mi pare utile sottolineare alcuni aspetti penali e processuali che nascono dall’esame dell’art. 14. Ritengo necessario un primo e veloce esame della norma, sia per quello che riguarda la condotta (e cioè il comportamento del cittadino che rifiuti la prestazione al servizio militare e civile) che per quello che riguarda la scelta dei motivi che lo inducono a tale comportamento. Diversa la sanzione penale (cioè la pena) e gli effetti amministrativi in relazione alla necessità o meno di prestare detto servizio allo Stato.

Prima ipotesi. Il cittadino rifiuta il servizio civile e militare per motivi politici (es. anarchico) o per motivi religiosi (es. Testimoni di Geova). E’ necessario che questi adduca i motivi di cui all’art. 1 della Legge 230/98 e cioè si richiami alla propria coscienza per rifiutare detta prestazione. Tale dichiarazione potrà essere inviata anche per lettera raccomandata al Comandante dell’Ente Militare di assegnazione ed al Procuratore presso la Procura della Pretura del luogo di assegnazione al servizio militare. Ne consegue la denuncia alla Magistratura ordinaria, e non più militare, e la pena prevista varia da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni. Essa potrà peraltro avere successive riduzioni per la scelta di riti alternativi previsti nel codice di procedura penale, nonché per la concessione delle attenuanti generiche (ex art. 62 bis. c.p.). Ritengo che la pena inflitta non dovrebbe, in concreto, superare i quattro o cinque mesi di reclusione con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna stessa sul certificato penale. Peraltro la pena stessa, se contenuta entro i tre mesi e con il consenso dell’imputato e del Pubblico Ministero, potrà essere convertita totalmente in multa, circa £ 7.000.000, con pagamento fino a trenta rate mensili. Tale ultima soluzione è, per motivi quivi assai complessi da enunciare, la più favorevole all’imputato. La condanna comunque ha per effetto di esonerare dall’obbligo di leva (sia militare che civile) ex art. 14 n.2 della legge citata.

Seconda ipotesi. Il cittadino non adduce alcun motivo alla mancata presentazione al servizio o adduce motivi non consentiti dall’art.1 della legge sull’o.d.c. non rinvenibile nella stessa legge. In tal caso, ma il comma 5 art. 14 non è chiaro, si ritiene che tale condotta senza motivi vada sanzionata con una condanna e una espiazione effettiva della pena pari alla durata del servizio sostitutivo civile e militare, pena che non potrà essere sospesa con la condizionale dato che la sola espiazione, anche con l’affidamento ai servizi sociali secondo l’ordinamento penitenziario, esonera poi dall’obbligo della presentazione.

Terza ipotesi. La domanda di servizio civile è respinta perché colui che l’ha proposta è, per condizioni soggettive o oggettive, in contrasto con i requisiti di cui all’art. 2 della legge sull’o.d.c. Es. il cittadino chiamato alle armi ha anteriormente presentata domanda di arruolamento nei Carabinieri; in tal caso vi sono due possibilità: presentare domanda di arruolamento nelle Forze Armate o, come nel secondo caso, sottoporsi ad un processo penale con pena pari a quella del servizio rifiutato. Ne conseguirà poi l’esonero da ogni obbligo di prestazione allo Stato.

La mia sintesi è senza dubbio incompleta in riferimento alle molteplicità delle situazioni soggettive ed oggettive in cui “verseranno” nel futuro i cittadini che non vogliano o non possano compiere il servizio civile. Sono fin d’ora a disposizione di obiettori e colleghi per chiarimenti, ma anche per ricevere “segnalazioni” delle prime applicazioni della normativa approvata.

Un primo problema riguarda l’estensione della nuova legge alle varie situazioni di obiettori per i quali, invece, il procedimento penale risulti pendente avanti il Tribunale Militare e che sono in attesa della decisione sulla nuova domanda di o.d.c. La decisione favorevole alla nuova domanda di o.d.c. è senza dubbio certa allorché vi siano i requisiti della legge: trattandosi di diritto soggettivo solo una condizione prevista dall’art. 2 potrà impedire l’accoglimento della domanda.

Rimane tuttavia la competenza del Tribunale Militare, atteso che solo la norma penale è irretroattiva, se più favorevole all’imputato, non così la norma processuale, e quivi la competenza del Tribunale Militare al Pretore. Tuttavia l’art. 23 della legge citata ha abrogata in toto la legge 772/72 e così può ritenersi abrogata anche la competenza del Tribunale Militare.

Tuttavia non ritengo nell’interesse dell’imputato che la questione possa essere validamente proposta in sede di giudizio.

Quando poi si dovrà ripresentare o presentare la domanda di s.c.?

L’art. 14 comma 6 parla di imputato o condannato e, secondo il codice di rito, si è imputati solo allorché vi sia la richiesta di rinvio a giudizio, dal Procuratore presso la Pretura al Pretore competente.

Dati i tempi assai lunghi per i processi pretorili, con ritardi che sono nell’ordine di quattro o cinque anni, è evidente il danno enorme che ne subisce colui il quale voglia ripresentare o presentare domanda, ma non abbia lo “status” di imputato. Infatti la sola denuncia penale pone in carico al cittadino la qualifica di indagato e così non lo legittima alla proposizione della domanda.

Negli anni scorsi, tuttavia, la prassi del Ministero della Difesa, pur nella eguale enunciazione della legge abrogata, era di valutare la domanda anche se vi era solo la denuncia penale e non il decreto che dispone il giudizio. Ritengo, dunque, che dopo il rifiuto e la c.d. autodenuncia alla Procura della Pretura, si possa presentare, trascorso almeno un mese, la nuova domanda di o.d.c. la quale dovrebbe essere decisa in tempi ristrettissimi (circa tre mesi – art. 14 co. 7); è evidente che se il chiamato alle armi intende procrastinare più a lungo la data d’inizio del servizio civile, potrà attendere che sia la Procura a disporre l’interrogatorio e poi il rinvio a giudizio.

Infine: non ritengo di sbagliare se accanto ad inevitabili e forse utili interventi futuri della Corte Costituzionale sull’attuale legge, sia possibile prevedere che non cesseranno le denuncie ed i processi. I tempi ristrettissimi dati dall’art. 4 alla presentazione della domanda, creeranno difficoltà al che tutti i cittadini chiamati al servizio di leva siano informati (dal Ministero della Difesa?) di questa opportunità.

È evidente che la tardiva presentazione comporterà le conseguenze penali illustrate.

Avv. Maurizio Corticelli
C.so Porta Palio 37- 37122 – Verona
tel. 045/8010178 fax. 045/8011216

Donne in armi contro la storia

Caro Direttore,

è di nuovo tornata alla ribalta la proposta del servizio militare femminile, che il governo dell’Ulivo vorrebbe fare intendere come un passo avanti verso le pari opportunità fra i due sessi. Esattamente la stessa proposta che era stata avanzata dal governo Berlusconi, per bocca del Ministro Previti.

A noi questa proposta ripugna, indipendentemente da chi la sostiene. Ci ripugna come donne, come pacifiste, come cittadine italiane. Siamo convinte che essere pacifisti sia uno “specifico” umano intersessuale. Pensiamo anche che le donne abbiano il diritto/dovere di essere particolarmente refrattarie alla guerra. Per la loro storia. Per il fatto che, volenti o nolenti, questa storia se la portano dentro. Nelle guerre le donne, storicamente, sono state sempre vittime di violenze inaudite. Nelle guerre le donne hanno scoperto che per crescere un figlio ci vogliono 20 anni e per ammazzarlo basta un minuto. Nella nostra storia non abbiamo generalesse d’armate, condottiere, strateghe. Abbiamo donne violentate, donne prese in ostaggio e fucilate, donne deportate, donne morte di fame e di stenti. Abbiamo anche mamme morte di crapacuore per i figli che non tornavano più. Questa storia non la può negare nessuno.

Aspiriamo ad un mondo di giustizia, senza oppressi e senza oppressori, ma fino a quando questo mondo non c’è abbiamo il vizio di pensare che sia meglio essere oppressi che oppressori, vittime che carnefici. La parità non è fare come gli uomini. Il movimento femminista non ha mai pensato né detto qualcosa del genere. “Fare come gli uomini” è per le donne una pesantissima forma di asservimento. E’ farsi succube dell’uomo, ritenere che solo il maschio faccia cose giuse ed importanti e che quindi bisogna imitarlo. In questo secolo le donne si sono battute per una parità diversa, intesa come possibilità di sviluppare liberamente il proprio potenziale umano, senza essere vincolati a ruoli rigidi, predeterminati fin dalla nascita. Ma ci sembra che imparare ad ammazzare delle persone non faccia parte del potenziale umano, né maschile né femminile.

La nostra Costituzione presenta l’esercito come strumento per la difesa della patria. Riteniamo davvero che la difesa della patria sia sacro dovere dei cittadini. Basta essere chiari su cosa si intende per “Patria”. Difendere la patria per noi significa garantire alla gente che vive in Italia un’esistenza decente. Un’esistenza protetta da disoccupazione, droga, incidenti stradali, cancro, stupri, analfabetismo di ritorno, violenza, ingiustizia. Non ci pare che l’esercito ci protegga da questi mali. E non ci pare che sarebbe in grado di farlo con armamenti migliori. Neanche se fosse un esercito di professionisti superpagati. Neanche con dentro delle ragazze che imparano a guidare i Tornado. Anzi, tutti questi cambiamenti sarebbero vie per renderlo più adatto soltanto a fare quello che per il momento è e resta il suo unico “specifico”: usare le armi per sparare. E questo specifico con la nostra Costituzione centra poco.

Alla gente che cammina per strada la proposta del servizio militare femminile piace. Piace perché sembra moderna. Piace perché sembra “femminista”. E piace perché sembra aprire una nuova prospettiva occupazionale: ragazze disoccupate che diventano donne-soldato, retribuite della Forze Armate italiane. In realtà le spese necessarie ad aprire l’esercito alle donne, impiegate nel settore civile, creerebbero molti più posti di lavoro. La stessa quantità di denaro, riversato per esempipo nel settore previdenziale, consentirebbe di non aumentare l’età pensionabile e di migliorare le prospettive occupazionali per i giovani ed i cassaintegrati.

Le donne del Comitato

“Oscar Romero” – Torino

CAPITINI FU IL PRIMO MAESTRO DI NONVIOLENZA OCCIDENTALE
I movimenti gandhiani e nonviolenti oggi nel mondo

di Antonino Drago

1. Introduzione

Oggi vediamo che, a cinquant’anni dalla morte di Gandhi, la nonviolenza ha fruttificato in opere e movimenti in tutto il mondo. Sarebbe lungo e noioso elencare secondo una visione panoramica tutti i movimenti attuali, perché essi sono molti e perché la parola “nonviolenza” ha acquistato molti significati, tanti da far perdere di vista i suoi confini. Mentre invece a noi interessa di più seguire la sostanziale crescita di questi movimenti. Perciò ritengo molto più informativo giungere a questa panoramica seguendo una visione storica della crescita della nonviolenza, in modo da capire in quale situazione di passaggio siamo noi oggi.

Presenterò questa ricostruzione storica sotto tre aspetti, quelli necessari per dare una idea completa di che cosa è la nonviolenza nella realtà: i maestri, il pensiero e le lotte.

2. I maestri della nonviolenza

I maestri della nonviolenza possono essere raggruppati secondo la loro appartenenza a tre periodi: la nascita della nonviolenza con Gandhi, i maestri soprattutto occidentali e infine quelli recenti.

Noi oggi ricordiamo Gandhi, ma sappiamo bene che fu un russo, il famoso scrittore Leone Tolstoj, a riportare alla luce la nonviolenza nel mondo moderno. Il carteggio tra i due, avvenuto nel periodo della formazione alla lotta di Gandhi, costituisce una specie di passaggio del testimone, tra il profeta e colui che ha saputo attuare la nonviolenza nella pienezza delle opere sociali.

Mentre la nonviolenza di Tolstoj era soprattutto la ricerca della pacificazione dell’animo umano (perché ogni valore ben ordinato comincia da se stessi), con Gandhi inizia una nonviolenza che sa fare la pace anche nella società, perché sa affrontare i conflitti esterni e trovare un metodo per risolverli. Per questo motivo la nonviolenza attiva è iniziata con Gandhi.

Dopo di lui è lungo l’elenco di quelli che sono stati maestri di nonviolenza, nel duplice senso che hanno dedicato la loro vita alla attuazione della nonviolenza, sia nelle opere che nell’insegnamento. In India Badshan Khan, Vinoba Bahve e Jayaprakash Narayan; in Sud Africa A. Luthuli (premio Nobel 1961 per la pace). Più lunga la serie dei maestri occidentali, semplicemente perché è stato difficile introdurre la nonviolenza all’interno della società dei padroni del mondo; bisognava sconvolgerlo.

Non mi sembra spesso ricordato il fatto che il primo maestro di nonviolenza occidentale è stato un italiano, Aldo Capitini (di cui ricorre il trentesimo della morte). La sua obiezione alla tessera fascista (che gli costò il posto di lavoro, la emarginazione e il carcere) fu compiuta alla luce delle “limpidissime parole di Gandhi”. Nel seguito Capitini, pur malato e pur emarginato da tutti i partiti politici italiani, ha dedicato tutte le sue energie a sviluppare il suo pensiero, strutturalmente nonviolento, l’antifascismo e una politica nonviolenta, dal basso e per la omnicrazia.

I primi a far conoscere nei fatti la nonviolenza in Europa sono stati altri italiani. Lanza del Vasto fu per un breve periodo discepolo di Gandhi; con la sua approvazione tornò in Europa per fondare comunità gandhiane. Dal 1948 in Francia la Comunità dell’Arca ha rappresentato quanto di meglio la nonviolenza sa concretare nella vita di gruppo e nell’azione all’esterno. Inoltre l’insegnamento di Lanza del Vasto è stato uno dei più diffusi nel mondo, anche se non il più famoso. Un altro italiano che fece scoprire la nonviolenza in Europa è stato Danilo Dolci (morto nel 1997): i suoi scioperi alla rovescia, realizzati nella zona della massima diffusione della violenza sociale (mafia), hanno dimostrato a tutta l’Europa che anche qui da noi l’azione nonviolenta può realizzare un rivolgimento sociale.

Un altro che si è abbeverato alla fonte gandhiana è Jan van Lierde, olandese. E uno che ha ripensato il messaggio dell’amore cristiano in termini di nonviolenza è Jean Goss, un ferroviere francese che ha avuto il progetto di convertire la Chiesa cattolica a questa nuova direzione (suo e di sua moglie è il merito di aver indirizzato dom Helder Camara alla nonviolenza e poi di aver suscitato le energie della rivoluzione delle Filippine del 1986).

Poi occorrerebbe elencare molti altri, tra i quali però spiccano Martin Luther King (la nonviolenza che irrompe nella struttura sociale degli USA), Cesar Chavez che ha guidato le lotte dei braccianti messicani (altra risposta nonviolenta alla violenza della società statunitense), dom Helder Camara (la nonviolenza nell’America latina), don Lorenzo Milani (il punto d’approdo della ricerca popolare per una pedagogia della soluzione dei conflitti) e infine il primo vescovo italiano nonviolento, d. Tonino Bello (la nonviolenza che nel mondo dei conflitti si fa poesia).

Poi, nel terzo periodo ci sono i maestri che sembrano dare per scontata la nonviolenza come teoria ma la praticano ai massimi livelli politici, sia pur mischiandola con una buona dose di “realismo”: Joan Baez (la nonviolenza nel canto), J. Carter (l’instaurazione della politica dei diritti umani), Walesa (e il movimento di Solidarnosc), Gorbaciov (l’arresto della corsa alle armi nucleari), Havel (la forza della verità al potere), Galtung (la nonviolenza nel mondo intellettuale)….

3. La teoria strutturale della nonviolenza

Comunemente la nonviolenza viene considerata poco più che una buona volontà, alle volte sorprendentemente efficace; ma non come un pensiero teorico autonomo. E’ raro che la si capisca intellettualmente: la stessa parola “nonviolenza” fa da pietra d’inciampo alla usuale riflessione intellettuale, perché quel suo “non” iniziale dà fastidio a tanti. Inoltre non se ne sa cogliere la componente creativa, più che intellettuale.

Eppure in questi decenni la riflessione teorica nonviolenza ha saputo svilupparsi autonomamente, benché non venga studiata nelle Università e benché non abbia seguito l’intellettualità greco-occidentale (perciò è tuttora mal compresa e sminuita). Ormai ha compiuto passi da gigante, crescendo fino a diventare un “pensiero teorico forte”; che, per di più, in questo periodo di crollo delle ideologie, non ha avuto niente da revisionare. Seguiamo la storia di questa crescita.

Se studiamo la produzione di Gandhi per capire quale era il fondamento della sua nonviolenza, non la troviamo tanto nella religiosità, che pure in lui è stata fortissima, ma nell’etica. Un passaggio cruciale della sua vita fu, come lui disse, quando si rese conto che piuttosto che pensare che Dio è Verità, la Verità è Dio. Cioè la sua tensione religiosa doveva essere ben radicata in terra; e da lì slanciarsi in una ricerca, senza mai sperare di aver alla fine agganciato una entità che non si potrà mai essere sicuri di aver definito bene. A causa di questa ricerca pratica nella vita quotidiana deriva il suo passaggio dalla metafisica della religione all’etica, come base della nonviolenza: un’etica rigorosa, così come è quella di tutti i devoti tradizionalisti; ma guidata da una coscienza matura, capace di avvertire universalmente tutte le conseguenze legali e sociali degli atti personali; e quindi corresponsabile di tutti i fratelli. Da qui la visione di una estensione della legge personale interiore alla legge sociale esteriore, e poi il progetto di attuarla nella società, basandosi sulla capacità di riconciliare le parti in conflitto, per un rinnovamento globale.

Chi ha poi collegato la nonviolenza alla lunga tradizione della riflessione della filosofia occidentale è stato Capitini. Quella che nella storia della filosofia era stata la millenaria tensione alla conoscenza, e che già Kant aveva incominciato a riorientare verso la scoperta della norma morale autogestita; in Capitini diventa la tensione all’apertura (oltre ogni limite che venga posto dalla natura), del suo essere al “tu-Tutti”. Quindi un’etica della creazione, tra le persone, di valori superiori, mediante un evento positivo di tramutazione della realtà. Grazie a questa maturazione intellettuale egli è il primo a pensare in termini di nonviolenza strutturale, mediante quattro diverse “concezioni” che caratterizzano i popoli; tra le quali concezioni l’ultima è quella che lui prospetta, la nonviolenta. Ma poi non è riuscito a sviluppare da queste sue prime intuizioni un intero sistema di pensiero strutturale.

Chi invece lo ha incominciato a fare è stato Lanza del Vasto, probabilmente perché è riuscito a concludere, nel suo ambito, quella riforma della religione che Capitini aveva tentato senza riuscirci. Lanza del Vasto ha saputo rivedere in termini universalistici il legame della nonviolenza con la religione. Egli ha riconosciuto in tutte le grandi religioni un elemento comune, il racconto del Peccato Originale, e lo ha interpretato non come Peccato all’origine dei tempi, ma come Peccato all’origine della società, in quanto la società è sempre costituita dalla parte poco elevata degli uomini. Da qui la capacità di Lanza del Vasto di descrivere “il diavolo nel gioco sociale”; da qui la fondazione della nonviolenza come scelta di ritornare a ciò che è stato ribaltato, sia dentro che fuori di noi: una conversione personale e nello stesso tempo collettiva. In Lanza del Vasto il passaggio della nonviolenza dalla metafisica della religione all’etica e poi dall’astrattezza della filosofia alla realtà sociale, perviene ad una categoria intellettuale precisa (antropologica-culturale), la “civiltà”. Essa sostiene una prima teoria di quattro tipi di società e delle loro caratteristiche principali; tra le quali società quella nonviolenta è ben caratterizzata storicamente e sociologicamente.

Chi ha compiutamente sviluppato un pensiero strutturale nonviolento è il norvegese Johan Galtung. Egli ha incominciato a introdurre la fondamentale distinzione tra la violenza personale e la violenza strutturale; quest’ultima richiede una risposta non solo personale ma strutturale e in definitiva anche ideologica. Riprendendo due caratteristiche che il sociologo Parsons aveva trascurato, egli ha sottolineato, come fondamentali, per caratterizzare un gruppo sociale, due variabili dicotomiche: la distribuzione del potere in un gruppo (verticistico o paritetico) e il tipo di relazioni interpersonali che esistono tra le persone del gruppo (orientate alle persone o orientale alle cose). Ne risultano quattro “modelli di sviluppo”, che egli caratterizza con i colori blu, rosso, giallo e verde. Nel periodo delle lotte nucleari questi modelli sono apparsi in tutta evidenza, come rispettivamente quelli degli USA, dell’URSS, del solare gestito dalle multinazionali e della nonviolenza (e dei Verdi). Da allora il pensiero nonviolento ha avuto la capacità di affrontare intellettualmente i problemi storici e sociali più grandi (anche se il mondo accademico ancora non glielo riconosce).

E’ da notare anche il grande contributo dell’autodefinitosi nonviolento d. Milani. Egli arrivò ad un pensiero strutturale su due settori fondamentali della organizzazione sociale, la scuola e la difesa. La Lettera ad una Professoressa e la Lettera ai cappellani militari nei rispettivi settori in esame costruirono un’analisi oggettiva strutturale (le statistiche sulla selezione scolastica, nel primo caso; l’elenco di tutte le guerre italiane, nel secondo caso); la conseguenza sorprendente di ambedue le analisi fu il ribaltamento delle responsabilità (nella prima struttura: la bocciatura non era tanto colpa della svogliatezza del bocciato, ma dello scontro tra gruppi sociali; nella seconda struttura: l’obiezione non era una viltà, ma era la giusta risposta ad un obbligo di morte, mia o di altri, che in tutte le guerre passate era stato imposto per cause tutte ingiuste).

Infine oggi la nonviolenza si presenta come una nuova teoria politica, proprio mentre le altre teorie, che in precedenza la schiacciavano dall’alto delle loro sicurezze, ora sono abbandonate dalle masse e portano molti a teorizzare il progresso intellettuale come un tornare indietro ad un “pensiero debole”; il che rivela una chiara rinuncia. E’ facile vedere che questa rinuncia è dovuta alla mancanza di una teoria della soluzione dei conflitti sociali e intellettuali; cioè alla ignoranza della nonviolenza sociale e teorica, proprio ora che essa è costituita in “pensiero forte”..

4. Le lotte e i movimenti

Qui è facile esaltarsi nel vedere che ciò che all’inizio di questo secolo era poco di più che un seme (le lotte degli indiani nel Sud Africa) è cresciuto a dismisura, percorrendo tutto il secolo con grandi movimenti dal basso, fino alla grandiosa liberazione del 1989.

Sarebbe lungo elencare per filo e per segno queste lotte. Le scorro fuggevolmente, indicando solo il principale motivo di rilevanza.

Incominciamo dalla lunga lotta per la liberazione dell’India; essa ha portato alla prima liberazione dall’impero coloniale più grande che ci sia mai stato nella storia dell’umanità.

Ma che fare in Europa di fronte a Hitler? Questa domanda è passata tragicamente nella mente di tutti. In realtà anche sotto Hitler ci sono stati dei movimenti di lotta nonviolenta. In Danimarca i cittadini hanno difeso in massa i loro ebrei; in Norvegia i gruppi professionali (gli insegnanti per primi) hanno tenuto in scacco la occupazione militare nazista.

Ma questo lo si è ricostruito dopo e lentamente. Invece nell’immediato dopoguerra fu luminosa la lotta di Danilo Dolci contro la mafia e più tardi in Vietnam quella dei buddisti contro l’oppressione USA. Ma queste lotte nonviolente sembravano lotte provinciali, tipiche da minoranze emarginate; finché nei potentissimi USA M.L. King portò 200.000 neri a Washington per rivendicare i loro diritti civili (“Ho un sogno…”).

Allora sorprendentemente la contestazione studentesca mondiale apparve come una grande lotta nonviolenta contro le strutture sociali occidentali; e dall’altra parte del mondo, sempre nel fatidico ’68, la Cecoslovacchia si difese sorprendentemente “a mani nude” contro i carrarmati dell’URSS che volevano schiacciare la “primavera praghese”. La nonviolenza era entrata nella terra dei padroni e non aveva richiesto nessuna di quelle precondizioni che erano sembrate essenziali alla lotta gandhiana (religiosità rigorosa, leader carismatico, società agricola, lotta nazionalistica, ecc. ).

Da allora in poi c’è stata una cavalcata di lotte nonviolente nel mondo. Negli anni ’70 sono nate le lotte antinucleari, i cui movimenti erano a maggioranza nonviolenta; essi hanno proposto come modello di sviluppo più razionale ed efficiente proprio quello anticipato dai nonviolenti (da Gandhi per primo). Nel 1979 milioni di donne col velo sono riuscite a liberare l’Iran dalle sette sorelle del petrolio e dalla CIA, sconvolgendo per la prima volta tutta la geopolitica mondiale. Negli anni ’80 in Polonia Solidarnosc ha messo ha rischio il potere dell’URSS. Poi manifestazioni di milioni di persone alla volta hanno chiesto in tutti i paesi occidentali la fine della corsa agli armamenti nucleari; fino a giungere alla vittoria del trattato sul ritiro degli euromissili, all’interno di un incredibile avvicinamento tra URSS e USA che si fondava sulla fede nella pace di un uomo solo, Gorbaciov. Nel 1986 c’è stata la liberazione delle Filippine dalla dittatura di Marcos; per la prima volta una donna è andata al potere a furor di popolo.

Infine, “l’anno delle meraviglie”, il 1989. E’ rimasto insanguinato dal massacro di Piazza Tien An Men, là dove era stata inventata la parola cinese equivalente a “nonviolenza” e dove per ben due volte gli studenti e i cittadini pechinesi avevano fermato l’esercito che era stato inviato per schiacciare la insurrezione (la terza volta furono inviate truppe che parlavano un’altra lingua). Nonostante questo sangue, poco dopo i popoli della Polonia, della Cecoslovacchia, della Germania Est, della Estonia, della Lituania hanno saputo concludere felicemente un lungo processo di liberazione che aveva avuto come unica parola d’ordine la nonviolenza.

Ancora non si vuole credere a questi fatti. Anzi, i potenti hanno puntato tutto sul riassorbimento di questa “ondata di irrazionalità”, che (dopo la vittoria sulle centrali nucleari), avrebbe devastato momentaneamente il consenso ai potenti della Terra. Ma l’evidenza è insopprimibile. Solo la nonviolenza ha potuto quello che né la scomunica delle Chiese, né le armi nucleari dei militari avevano potuto: liberare quasi metà della Terra da una deviazione ideologica diventata aberrazione dittatoriale; e con ciò liberare tutta l’umanità da quell’atto di servitù che mai si era visto nella storia: la divisione di tutti i popoli da parte di quattro uomini (Yalta); divisione che da allora è diventata solo un umiliante ricordo storico.

La nonviolenza ha vinto! Bisogna gridarlo con tutta la nostra forza; se non altro per cancellare quella fuga dalla realtà sintetizzata dalla frase “la caduta del muro di Berlino”, dove accuratamente si fa a meno di indicare gli attori (i popoli, e non i potenti) e le idee (la nonviolenza, e non il liberismo capitalista) del 1989. Questa vittoria non è sicuramente dovuta all’irrazionalità o a dei sentimenti collettivi, perché abbiamo visto in precedenza che in questo secolo la nonviolenza ha costruito compiutamente un suo pensiero teorico strutturale, sia tra alcuni maestri intellettuali, sia tra la gente comune (anche se i maggiori teorici nonviolenti non hanno saputo proporsi come i maggiori leaders delle lotte nonviolente).

5. I movimenti nonviolenti italiani

Dopo questo grande sommovimento mondiale, qual è il ruolo degli attuali movimenti nonviolenti italiani?

Abbiamo visto che in Italia la nonviolenza è stata presentata molto presto ed ha avuto un gruppo di maestri come nessun altro paese europeo l’ha avuto (anche se questi maestri non hanno mai collaborato in gruppo). Essi hanno dato l’impronta ad una fase ben precisa, quella dei maestri-profeti, che hanno presentato la nonviolenza quasi sacralmente.

Il loro insegnamento in Italia ha raggruppato aderenti ai due piccoli gruppi di nonviolenti (MIR e Movimento Nonviolento), che assieme ad altri movimenti (MCP, SCI, Assopace, LDU, ecc.) hanno trovato degli obiettivi fondamentali di azione comune nella legge sull’obiezione di coscienza (prima le lotte per la sua approvazione, avvenuta nel 1972 e poi il lavoro per la qualificazione del conseguente servizio civile di tanti giovani), la educazione scolastica nonviolenta (anni ’70 e ’80), le lotte sul problema energetico (anni ’70), le lotte contro le armi nucleari (anni ’80), la fondazione di comunità dell’Arca (al Sud: 1979-1993; al Nord: 1984-95), il sostegno al partito italiano dei Verdi, la Campagna di obiezione alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta, la diffusione dei training nonviolenti…

In particolare è molto rilevante il fatto che, mentre la Chiesa cattolica ancor oggi si avvicina molto lentamente e non senza resistenze alla nonviolenza, dal 1980 la Caritas è entrata nel Servizio civile degli obiettori, assumendone migliaia l’anno; il che di fatto ha creato un servizio civile qualificato e per di più attento alla nonviolenza e alla DPN (tanto da reggere l’urto di Spadolini, che nel 1983 voleva svilire il sevizio civile), ha permesso la larga diffusione della obiezione di coscienza in una gran parte della gioventù italiana, ha portato ad un radicale cambiamento propositivo nelle parrocchie e nelle Curie diocesane. Inoltre è rilevante che in Italia Pax Christi, a differenza delle posizioni mediamente moderate che ha negli altri Paesi, sotto la presidenza di don Tonino Bello ha preso delle posizioni decisamente nonviolente: in particolare ha aderito alla Campagna OSM-DPN e ha lanciato la marcia a Sarajevo del 1992.

6. I movimenti per la pace dopo il 1989

Ma tutto questo non deve fare pensare ad una crescita costante della nonviolenza in Italia. Dal punto di vista solo numerico, la crescita degli anni ’60 e ’70 si è rivelata poco duratura e poi è addirittura regredita, paradossalmente, proprio dopo il 1989. Questa data è certamente una discriminante tra due periodi profondamente diversi per i nonviolenti.

Il 1989 ha creato un entusiasmo molto grande: veniva a realizzarsi quanto finallora era stato irriso come un semplice sogno ad occhi aperti. I nonviolenti, che finallora erano stati solo minoranza emarginata, si aspettavano giustamente di essere presi in considerazione, o che comunque nella struttura sociale avvenisse quel cambiamento che la storia aveva dimostrato necessario: quel lavoro sociale che finallora loro avevano compiuto per iniziativa spontanea dal basso e per sforzo volontaristico avrebbe dovuto essere istituzionalizzato, così come era stato chiesto previdentemente già dal 1982 dalla Campagna OSM-DPN, e così come era logico che avvenisse per una proposta politica (la DPN) che le liberazioni del 1989 avevano dimostrato valida nei fatti; dallo spontaneismo si sarebbe dovuto passare alla collocazione stabile di uomini e di idee nelle strutture politiche (partiti e istituzioni), in modo che la società sapesse preparare convenientemente le azioni future analoghe alle liberazioni del 1989. La naturale attesa di promozione sociale e politica ha coinvolto un po’ tutti i nonviolenti, tanto più in tempi di crollo della classe politica italiana (Tangentopoli).

E invece dopo il 1989 c’è stato il contraccolpo delle guerre nel Golfo e in Jugoslavia (che sono state così tanto irrazionali e così tanto prevaricatrici di ogni buona disposizione da essere incredibili); ciò ha messo a dura prova la fiducia che i nonviolenti per opinione riponevano nelle loro capacità di risolvere nonviolentemente i conflitti. Queste guerre hanno indicato ai nonviolenti che occorreva ricominciare faticosamente daccapo la lunga salita di Sisifo. Il dopo 1989 è stato quindi una grande delusione per i nonviolenti, perché ha loro impedito di uscire dallo spontaneismo, cioé dalla necessità di continuare ad improvvisare ed a profondere energie in ogni occasione di impegno. Tanto più che dopo il 1989 la salita di Sisifo è stata ancora più angosciante, per le attività d’emergenza da realizzare urgentemente in Jugoslavia. Inoltre quell’inquinamento della nonviolenza che prima era quasi laterale, quello creato dai radicali, dopo il 1989 si è rinnovato, ora moltiplicato in ampiezza dal rozzo ma pesante equivoco della Lega Nord. Non è sorprendente allora che, durante un periodo di generale disimpegno della popolazione italiana per la vita politica e per le ideologie politiche, anche i nonviolenti abbiano subìto una contrazione, sicuramente di tutti quelli che si erano avvicinati per una adesione di opinione.

7. Quale prospettiva?

Ma c’è da notare che nel frattempo la nonviolenza si è fatta strada tra la gente; ad es. essa oggi è partecipata da molti altri movimenti.

Sono sorte delle ONG tipicamente nonviolente (oltre l’Overseas di Modena, l’Assefa che ha varie sedi in Italia e che è collegata con vari movimenti gandhiani indiani). La associazione per il Commercio equo e solidale ha creato una rete nazionale proprio nel settore economico che oggi è il più difficile da aggredire. Durante la guerra in Jugoslavia (e anche dopo) una miriade di gruppi e associazioni ha svolto un lavoro enorme che non è stato solo assistenziale; in particolare l’Associazione per la Pace si è trasformata profondamente attraverso questo tipo di lavoro, assumendo un carattere maggiormente nonviolento. Amnesty International ha ripreso un atteggiamento nonviolento, quello tipico della sua origine. E’ sorto il movimento dei Beati Costruttori di Pace, che non è nonviolento ma agisce in situazioni molto difficili come meglio saprebbero fare i nonviolenti; la Comunità S. Egidio, che pure non ha mai compiuto una scelta dichiarata di nonviolenza, ha realizzato delle mediazioni internazionali (Mozambico, Algeria, Kosovo) che hanno concretato quella diplomazia popolare che era stata tanto auspicata. Soprattutto, la nonviolenza è entrata al livello delle grandi religioni con un ecumenismo partecipato da tutti (finalmente anche da tutta la chiesa cattolica), che ha fatto passi da gigante; oggi le chiese sono terreno di cultura per la nonviolenza, almeno nei rapporti tra le religioni. In più, nel 1992 anche l’ONU ha espresso (Agenda per la Pace del Segr. generale B.B. Ghali) la volontà di istituire corpi di intervento non armato. Infine, ma non meno importante, le donne stanno avendo un ruolo crescente nella vita sociale e politica e ciò non potrà che favorire la nonviolenza nelle relazioni sociali.

Guardando tutto ciò complessivamente, sembra di vedere che la nonviolenza, da ispirazione di qualche grande maestro, è passata poi in movimenti e poi si è diffusa spontaneamente nella società e nella storia. Dal movimento verticale dell’insegnamento dei grandi maestri si è passati al movimento orizzontale della diffusione popolare imprevedibile. Tutto ciò fino al 1989. Ora sembra che la fase della diffusione, verticale e orizzontale, della nonviolenza sia terminata.

Perciò tutto questa crescita avrà realizzato solo un momento di verità mondiale se, come in tutte le occasioni in cui la storia ha maturato nuove realtà, questa nuova verità non verrà concretata in apposite istituzioni; dove la parola istituzione è da intendere in senso ampio; tanto potrà nascere una grande aggregazione privata nonviolenta, del tipo di una grande associazione internazionale, un ordine religioso, una comunità ecologica regionale; oppure una legge nazionale potrà riconoscere la cittadinanza collettiva dei nonviolenti in Italia, dando loro i mezzi logistici e finanziari per esprimersi socialmente (ad es. in termini educativi, con una Scuola per i (500?) Formatori dei 55.000 obiettori di coscienza all’anno); tanto questa istituzione potrà essere realizzata dall’ONU istituendo un copro internazionale di peacekeepers civili nonviolenti. Qui è il gradino cruciale di questo momento: realizzare una prima istituzione nonviolenta in mezzo alla società attuale, che è strutturata mediante una serie di istituzioni violente.

Siamo quindi in una situazione molto divaricata. Sia a livello internazionale, tra vittorie enormi che hanno generato attese tradite dagli avvenimenti successivi; sia in Italia, dove si naviga a vista in mezzo a situazioni che invece potrebbero far sviluppare grandi progetti di nonviolenza. In particolare, in Italia la Campagna OSM-DPN è un sicuro sostegno per una strategia politica che alla nonviolenza dia un ruolo centrale nella vita politica italiana. Infatti la Campagna italiana di obiezione alle spese militari è stata certamente favorita dalla legislazione italiana (che è poco dura verso chi rifiuta le tasse) e da una Costituzione che, unica al mondo, è interpretabile anche in termini di difesa nonviolenta. La Campagna, attraverso la nuova Legge n. 230/98 di riforma dell’odc, può recuperare quella “prima istituzione di DPN” alla quale essa è finalizzata e che oggi può costituire il salto di qualità per una crescita della nonviolenza.

Se ci si riuscirà, l’Italia darà l’esempio della prima istituzionalizzazione della nonviolenza a tutti i paesi del mondo (specie quelli cattolici); tenendo conto dei vari maestri italiani di nonviolenza, l’Italia sarà il Paese che ha seguito Gandhi meglio di tutti gli altri. Se invece non ci riuscirà, la nonviolenza in Italia avrà terminato quella spinta propulsiva che ha avuto in questi decenni, avendo consumato (bene e male) tutte le energie che gli venivano dalla eredità di grandi maestri. Questo fatto sarà probabilmente il segno che i grandi avvenimenti del 1989 dovranno bastare per i prossimi decenni a venire a convincere la gente della bontà della strategia nonviolenta; fino ad una nuova fase di lotta nonviolenta nella quale la sofferenza dei prossimi tempi duri avrà fatto maturare un’altra generazione di nonviolenti.

NUOVA LEGGE IN ITALIA. E NEL RESTO D’EUROPA?
L’Eurobiezione di coscienza al servizio militare

A cura di Stefano Guffanti

Diritto all’obiezione: per chi?

E’ considerato obiettore di coscienza chiunque rifiuti di compiere il servizio militare o di partecipare sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, a guerre o conflitti armati, per motivi di coscienza, in ragione delle sue convinzioni religiose, etiche, morali, umanitarie, filosofiche, politiche. Il diritto a rifiutare l’uso delle armi o di partecipare a guerre, deve essere garantito, indipendentemente dalla ragione dell’obiezione e deve essere esteso anche a coloro che hanno già iniziato il servizio militare, come pure ai soldati che operano in eserciti professionali, che hanno maturato l’obiezione di coscienza dopo essersi arruolati.

L’obiezione nel diritto internazionale

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa ed il Parlamento Europeo, hanno riconosciuto il diritto all’obiezione, quale componente basilare del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, sollecitando i governi nazionali a legiferare affinché:

sia concesso, agli obiettori, di svolgere un servizio alternativo di carattere civile e non punitivo;
sia consentito dichiararsi obiettori in qualsiasi momento;
sia garantita e promossa l’informazione sulle leggi;
il servizio civile sia effettivamente alternativo alle attività militari e belliche.

Un diritto senza limiti

Ogni essere umano deve poter esercitare il diritto all’obiezione indipendentemente da:

l’aver intrapreso il servizio militare per obbligo (coscrizione obbligatoria) o per scelta (arruolamento volontario);

fattori temporali, avendo così, in ogni momento, la possibilità di rivedere la sua posizione, soprattutto se il conflitto, più che un’eventualità puramente teorica, diventa un effettiva opportunità di trovarsi a dover uccidere altri esseri umani.

Sostenere la campagna per il diritto all’obiezione

L’approvazione di leggi, formalmente adeguate, è condizione importante, ma di per sé non sufficiente, a garantire l’effettivo riconoscimento del diritto all’obiezione, se non è affiancata da iniziative concrete e sostanziali, finalizzate alla creazione di cultura ed informazione sul rispetto e difesa dei diritti umani; per questo è importante conoscere e sostenere i gruppi che operano per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza; quali riferimenti, in Italia, indichiamo:

Lega Obiettori di Coscienza Tel: 02/58101226 e-mail: locosm@tin.it

Azione Nonviolenta Tel: 045/8009803 e-mai: azionenonviolenta@sis.it

Amnesty International Italia Tel: 06/37514860 e-mail: coord.odc@amnesty.it

Difesa armata e diritto all’obiezione in Europa

Confrontando l’organizzazione militare e il quadro legislativo in materia di obiezione, emerge un quadro europeo fortemente eterogeneo; possiamo, però, individuare almeno cinque situazioni, con alcuni tratti comuni:

Arruolamento di professionisti su base volontaria, per i quali raramente è prevista la possibilità di maturare la scelta di obiezione di coscienza;
Coscrizione obbligatoria; l’obiezione è illegale e non è previsto un servizio alternativo;
Coscrizione obbligatoria; l’obiezione è ammessa dalla Costituzione ma, senza leggi attuative, è impossibile svolgere un servizio alternativo;
Coscrizione obbligatoria; la legge permette un servizio alternativo ma a condizioni estremamente punitive;
Coscrizione obbligatoria; l’obiezione è consentita da una legislazione che, seppur con qualche limite, è abbastanza avanzata.

Alcune indicazioni pratiche

Per uno studio più approfondito del tema si può fare riferimento al Rapporto europeo di Amnesty International, associazione che promuove, tra le altre, iniziative e campagne a sostegno del diritto all’obiezione di coscienza; chi fosse interessato ad avere maggiori informazioni (casi di obiettori adottati quali prigionieri di coscienza, evoluzioni legislative, campagne per il diritto all’obiezione, etc.) può contattare direttamente l’associazione, oppure consultarne i siti Internet:

http://www.amnesty.org (situazione mondiale);

http://www.amnesty.it (situazione italiana ed europea).

MAESTRI DEL PENSIERO INDIANO / 8
La dominazione musulmana e il sikhismo
di Claudio Cardelli

L’invasione islamica, iniziata a partire dal Mille, introdusse radicali cambiamenti nella società indiana, la quale fu costretta a lottare contro popolazioni agguerrite, sorrette da una fede religiosa intransigente. Mahmud di Ghazni, dal suo regno afghano, cominciò nel 1001 le spedizioni di conquista, ma più specialmente di razzia, contro l’India, finchè nel 1021 potè annettersi il Panjab. Di qui la potenza musulmana si estese nell’India settentrionale e portò alla nascita del Sultanato di Delhi (1211).

Dopo la rovinosa incursione di Tamerlano, che nel 1398 saccheggiò Delhi, il Sultanato entrò in crisi e sopravvisse con alterne vicende fino ai primi decenni del Cinquecento, quando si affacciò alle frontiere un nuovo conquistatore, il turco-mongolo Babur, che con la forza militare fondò l’impero Moghul (1530-1707), il più grande Impero musulmano dell’India.

Nel campo religioso due grandi avvenimenti ebbero luogo in seguito all’occupazione islamica: la scomparsa del Buddhismo dall’India (ad eccezione dello Sri Lanka e delle regioni del Himalaya), e il sorgere di un islamismo indiano, specialmente nelle regioni del nord e dell’ovest.

La predicazione di Kabir

L’urto violento tra indù e musulmani spinse alcuni spiriti più consapevoli alla ricerca di un’intesa tra le due religioni. Kabir (circa 1440-1518), nato a Benares e abbandonato dalla madre, fu allevato da un tessitore musulmano, ma crebbe circondato dall’ambiente e dalle osservanze indù, associandosi ai seguaci di Ramananda, un devoto di Vishnu.

Dedicatosi alla predicazione itinerante, si rivolgeva agli indù e ai musulmani, e insisteva nel dire che c’è un unico Dio, che gli uomini chiamano con nomi diversi, sia Allah, sia Rama (avatàra di Vishnu ed eroe del Ramayana). Per conoscere Dio, bisogna aprire l’animo alla compassione, credere nella fratellanza degli uomini e conoscere sé stessi.

Guru Nanak e il Sikhismo

Guru Nanak naque nel 1469 da famiglia indù in un piccolo villaggio del Panjab centrale, non molto lontano dalla città di Lahore. Apparteneva alla casta guerriera ed entrò in contatto con la cultura indù, con quella musulmana e con l’insegnamento di Kabir.

Dopo una serie di viaggi, durante i quali visitò i luoghi sacri dell’induismo e dell’islamismo, si ritirò coi discepoli (in lingua panjabi, sikh) nel villaggio di Kartarpur nel Panjab, dove fondò una comunità e morì nel 1539 (o 1538).

Aveva designato uno dei suoi discepoli, Lahina, come suo successore, così il movimento dei Sikh proseguì attraverso la successione dei Guru. L’intuizione fondamentale di Guru Nanak è l’incontro tra indù e musulmani nella fede in un unico Dio. La breve formula, che apre l’Adi Granth (il sacro testo dei Sikh) e che la tradizione vuole fosse pronunciata dal Guru subito dopo la sua “illuminazione” a Sultànpur, riassume bene il suo credo:

L’Essere supremo è uno. Il suo nome è “colui che veramente è”.

È un Dio personale, creatore, privo di paura e di inimicizia.

Non soggetta al tempo è la sua immagine.

È non-generato, esistente per sé stesso, Guru, dispensatore di grazia.

Il Vero era all’inizio; il Vero era nell’età primiera; il Vero è anche ora; il Vero anche sarà.

Commenta il prof. Stefano Piano: “In queste parole è contenuta l’enunciazione di tutti i principi fondamentali della teologia di Nanak e, in generale, dei Sikh. Il primo di essi è l’unicità di Dio, considerata da tutti gli esegeti e gli storici del Sikhismo come la principale credenza religiosa del primo guru. Una credenza che non solo la religione ebraico-cristiana e l’Islamismo avevano rigorosamente affermato, ma che non era affatto estranea neppure al mondo dell’Induismo, e in modo particolare alle più mature correnti religiose dei tempi di Nanak.

È vero che l’induismo può facilmente apparire come una religione politeistica: infatti un grandissimo numero di dei e di semidei era ed è tuttora venerato dalle popolazioni delle svariate regioni dell’India. Ma è tuttavia altrettanto vero che dietro questo apparente politeismo – con tutto ciò che comporta di iconolatria, superstizione e fanatismo di setta – si cela la fondamentale tendenza alla fede in un solo Essere supremo. Tale fede si accompagna di solito a concezioni di tipo panteistico, secondo le quali non esiste che una sola realtà, per cui Dio si identifica con l’universo intero.” (Guru Nanak e il Sikhismo, Ed. Esperienze, Fossano (Cn), 1971, pp. 107-108)

Guru Nanak diede un grande contributo alla civiltà dell’India, suscitando sentimenti di tolleranza e di benevolenza tra Indù e Musulmani; inoltre condannò ogni forma di idolatria, il sistema delle caste, il bruciamento delle vedove e l’uso di vino e tabacco.

Purtroppo, la pacifica comunità basata sui principi della verità, della tolleranza e dell’amore, non durò a lungo. I Sikh, alla fine del Seicento, dopo aver subito una lunga serie di persecuzioni da parte delle autorità musulmane, furono costretti a trasformarsi in una comunità armata per difendere con la spada la propria fede.
Legge 8 luglio 1998, n. 230 “Nuove norme in materia di obiezione di coscienza.”

Approvata definitivamente al Senato il 16 giugno 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.163 del 15 luglio 1998

Art. 1.

1. I cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all’uso delle armi, non accettano l’arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati nei “Principi fondamentali” della Costituzione. Tale servizio si svolge secondo le modalità e le norme stabilite nella presente legge.

Art. 2.

1. Il diritto di obiezione di coscienza al servizio militare non é esercitabile da parte di coloro che:

a) risultino titolari di licenze o autorizzazioni relative alle armi indicate negli articoli 28 e 30 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modifiche ed integrazioni, ad eccezione delle armi di cui al primo comma, lettera h), nonché al terzo comma dell’articolo 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, della legge 21 febbraio 1990, n. 36. Ai cittadini soggetti agli obblighi di leva che facciano richiesta di rilascio del porto d’armi per fucile da caccia, il questore, prima di concederlo, fa presente che il conseguimento del rilascio comporta rinunzia ad esercitare il diritto di obiezione di coscienza;

b) abbiano presentato domanda da meno di due anni per la prestazione del servizio militare nelle Forze armate, nell’Arma dei carabinieri, nel Corpo della guardia di finanza, nella Polizia di Stato, nel Corpo di polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato, o per qualunque altro impiego che comporti l’uso delle armi;

c) siano stati condannati con sentenza di primo grado per detenzione, uso, porto, trasporto, importazione o esportazione abusivi di armi e materiali esplodenti;

d) siano stati condannati con sentenza di primo grado per delitti non colposi commessi mediante violenza contro persone o per delitti riguardanti l’appartenenza a gruppi eversivi o di criminalità organizzata.

Art. 3.

1. Nel bando di chiamata di leva predisposto dal Ministero della difesa deve essere fatta esplicita menzione dei diritti e dei doveri concernenti l’esercizio dell’obiezione di coscienza.

Art. 4.

1. I cittadini che a norma dell’articolo 1 intendano prestare servizio civile devono presentare domanda al competente organo di leva entro sessanta giorni dalla data di arruolamento. A decorrere dal 1 gennaio 1999 il predetto termine é ridotto a quindici giorni. La domanda non può essere sottoposta a condizioni e deve contenere espressa menzione dei motivi di cui all’articolo 1 della presente legge nonché l’attestazione, sotto la propria personale responsabilità, con le forme della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, circa l’insussistenza delle cause ostative di cui all’articolo 2. Fino al momento della sua definizione la chiamata alla leva resta sospesa, semprechè la domanda medesima sia stata prodotta entro i termini previsti dal presente articolo; le disposizioni di cui al presente periodo si applicano fino al 31 dicembre 1999.

2. All’atto di presentare la domanda, l’obiettore può indicare le proprie scelte in ordine all’area vocazionale e al settore d’impiego, ivi compresa l’eventuale preferenza per il servizio gestito da enti del settore pubblico o del settore privato, designando fino a dieci enti nell’ambito di una regione prescelta. A tal fine la dichiarazione può essere corredata da qualsiasi documento attestante eventuali esperienze o titoli di studio o professionali utili.

3. Fino al 31 dicembre 1999 gli abili ed arruolati ammessi al ritardo ed al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge, nel caso che non abbiano presentato la domanda nei termini stabiliti al comma 1, potranno produrla al predetto organo di leva entro il 31 dicembre dell’anno precedente la chiamata alle armi. La presentazione della domanda di ammissione al servizio civile non pregiudica l’ammissione al ritardo o al rinvio del servizio militare per i motivi previsti dalla legge.

Art. 5.

1. Il Ministro della difesa, sulla base dell’accertamento da parte degli uffici di leva circa l’inesistenza delle cause ostative di cui all’articolo 2, decreta, entro il termine di sei mesi dalla presentazione della domanda, l’accoglimento della medesima. In caso contrario ne decreta la reiezione, motivandola.

2. La mancata decisione entro il termine di sei mesi comporta l’accoglimento della domanda.

3. In caso di reiezione della domanda di ammissione al servizio civile o di sopravvenuto decreto di decadenza dal diritto di prestarlo, l’obiettore può ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria. Il giudice competente é il pretore nella cui circoscrizione ha sede il distretto militare presso cui é avvenuta la chiamata alla leva. Per il procedimento si osservano le norme di cui agli articoli da 414 a 438 del codice di procedura civile, in quanto applicabili. Il pretore, anche prima dell’udienza di comparizione, su richiesta del ricorrente, può sospendere fino alla sentenza definitiva, con ordinanza non impugnabile, quando ricorrano gravi motivi, l’efficacia del provvedimento di reiezione della domanda o del decreto di decadenza dal diritto di prestare il servizio civile.

4. Fino al 31 dicembre 1999 in caso di reiezione della domanda di ammissione al servizio civile e, comunque, in caso di sopravvenuto decreto di decadenza dal diritto di prestarlo, l’obiettore può ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria. Il giudice competente é il pretore nella cui circoscrizione ha sede il distretto militare presso cui é avvenuta la chiamata alla leva. Per il procedimento si osservano le norme di cui agli articoli da 414 a 438 del codice di procedura civile, in quanto applicabili. Il pretore, anche prima dell’udienza di comparizione, su richiesta del ricorrente, può sospendere fino alla sentenza definitiva, con ordinanza non impugnabile, quando ricorrano gravi motivi, l’efficacia del provvedimento di reiezione della domanda o del decreto di decadenza dal diritto di prestare il servizio civile.

5. Dalla data di inizio dell’efficacia delle disposizioni di cui al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, il giudice competente ai fini di quanto previsto dal comma 4 é il tribunale in composizione monocratica di cui all’articolo 50- ter del codice di procedura civile, introdotto dall’articolo 56 del citato decreto legislativo n. 51 del 1998.

6. Il rigetto del ricorso o della richiesta di sospensiva comporta l’obbligo di prestare il servizio militare per la durata prescritta.

Art. 6.

1. I cittadini che prestano servizio civile ai sensi della presente legge godono degli stessi diritti, anche ai fini previdenziali e amministrativi, dei cittadini che prestano il servizio militare di leva. Essi hanno diritto alla stessa paga dei militari di leva con esclusione dei benefici volti a compensare la condizione militare.

2. Il periodo di servizio civile é riconosciuto valido, a tutti gli effetti, per l’inquadramento economico e per la determinazione dell’anzianità lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico e privato, nei limiti e con le modalità con le quali la legislazione vigente riconosce il servizio di leva.

3. Il periodo di servizio civile e di leva effettivamente prestato é valutato nei pubblici concorsi con lo stesso punteggio che le commissioni esaminatrici attribuiscono per i servizi prestati negli impieghi civili presso enti pubblici. Ai fini dell’ammissibilità e della valutazione dei titoli nei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni é da considerarsi a tutti gli effetti il periodo di tempo trascorso nel servizio civile e di leva in pendenza di rapporto di lavoro.

4. L’assistenza sanitaria é assicurata dal Servizio sanitario nazionale, salvo quanto previsto dall’articolo 9, comma 7.

Art. 7.

1. Dalla data di accoglimento della domanda i nominativi degli obiettori vengono inseriti nella lista del servizio civile nazionale; tale inserimento viene contestualmente annotato nelle liste originarie per l’arruolamento di terra o di mare.

2. La lista degli obiettori di coscienza prevede più contingenti annui per la chiamata al servizio.

Art. 8.

1. In attesa dell’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), e all’articolo 12 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, é istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Ufficio nazionale per il servizio civile. La dotazione organica dell’Ufficio, fissata per il primo triennio nel limite massimo di cento unità, é assicurata utilizzando le vigenti procedure in materia di mobilità del personale dipendente da pubbliche amministrazioni, nonché di consulenti secondo quanto previsto dalla legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni. L’Ufficio é organizzato in una sede centrale e in sedi regionali ed é diretto da un dirigente generale dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, il quale rimane in carica per un quinquennio, rinnovabile una sola volta.

2. L’Ufficio di cui al comma 1 ha i seguenti compiti:

a) organizzare e gestire, secondo una valutazione equilibrata, anche territorialmente, dei bisogni ed una programmazione annuale del rendimento complessivo del servizio, da compiere sentite le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la chiamata e l’impiego degli obiettori di coscienza, assegnandoli alle Amministrazioni dello Stato, agli enti e alle organizzazioni convenzionati di cui alla lettera b);

b) stipulare convenzioni con Amministrazioni dello Stato, enti o organizzazioni pubblici e privati inclusi in appositi albi annualmente aggiornati presso l’Ufficio stesso e le sedi regionali, per l’impiego degli obiettori esclusivamente in attività di assistenza, prevenzione, cura e riabilitazione, reinserimento sociale, educazione, promozione culturale, protezione civile, cooperazione allo sviluppo, formazione in materia di commercio estero, difesa ecologica, salvaguardia e fruizione del patrimonio artistico e ambientale, tutela e incremento del patrimonio forestale, con esclusione di impieghi burocratico-amministrativi;

c) promuovere e curare la formazione e l’addestramento degli obiettori sia organizzando, d’intesa con i Ministeri interessati e con le regioni competenti per territorio, appositi corsi generali di preparazione al servizio civile, ai quali debbono obbligatoriamente partecipare tutti gli obiettori ammessi al servizio, sia verificando l’effettività e l’efficacia del periodo di addestramento speciale al servizio civile presso gli enti e le organizzazioni convenzionati di cui all’articolo 9, comma 4;

d) verificare, direttamente tramite le regioni o, in via eccezionale, tramite le prefetture, la consistenza e le modalità della prestazione del servizio da parte degli obiettori di coscienza ed il rispetto delle convenzioni con le Amministrazioni dello Stato, gli enti e le organizzazioni di cui alle lettere a) e b) e dei progetti di impiego sulla base di un programma di verifiche definito annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e che dovrà comunque prevedere verifiche a campione sull’insieme degli enti e delle organizzazioni convenzionati, nonché verifiche periodiche per gli enti e le organizzazioni che impieghino più di cento obiettori in servizio;

e) predisporre, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta;

f) predisporre iniziative di aggiornamento per i responsabili degli enti e delle organizzazioni di cui alle lettere a) e b);

g) predisporre e gestire un servizio informativo permanente e campagne annuali di informazione, d’intesa con il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri e con i competenti uffici dei Ministeri interessati, per consentire ai giovani piena conoscenza delle possibilità previste dalla presente legge;

h) predisporre, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile, piani per il richiamo degli obiettori in caso di pubblica calamità e per lo svolgimento di periodiche attività addestrative;

i) predisporre il regolamento generale di disciplina per gli obiettori di coscienza;

l) predisporre il regolamento di gestione amministrativa del servizio civile.

3. Per l’organizzazione e il funzionamento dell’Ufficio di cui al comma 1, nonché per la definizione delle modalità di collaborazione fra l’Ufficio stesso e le regioni con specifico riferimento a quanto previsto alle lettere c), d), f) e g) del comma 2, con decreto del Presidente della Repubblica, é emanato, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza dei presidenti delle regioni delle province autonome, apposito regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 4- bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni. Con tale regolamento sono altresì definite le norme dirette a disciplinare la gestione delle spese, poste a carico del Fondo di cui all’articolo 19. La gestione finanziaria é sottoposta al controllo consuntivo della Corte dei conti.

4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, da emanare entro e non oltre tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, sono emanati i regolamenti di cui al comma 2, lettere i) e l). Sugli schemi di tali regolamenti é preventivamente acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

5. Per un periodo massimo di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge l’Ufficio di cui al comma 1 si avvale della collaborazione del Ministero della difesa ai fini della gestione annuale del contingente.

6. Al fine di assicurare la necessaria immediata operatività dell’Ufficio di cui al comma 1, la Presidenza del Consiglio dei ministri può avvalersi in via transitoria di personale militare in posizione di ausiliaria, di personale civile del Ministero della difesa, ovvero di altre Amministrazioni, dei consulenti previsti al comma 1 nonché di appositi nuclei operativi resi disponibili dai distretti militari.

7. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, valutato in lire 850 milioni annue a decorrere dall’anno 1998, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno finanziario 1998, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

8. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica é autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 9.

1. Il Ministro della difesa trasmette mensilmente all’Ufficio nazionale per il servizio civile i nominativi degli obiettori di coscienza le cui domande siano state accettate o siano state presentate da oltre sei mesi. Dopo il 31 dicembre 1999 é trasmesso l’elenco di tutti gli obiettori.

2. Fino al 31 dicembre 1999 gli obiettori di coscienza ammessi al servizio civile sono assegnati, entro il termine di un anno dall’accoglimento della domanda, agli enti ed organizzazioni di cui all’articolo 11, comunque nella misura consentita dalle disponibilità finanziarie di cui all’articolo 19, che costituiscono il limite massimo di spesa globale. In mancanza o in ritardo di assegnazione, l’obiettore é collocato in congedo secondo le norme vigenti per il servizio di leva.

3. L’assegnazione dell’obiettore al servizio civile deve avvenire, fatte salve le esigenze del servizio e compatibilmente con le possibilità di impiego, entro l’area vocazionale ed il settore di impiego da lui indicati, nell’ambito della regione di residenza o di quella indicata nella domanda e tenendo conto delle richieste degli enti e delle organizzazioni di cui all’articolo 8, comma 2, fermo restando quanto previsto all’articolo 4, comma 2.

4. Il servizio civile ha una durata pari a quella del servizio militare di leva e comprende un periodo di formazione e un periodo di attività operativa. In attesa dell’istituzione del Servizio civile nazionale, il periodo di formazione dovrà prevedere un periodo di formazione civica e di addestramento generale al servizio civile differenziato secondo il tipo d’impiego, destinato a tutti gli obiettori ammessi a quel servizio. Per l’espletamento del servizio in determinati settori ove si ravvisino specifiche esigenze di formazione, le convenzioni disciplinano i casi nei quali può essere previsto un periodo di addestramento aggiuntivo presso l’ente o l’organizzazione in cui verrà prestata l’attività operativa.

5. Il servizio civile, su richiesta dell’obiettore, può essere svolto in un altro Paese, salvo che per la durata, secondo le norme ivi vigenti, sulla base di apposite intese bilaterali. L’Ufficio nazionale per il servizio civile determina annualmente il contingente di servizio civile da svolgere all’estero.

6. Il servizio civile può essere svolto anche secondo le modalità previste, per i volontari in servizio civile, dagli articoli da 31 a 35 della legge 26 febbraio 1987, n. 49, e successive modificazioni, per la cooperazione allo sviluppo. In tal caso la sua durata é quella prevista da tale legge.

7. L’obiettore che ne faccia richiesta può essere inviato fuori dal territorio nazionale dall’ente presso cui presta servizio, per un periodo concordato con l’ente stesso, per partecipare a missioni umanitarie direttamente gestite dall’ente medesimo. In tal caso, qualora la missione preveda l’impiego di reparti delle Forze armate, l’assistenza sanitaria é assicurata dal Servizio di sanità militare.

8. Non é punibile l’obiettore che, prima della data di entrata in vigore della presente legge, abbia svolto la sua attività all’estero anche al di fuori delle condizioni previste al comma 7.

9. É facoltà dell’Ufficio nazionale per il servizio civile disporre l’impiego di obiettori di coscienza, ove lo richiedano, in missioni umanitarie nelle quali sia impegnato personale italiano. A tale fine gli obiettori di coscienza, selezionati in base alle loro attitudini vocazionali, verranno trasferiti alle dipendenze dell’ente o organizzazione che gestisce la missione.

10. Nel presentare domanda per partecipare alle missioni umanitarie fuori dal territorio nazionale di cui ai commi 7 e 9, l’obiettore deve indicare la specifica missione umanitaria richiesta, nonché l’ente, ovvero la organizzazione non governativa, ovvero l’Agenzia delle Nazioni Unite che ne sono responsabili. L’accoglimento ovvero la reiezione della domanda devono essere comunicati all’obiettore, con relativa motivazione, entro un mese. La mancata risposta entro tale termine comporta accoglimento della domanda.

11. In tutti i casi di cui ai commi 7 e 9, gli obiettori di coscienza devono comunque essere utilizzati per servizi non armati, non di supporto a missioni militari, e posti sotto il comando di autorità civili.

12. L’obiettore che presta servizio civile all’estero per partecipare alle missioni umanitarie di cui ai commi 7 e 9 può chiedere il prolungamento del servizio civile per un periodo massimo di un anno. Ove la richiesta sia accolta, per il periodo di prolungamento del servizio si applicano le norme di cui all’articolo 6.

Art. 10.

1. Presso l’Ufficio nazionale per il servizio civile é istituito e tenuto l’albo degli enti e delle organizzazioni convenzionati di cui all’articolo 8, comma 2. Allo stesso Ufficio é affidata la tenuta della lista degli obiettori.

2. Presso il medesimo Ufficio nazionale per il servizio civile é istituita la Consulta nazionale per il servizio civile quale organismo permanente di consultazione, riferimento e confronto per il medesimo Ufficio.

3. La Consulta é formata da un rappresentante del Dipartimento della protezione civile, da un rappresentante del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da quattro rappresentanti degli enti convenzionati operanti a livello nazionale, da due delegati di organismi rappresentativi di enti convenzionati distribuiti su base territoriale nazionale, da quattro delegati di organismi rappresentativi di obiettori operanti su base territoriale nazionale, nonché da due rappresentanti scelti nelle Amministrazioni dello Stato coinvolte.

4. La Consulta esprime pareri all’Ufficio nazionale per il servizio civile sulle materie di cui all’articolo 8, comma 2, lettere a), c), e), i) e l), nonché sui criteri e sull’organizzazione generale del servizio e sul modello di convenzione tipo.

5. Il Presidente del Consiglio dei ministri, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con proprio decreto, disciplina l’organizzazione e l’attività della Consulta.

Art. 11.

1. Gli enti e le organizzazioni pubblici e privati che intendano concorrere all’attuazione del servizio civile mediante l’attività degli obiettori di coscienza, per essere ammessi alla convenzione con l’Ufficio nazionale per il servizio civile, devono possedere i seguenti requisiti:

a) assenza di scopo di lucro;

b) corrispondenza tra le proprie finalità istituzionali e quelle di cui all’articolo 8, comma 2, lettera b);

c) capacità organizzativa e possibilità di impiego in rapporto al servizio civile;

d) aver svolto attività continuativa da non meno di tre anni.

2. Gli enti e le organizzazioni di cui al comma 1 inoltrano domanda di ammissione alla convenzione all’Ufficio nazionale per il servizio civile. Nella domanda di ammissione alla convenzione essi devono indicare i settori di intervento di propria competenza, le sedi e i centri operativi per l’impiego degli obiettori, il numero totale dei medesimi che può essere impiegato e la loro distribuzione nei vari luoghi di servizio.

3. Gli enti e le organizzazioni di cui al comma 1 debbono inoltre indicare la loro disponibilità a fornire agli obiettori in servizio civile vitto e alloggio nei casi in cui ciò sia dagli stessi enti ed organizzazioni ritenuto necessario per la qualità del servizio civile o qualora i medesimi enti e organizzazioni intendano utilizzare obiettori non residenti nel comune della sede di servizio. All’ente o all’organizzazione tenuti a fornire vitto e alloggio agli obiettori sono rimborsate le spese sostenute, con le modalità previste dall’Ufficio nazionale per il servizio civile, sentita la Consulta nazionale per il servizio civile.

4. In nessun caso l’obiettore può essere utilizzato in sostituzione di personale assunto o da assumere per obblighi di legge o per norme statutarie organiche dell’organismo presso cui presta servizio civile.

5. Ogni convenzione viene stipulata sulla base della presentazione di un preciso progetto di impiego in rapporto alle finalità dell’ente e nel rispetto delle norme che tutelano l’integrità fisica e morale del cittadino.

6. É condizione per la stipulazione della convenzione la dimostrazione, da parte dell’ente, della idoneità organizzativa a provvedere all’addestramento al servizio civile previsto dai precedenti articoli.

7. L’Ufficio nazionale per il servizio civile accerta la sussistenza dei requisiti dichiarati dagli enti e dalle organizzazioni che hanno inoltrato la domanda di ammissione alla convenzione. 8. Sulle controversie aventi per oggetto le convenzioni previste dal presente articolo, decide il tribunale amministrativo regionale territorialmente competente con riferimento alla sede dell’ente o dell’organizzazione, quale indicata nella convenzione.

9. All’atto della stipula della convenzione gli enti si impegnano a non corrispondere agli obiettori alcuna somma a titolo di controvalore e simili, pena la risoluzione automatica della convenzione.

Art. 12.

1. L’Ufficio nazionale per il servizio civile comunica immediatamente al Ministero della difesa l’avvenuto espletamento del servizio da parte dell’obiettore di coscienza.

2. I competenti organi di leva provvedono a porre l’interessato in congedo illimitato, dandogliene tempestivamente comunicazione.

Art. 13.

1. Tutti coloro che abbiano prestato servizio civile ai sensi della presente legge, o della legge 15 dicembre 1972, n. 772, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché tutti coloro i quali si siano avvalsi dell’articolo 33 della legge 15 dicembre 1971, n. 1222, sono soggetti, sino all’età prevista per i cittadini che hanno prestato servizio militare, al richiamo in caso di pubblica calamità.

2. L’Ufficio nazionale per il servizio civile tiene apposito elenco dei cittadini soggetti a richiamo ai sensi del comma 1.

3. Nel periodo di richiamo si applicano integralmente le norme penali e disciplinari previste dalla presente legge per gli ammessi al servizio civile.

4. In caso di guerra o di mobilitazione generale, gli obiettori di coscienza che prestano il servizio civile o che, avendolo svolto, siano richiamati in servizio, e per i quali non siano sopravvenute le condizioni ostative di cui all’articolo 2, sono assegnati alla protezione civile ed alla Croce rossa.

Art. 14.

1. L’obiettore ammesso al servizio civile che rifiuta di prestarlo é punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

2. Alla stessa pena soggiace chi, non avendo chiesto o non avendo ottenuto l’ammissione al servizio civile, rifiuta di prestare il servizio militare, prima o dopo averlo assunto, adducendo motivi di coscienza che ostano alla prestazione del servizio militare.

3. Competente a giudicare per i reati di cui ai commi 1 e 2 é il pretore del luogo nel quale deve essere svolto il servizio civile o il servizio militare.

4. La sentenza penale di condanna per uno dei reati di cui ai commi 1 e 2 esonera dagli obblighi di leva.

5. Coloro che in tempo di pace, adducendo motivi diversi da quelli indicati dall’articolo 1 o senza addurre motivo alcuno, rifiutano totalmente, prima o dopo averlo assunto, la prestazione del servizio militare di leva, sono esonerati dall’obbligo di prestarlo quando abbiano espiato per il suddetto rifiuto la pena della reclusione per un periodo complessivamente non inferiore alla durata del servizio militare di leva.

6. L’imputato o il condannato può fare domanda per essere nuovamente assegnato o ammesso al servizio civile nei casi previsti dai commi 1 e 2, tranne nel caso in cui tale domanda sia già stata presentata e respinta per i motivi di cui all’articolo 2. Nei casi previsti dal comma 2, può essere fatta domanda di prestare servizio nelle Forze armate.

7. Per la decisione sulle domande di cui al comma 6, il termine di cui all’articolo 5, comma 1, é ridotto a tre mesi.

8. L’accoglimento delle domande estingue il reato. Il tempo trascorso in stato di detenzione é computato in diminuzione della durata prescritta per il servizio militare o per il servizio civile.

Art. 15.

1. L’obiettore ammesso al servizio civile decade dal diritto di prestarlo o di portarlo a compimento esclusivamente quando sopravvengano o siano accertate le condizioni ostative indicate all’articolo 2.

2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, l’obiettore é tenuto a prestare servizio militare, per la durata prevista per quest’ultimo, se la decadenza interviene prima dell’inizio del servizio civile, e per un periodo corrispondente al servizio civile non prestato, in ogni caso non superiore alla durata della leva, se la decadenza interviene durante lo svolgimento di questo.

3. La decadenza é disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su accertamento e richiesta dell’Ufficio nazionale per il servizio civile.

4. In caso di richiamo per mobilitazione dei cittadini che abbiano prestato il servizio militare di leva, a tale richiamo sono soggetti anche i cittadini che abbiano prestato servizio civile quando per essi siano sopravvenute le condizioni ostative previste dall’articolo 2.

5. Allo stesso richiamo sono soggetti i cittadini che, dopo aver prestato servizio civile, abbiano fabbricato in proprio o commerciato, anche a mezzo di rappresentante, le armi e le munizioni richiamate all’articolo 2, comma 1, lettera a), e quelli che abbiano ricoperto incarichi direttivi presso enti o organizzazioni che siano direttamente finalizzati alla progettazione e alla costruzione di armi e sistemi di armi.

6. A coloro che sono stati ammessi a prestare servizio civile é vietato detenere ed usare le armi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), nonché assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione, anche a mezzo di rappresentanti, delle predette armi, delle munizioni e dei materiali esplodenti. I trasgressori sono puniti, qualora il fatto non costituisca più grave reato, con le pene previste dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, per detenzione abusiva di armi e munizioni e, inoltre, decadono dai benefici previsti dalla presente legge. É fatto divieto alle autorità di pubblica sicurezza di rilasciare o di rinnovare ai medesimi qualsiasi autorizzazione relativa all’esercizio delle attività di cui al presente comma.

7. A coloro che sono stati ammessi a prestare servizio civile é vietato partecipare ai concorsi per l’arruolamento nelle Forze armate, nell’Arma dei carabinieri, nel Corpo della guardia di finanza, nella Polizia di Stato, nel Corpo di polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato o per qualsiasi altro impiego che comporti l’uso delle armi.

Art. 16.

1. Il cittadino che presta servizio civile non può assumere impieghi pubblici e privati, iniziare attività professionali, né iscriversi a corsi o a tirocini propedeutici ad attività professionali che impediscano il normale espletamento del servizio.

2. Chi viola il divieto di cui al comma 1 é trasferito in altra sede presso altra regione geograficamente non contigua, anche nell’espletamento di altri compiti. In caso di recidiva, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 14, comma 1.

3. A chi si trova già nell’esercizio delle attività e delle funzioni di cui al comma 1, si applicano le disposizioni valevoli per i cittadini chiamati al servizio militare.

Art. 17.

1. All’obiettore che si renda responsabile di comportamenti reprensibili o incompatibili con la natura e la funzionalità del servizio possono essere comminate le seguenti sanzioni:

a) la diffida per iscritto;

b) la multa in detrazione della paga;

c) la sospensione di permessi e licenze;

d) il trasferimento ad incarico affine, anche presso altro ente, in altra regione, oppure a diverso incarico nell’ambito della stessa o di altra regione;

e) la sospensione dal servizio fino ad un massimo di tre mesi, senza paga e con conseguente recupero dei periodi di servizio non prestato.

2. Il regolamento generale di disciplina previsto dall’articolo 8, comma 2, lettera i), stabilisce i criteri di applicazione delle sanzioni in relazione alle infrazioni commesse.

3. Le sanzioni di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono irrogate dal legale rappresentante dell’ente o dell’organizzazione interessati e vengono comunicate all’Ufficio nazionale per il servizio civile.

4. L’Ufficio nazionale per il servizio civile adotta le altre sanzioni e, sulla base dei provvedimenti notificatigli dagli enti o dalle organizzazioni, può decidere l’irrogazione di sanzioni più gravi in luogo di quelle già adottate.

5. Quando il comportamento dell’obiettore sia tale da equivalere ad un vero e proprio rifiuto di prestare il servizio, si applicano le norme di cui all’articolo 14.

Art. 18.

1. Gli enti e le organizzazioni convenzionati che contravvengono a norme di legge o alle disposizioni della convenzione, ferme restando le eventuali responsabilità penali individuali, sono soggetti a risoluzione della convenzione o a sospensione dell’assegnazione degli obiettori con provvedimento motivato dell’Ufficio nazionale per il servizio civile.

2. In caso di risoluzione della convenzione con un ente o con una organizzazione, l’Ufficio nazionale per il servizio civile provvede alla riassegnazione degli obiettori che prestavano servizio presso lo stesso ente o la stessa organizzazione, sino al completamento del periodo prescritto, tenendo conto delle indicazioni espresse nella domanda.

3. Contro la risoluzione della convenzione, l’ente o l’organizzazione possono proporre ricorso al tribunale amministrativo regionale territorialmente competente con riferimento alla sede dell’ente o dell’organizzazione, quale indicata nella convenzione.

Art. 19.

1. Per l’assolvimento dei compiti previsti dalla presente legge é istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo nazionale per il servizio civile degli obiettori di coscienza.

2. Tutte le spese recate dalla presente legge sono finanziate nell’ambito e nei limiti delle disponibilità del Fondo.

3. La dotazione del Fondo é determinata in lire 120 miliardi a decorrere dal 1998.

4. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, pari a lire 120 miliardi a decorrere dal 1998, si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa recata dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772, e successive modificazioni e integrazioni, iscritta, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, all’unità previsionale di base 8.1.2.1 “obiezione di coscienza” (capitolo 1403) dello stato di previsione del Ministero della difesa per l’anno 1998, e corrispondenti proiezioni per gli anni successivi.

Art. 20.

1. Il Presidente del Consiglio dei ministri presenta ogni anno al Parlamento, entro il 30 giugno, una relazione sull’organizzazione, sulla gestione e sullo svolgimento del servizio civile.

Art. 21.

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Presidente del Consiglio dei ministri emana le norme di attuazione e predispone il testo dell e convenzion i tipo, dopo aver acquisito i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro della difesa deve attivare le procedure di cui al comma 1 dell’articolo 9. A partire da tale scadenza l’ Ufficio nazionale per il servizio civile assume la responsabilità di quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, lettere b), c) e d), nonché della gestione amministrativa degli obiettori in servizio.

Art. 22.

1. In attesa del riesame delle convenzioni già stipulate e della definizione delle nuove convenzioni per l’impiego degli obiettori con i soggetti idonei ai sensi della presente legge, restano valide le convenzioni stipulate dal Ministero della difesa con gli enti idonei ai sensi della normativa precedente.

Art. 23.

1. La legge 15 dicembre 1972, n. 772, e successive modifiche ed integrazioni, é abrogata.

DIBATTITO SULLA 230/98
La Legge c’è, usiamola bene!

di Paolo Macina

La riforma della legge sull’obiezione di coscienza, recentemente approvata in Parlamento, si presta a diverse valutazioni, data la sua complessità ed il suo travaglio legislativo. Le valutazioni di principio, per esempio sulla soggettività del diritto all’obiezione e la predisposizione di forme di ricerca e sperimentazione di difesa nonviolenta, che pongono la legge all’avanguardia in Europa, sono già state evidenziate dalla segretaria del MN Angela Marasso nel numero di luglio. Altre valutazioni tecniche verranno probabilmente via via proposte dalla LOC nella rubrica a loro disposizione.

Vorrei invece qui soffermarmi su altri aspetti non ancora dibattuti, forse secondari ma non meno importanti. Aspetti che forse ognuno di noi dava già per scontati, inseriti nella pratica abituale di gestione del servizio civile (cosa vorrà dire questo? Che eravamo già sicuri dei risultati che avremmo ottenuto? Ma non è la prima volta che questo accade?), ma che fino a quando non sono stati messi nero su bianco, non potevano essere considerati legge di Stato ed erano perciò revocabili da un giorno all’altro.

Inizierei quindi con l’analisi dell’art. 5, quello famoso soprattutto per la destituzione del “tribunale delle coscienze”. Il secondo comma elimina un’altra causa di disagio per gli obiettori, e cioè lo sproporzionato periodo di attesa tra la domanda e la partenza effettiva del servizio. D’ora in poi il Ministero della Difesa, in regime di silenzio-assenso, avrà solo sei mesi per rigettare eventualmente la richiesta di obiezione, dopodiché questa si intenderà accettata. Questo comma, unito al secondo dell’art. 9, permette di stabilire entro 18 mesi il tempo intercorrente tra presentazione della domanda e partenza.

Un secondo elemento di disagio, che la legge di riforma ha rimosso, è quello riguardante la destinazione, ed il conseguente fenomeno delle precettazioni. L’assegnazione dell’obiettore deve avvenire ferma restando l’area vocazionale ed il settore d’impiego indicate all’atto della domanda, nell’ambito della regione di residenza e tenendo conto delle richieste degli Enti (art. 9 comma 3). Eventuali forzature da parte del Ministero (ma la Presidenza del Consiglio dovrebbe evitarle più di quanto non facesse il Ministero della Difesa) non dovrebbero più essere ammesse da parte dei Tribunali Amministrativi Regionali. E’ indubbio che queste precisazioni contribuiranno a migliorare la qualità del servizio svolto.

Cosa cambia invece per l’Ente di accoglienza? Innanzitutto viene rimosso il fenomeno di “casermizzazione” del servizio civile: sarà infatti facoltà degli Enti fornire vitto e alloggio nei casi in cui ciò sia dagli stessi ritenuto necessario per la qualità del servizio (art. 11 comma 3). E’ previsto naturalmente il (micragnoso) rimborso delle spese sostenute. E’ stata inoltre data facoltà agli Enti di accoglienza e all’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, di sanzionare il cattivo comportamento dell’obiettore, secondo una gradualità di interventi che va dalla diffida per iscritto, alla multa, al trasferimento, fino alla sospensione temporanea del servizio. Ricordiamo che fino a ieri non era prevista alcuna gradualità, ed i conflitti che nascevano tra Ente ed obiettore potevano essere risolti solamente con la perdita dello status

di obiettore da parte di quest’ultimo, e questo dava luogo a volte a vessazioni o prevaricazioni da una parte e dall’altra.

Il capitolo relativo alla formazione degli ODC (art. 8 comma C) apre inoltre scenari inaspettati per quegli organismi che già da tempo si occupano di questo aspetto. Rendendo obbligatorio l’addestramento e la formazione di circa 60 mila obiettori all’anno (dati 1997) all’interno del periodo di servizio, è prevedibile la necessità di disporre, sul territorio nazionale, di almeno 1-2 mila formatori che potranno finalmente provvedere alla regolarizzazione della loro posizione professionale.

Infine, merita a mio parere menzione il capitolo relativo alla partecipazione degli obiettori in missioni umanitarie all’estero.

L’articolo 9, che si conclude se non sbaglio con la sanatoria definitiva delle posizioni dei Caschi Bianchi di Rimini e dei Beati I Costruttori di Pace (responsabili di aver adottato questa pratica prima dell’approvazione della legge), prevede la possibilità, sia da parte degli Enti, sia da parte dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, di distaccare nuclei di obiettori in zone di conflitto e sperimentare così in concreto la Difesa Popolare Nonviolenta. Il comando delle operazioni sarà infatti affidato agli Enti che gestiscono le missioni (e quindi a personale civile), mentre alle Forze Armate verrà demandata solamente l’assistenza sanitaria (art. 9, comma 7).

E’ chiaro a tutti che questa riforma dovrà essere metabolizzata e digerita in un periodo ancora abbastanza lungo. Ma già dalle prime considerazioni avanzate è a mio parere importante sviluppare ed utilizzare quanto di buono è in essa contenuto, a cominciare dallo stanziamento di 120 miliardi annui che la legge destina a copertura di tutte le attività derivanti dalla sua applicazione.

PRAGA 1968 – 1998
Il dramma morale del socialismo

di Sandro Canestrini

Praga 1968: tutti sanno quello che è successo, molti sanno che un numero importante di intellettuali comunisti da quell’accaduto non ritennero più di condividere la politica del partito, ossequiente all’invasione e se ne andarono.

Scrivere ora di quelle vicende dopo che la stampa giustamente se n’era occupata anche in questi giorni, a distanza di trent’anni, è superfluo. Mi sembra di dover concludere su questo che non ci sono più dubbi che la sconfitta di Dubcek rappresentò una sconfitta per tutti coloro che avevano sognato “un comunismo dal volto umano” ed un riscatto di fronte a troppi, oscuri e spaventosi episodi del passato. La burocrazia comunista aveva semplicemente confermato se stessa schiacciando la volontà di un popolo in nome di principi che ormai nessuno più seguiva, né condivideva.

Ma se vogliamo uscire dalla cronaca, per quanto spaventosa e sanguinosa, dall’episodio per inquadrarlo nel corso della storia, sovvengono alcune argomentazioni. Infatti purtroppo grandi movimenti storici si sono affermati o confermati anche attraverso terribili esperienze. Mi viene in mente Napoleone: sulle sue bandiere vi era scritto “fraternità, libertà ed uguaglianza” eppure portava il massacro e la morte in tutta Europa. Sono milioni le sue vittime, vittime del suo imperialismo. Mi sovviene altresì la storia della chiesa cattolica: era partita dalla parola nuova di umana solidarietà, della fratellanza degli uomini, della povertà e, mano mano che i secoli sono passati, è diventata una potenza autocratica che si è fatta rispettare in tutto il mondo con la violenza e con le armi: basti pensare che solo il terribile dramma dell’Inquisizione Spagnola (e cioè i Tribunali speciali che in tutta l’Europa condannavano a morte le persone accusate eretiche o streghe) raggiunsero la cifra di due milioni di cadaveri fra atroci tormenti. Mi viene in mente che i papi avevano degli schiavetti negri, rapiti alle loro famiglie per servirli, mi viene in mente il silenzio della Chiesa sulla deportazione degli schiavi o sul Nazismo. Se però al di là della polemica, vogliamo andare alla storia, e vedere le cose in una giusta luce, diciamo allora che, con tutti i suoi crimini Napoleone ha però segnato una svolta nella storia della civiltà poiché le parole d’ordine da lui diffuse, certamente ispirate dall’ipocrisia, penetrarono nell’opinione pubblica, sconvolsero i codici, posero fine al feudalesimo. Per quanto riguarda la Chiesa non vi è dubbio che, dopo i massacri e le stragi del passato, oggi la stessa adempie una funzione diversa e giunse fino, in momenti di grave conflitto anche internazionale, a pronunciare parole coraggiose di pace. Basti pensare alla “inutile strage” con cui il papa nel 1915 bollò la Prima Guerra Mondiale , dando così un chiaro significato, ai cattolici ed ai laici di qual era l’obiettivo da raggiungere e cioè porre fine ai massacri e ricostruire in serenità. Innumerevoli altri esempi possono essere portati in vicende che suscitano irritazione, sdegno e ripulso ma che, per un loro sviluppo interno, per fatti di evoluzione, per essere stati “reinventati” dalla storia successiva, ancora oggi rappresentano qualcosa di positivo. Ecco, appunto, il “socialismo”: se pensiamo a quello di Praga del 1968 ci vengono i brividi e anche se pensiamo all’Unione Sovietica del 1938. Però l’ideale socialista, cioè l’ideale di una società di liberi e di uguali non può essere cancellato dalla mente e dal cuore degli uomini perché qualsiasi di noi aspira a “qualcosa di diverso” da oggi nella società e nella vita. Nonostante tutto, l’idea “socialista” rimane e io sono convinto che anch’essa frutterà positivamente. Il lettore attento potrebbe a questo punto chiedermi: ma quando? Non lo so.

UN TESTO ANCOR OGGI DI GRANDE ATTUALITA’
Per una corrente rivoluzionaria nonviolenta

Proposta pubblicata nel 1963 da Aldo Capitini e Lanfranco Mencaroni

1) La situazione politica italiana presenta un vuoto rivoluzionario: i partiti stanno o su posizioni conservatrici o su posizioni riformistiche, prive di tensione e di forza educatrice e propulsiva nelle moltitudini. Così si va perdendo anche l’esatta prospettiva che pone come finalità decisiva della lotta politica il superamento del capitalismo, dell’imperialismo dell’autoritarismo.

Vi sono tuttavia delle minoranze che vedono chiaro, ma tali minoranze devono giungere ad un’azione organica nella situazione italiana, per cui, da una società dominata da pochi, si passi ad una società di tutti nel campo del potere, della economia, della libertà, della cultura.

2) La crisi dei movimenti operai e socialisti nell’attività politica e sindacale è dovuta principalmente al fatto che non si è saputo concordare dinamicamente la triplice finalità suddetta con la pratica quotidiana nella attuale democrazia.

3) Sarebbe un errore credere che la politica del neocapitalismo con le attrattive del benessere e la suggestione degli interventi paternalistici e provvidenziali riesca a cancellare dalle moltitudini la tendenza a possedere effettivamente il potere con tutte le sue responsabilità, a controllare tutte le decisioni pubbliche, a impedire realmente la guerra, a sviluppare la libertà e la cultura di tutti nel modo più fiorente.

La tenacia delle lotte sindacali, l’aumento dei voti dell’opposizione nelle ultime elezioni, lo sviluppo della lotta per la pace, la crescente energia delle pressioni studentesche per una riforma della scuola, provano che le moltitudini italiane non accettano gli equivoci offerti dalla classe dirigente.

4) Nello sviluppo del socialismo nel mondo è facile osservare che sono stati superati gli schemi dottrinari che attribuivano a una determinata ideologia, o ad un unico partito di ispirazione leninista la possibilità di intervento rivoluzionario, quando invece si vede che di tale possibilità ci si è valsi in altri luoghi con schemi, forme, forze e metodi del tutto diversi seppure orientati allo stesso fine.

È opinione sempre più accettata che esiste una connessione stretta tra il metodo rivoluzionario adottato e il tipo di potere che segue alla conclusione vittoriosa della rivoluzione. Anche in questo campo 1’insuffcienza del metodo leninista, e di altri metodi similmente imposti da minoranze alla maggioranza, è rivelata dalla crisi che ha contrapposto e contrappone in maniera più o meno drammatica la società civile al potere rivoluzionario e che è diventata l’elemento costante della vita politica degli stati così detti socialisti e degli altri stati sorti nel dopoguerra da moti sottoposti all’egemonia di minoranze.

La medesima crisi tra deficienza di potere civile delle masse e reale potere politico di gruppi ristretti è chiaramente visibile anche nella crescente e insolubile necessità in cui le democrazie parlamentari si trovano nel subire la pressione egemonica di gruppi di potere economici, politici, religiosi, agenti fuori dagli istituti civili e capaci di svuotarli sempre più della rappresentatività popolare, piegandoli ai loro interessi di minoranza.

Inoltre, nel nostro paese, come del resto in tutto l’occidente, la situazione è tale che tutti i vecchi metodi dell’opposizione popolare si rivelano inutilizzabili o insufficienti a mantenere una tensione rivoluzionaria che si costruisca progressivamente, nel suo sviluppo, gli adeguati strumenti pratici della sua applicazione.

5) Per queste ragioni siamo convinti che il metodo che deve essere assunto per la lotta rivoluzionaria è il metodo dell’attiva nonviolenza, nella articolazione delle sue tecniche, già attuate in altri paesi in lotte di moltitudini.

Riteniamo che questo metodo sia da accettare e da svolgere non soltanto per la sconvenienza e l’improduttività dei metodi violenti e la loro inaccessibilità da parte delle nostre moltitudini, ma soprattutto per il suo contenuto profondamente umano, all’altezza del migliore sviluppo della società civile moderna.

6) Questo metodo, che per essere visibilmente e politicamente efficace deve essere impugnato da un largo numero di persone, mostra con ciò stesso che è in grado di dare le più ampie garanzie di democraticità, di espressione delle forze dal basso, di insostituibile e mai sospendibile libertà delle più varie opinioni, di decentramento del potere nelle sue varie forme economiche, politiche, sociali, civili.

7) Con questo metodo è possibile dare inizio alla formazione di organismi e istituzioni dal basso che concretino tali garanzie, prefigurando e preparando la complessa società socialista o società di tutti.

I rivoluzionari violenti con i loro metodi non sono capaci di realizzare tali organismi e istituzioni, e ne rimandano l’attuazione a dopo la conquista del potere, con atto autoritario che ne infirma la democraticità, o vi rinunciano, vista l’impossibilità di usare la violenza, cadendo i dirigenti nell’inerzia e le moltitudini nello scetticismo.

8) Nell’attuale momento, crediamo che come prima fase un intervento nella situazione italiana che segua questo orientamento possa prendere la forma di “corrente” con “gruppi” operanti dentro e fuori le attuali associazioni politiche, sindacali, culturali, etico-religiose.

Questi gruppi potranno operare coordinatamente secondo piani che saranno stabiliti dai gruppi stessi nei loro incontri.

9) Possiamo definire così gli obiettivi finali di tutto il lavoro: la costituzione di una società socialista la cui organizzazione economica, politica, civile e culturale sia continuamente sotto il potere e il controllo di tutti, nella libertà di informazione, di associazione e di espressione, manifestazione e promovimento costante di apertura ad una società universale socialista nonviolenta.

10) Obiettivi immediati di transizione a questa finalità sono:

la diffusione delle tecniche della nonviolenza da applicare a tutte le lotte politiche e sindacali;
l’opposizione alla preparazione e alla esecuzione della guerra;
la convergenza sul piano rivoluzionario nonviolento dei lavoratori, degli studenti e delle loro associazioni di qualsiasi ideologia;
la rapida costituzione di centri di orientamento sociale aperti, in periodiche riunioni, a tutti e alla discussione di tutti i problemi della vita pubblica;
la formazione di consulte rionali o di villaggio elette da tutti i cittadini per il controllo e la collaborazione nei riguardi delle amministrazioni locali;
favorire in tutte le aziende l’organizzazione di consigli operai e contadini, eletti da tutti indipendentemente dalle organizzazioni politiche e sindacali, con il compito di seguire i problemi delle singole aziende e di portare i lavoratori al possesso delle tecniche del controllo sulla produzione e sulla pianificazione democratica, da utilizzare nella lotta per la società socialista; sulla base di questi consigli dovrà essere ricostituita l’unita sindacale, aperta a tutte le correnti;
impostazione di una riforma della scuola per cui tutti gli istituti scolastici a tutti i livelli siano organizzati con spirito comunitario e controllati da consigli degli studenti e dei professori;
sollecitare gli enti pubblici a fondare giornali quotidiani e settimanali con assoluta obiettività di informazione;
promuovere la costituzione di centri cooperativi culturali dal basso per l’educazione degli adulti nel campo della divulgazione dei valori artistici, scientifici, storici, ecc. Sottraendoli alle manipolazioni autoritarie o di parte.

11) Noi pensiamo che una corrente rivoluzionaria nonviolenta debba richiedere ai suoi aderenti un comportamento manifestamente concorde alla finalità socialista, realizzando tra l’altro il principio che ogni eletto a qualsiasi carica, sia della corrente sia di ogni altro organismo, possa essere dispensato dal suo incarico nei periodici incontri con i suoi elettori; dedicando ad iniziative pubbliche orientate in senso socialista la massima parte del proprio bilancio privato, non partecipando al possesso di beni che comportino lo sfruttamento dei lavoratori.

12) A coloro che non scorgessero differenza tra la nostra impostazione e quella democratica parlamentare teniamo a far presente quanto limitata sia la democraticità parlamentare, lontana dalla volontà attiva e quotidiana di tutti i cittadini, e quanto invece è complessa e diretta la presenza di tutti negli organismi da noi propugnati, atti a superare continuamente i privilegi e il potere dei pochi.

13) A coloro che obiettassero che la pianificazione economica sociale di uno stato moderno non può essere che centralistica e autoritaria, rispondiamo che la pianificazione può e deve essere accompagnata dall’esistenza di organi popolari che ne rendano possibile la preparazione, il controllo della esecuzione e la revisione.

Questi organi sono l’unica garanzia che l’autoritarismo della pianificazione non si trasferisca nell’autoritarismo di tutto l’apparato statale, come ha dimostrato l’esperienza sovietica. Questi organi, infatti, continuando l’azione già svolta nella situazione di economica privatistica dai consigli dei lavoratori, dovranno svilupparsi fino a diventare i protagonisti del mondo produttivo socialista nei due settori pubblico e cooperativo di autogestione.

14) La garanzia che la società socialista nonviolenta dà alla libera funzione delle correnti ideologiche e dei partiti deve avere come unica contropartita la libera espressione, all’interno delle correnti e dei partiti stessi, dei pareri dei singoli e dei gruppi.

15) Nella politica internazionale attuale la nostra posizione è, oltre che di lotta per la pace – primo ed urgente obiettivo, – di pieno appoggio a tutti coloro che lottano contro il capitalismo, l’imperialismo, l’autoritarismo; di aiuto incondizionato ed immediato a tutti i popoli sottosviluppati da concretarsi in grandi piani di collaborazione; e nella diffusione dei nostri metodi nonviolenti per il raggiungimento dei fini comuni.

ALDO CAPITINI, 1899-1968
Un nonviolento aperto, libero, religioso

di Mao Valpiana

L’ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto tra quell’aria austera dietro gli occhiali spessi, ed il suo indomabile spirito giovanile, aperto ed innovativo, in perenne ricerca.

Aldo Capitini muore il 19 ottobre del 1968. Trent’anni fa.

Noi quarantenni di oggi non l’abbiamo conosciuto, eravamo ancora troppo piccoli. Di Capitini abbiamo sentito parlare solo qualche anno più tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della Legge 772, delle prime esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati i pionieri, ma che qualche decennio prima di noi un professore antifascista già difendeva l’obiezione di coscienza e organizzava le Marce per la Pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo sociale e politico, e leggere Teoria della Nonviolenza o Le Tecniche della nonviolenza ci faceva intuire quanto è vasto l’orizzonte della nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po’ più in là. I nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati al fucile spezzato che spuntava dalle pagine di Azione nonviolenta. Ci sentivamo vicini alla voglia “rivoluzionaria” di cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra, ma ci allontanava quel loro compiacimento della violenza, a volte “dolorosa ma necessaria”, altre volte “levatrice della storia”. Il percorso culturale e politico di Capitini, che abbiamo approfondito leggendo i suoi libri, ci sarà di grande aiuto.

Scopriamo che già negli anni ’40, dopo l’esperienza comune del carcere come perseguitati politici, si incrina il rapporto tra Capitini e la sinistra. Lui che vuole realizzare il “movimento”, gli altri che fondano il “partito”. Lui, che fa esplicita scelta nonviolenta, gli altri che organizzano la rivolta armata. Verso la sinistra, il liberalsocialismo, manterrà sempre un atteggiamento di dialogo, di “aggiunta”. Nel dopoguerra non aderisce ad alcun partito, e così Capitini, che fu tra i primissimi ed i pochissimi a rifiutare da subito il fascismo e che tanto fece e patì durante il regime di Mussolini, venne lascito fuori dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalla Costituente. Da solo inizia un lungo lavoro per l’affermazione del metodo della nonviolenza. Fino alla morte è attivissimo: fonda i Centri di Orientamento Sociale, il Movimento di Religione, il Centro di coordinamento internazionale per la Nonviolenza, la Società Vegetariana Italiana, l’Associazione per la difesa e lo sviluppo della Scuola pubblica, la Consulta Italiana per la Pace, il Movimento Nonviolento. Organizza convegni e seminari sui temi della pace, delle tematiche religiose, della scuola, della pedagogia. Scrive e pubblica moltissimo: La realtà di tutti, Nuova socialità e riforma religiosa, L’atto di educare, Il fanciullo nella liberazione dell’uomo, Religione aperta, Colloquio corale, Rivoluzione aperta, L’obiezione di coscienza in Italia, Battezzati non credenti, L’educazione civica nella scuola e nella vita sociale, La compresenza dei morti e dei viventi, Educazione aperta, Le tecniche della nonviolenza. Fonda e dirige anche due riviste: Il potere di tutti e Azione nonviolenta.

Dobbiamo constatare che dopo tanti anni i lavori pratici ed intellettuali di Capitini restano sconosciuti ai più, ma le sue intuizioni sulla nonviolenza si sono in molta parte realizzate, mentre altre teorie e pratiche politiche sono rimaste sepolte sotto il Muro di Berlino. Il seme ha germinato.

I casi della vita mi hanno portato oggi a condurre avanti questa rivista, voluta da Capitini per “aiutare noi e gli altri a chiarirci le idee in un metodo che è destinato a rinnovare profondamente la società umana (…). Il metodo nonviolento, straordinariamente dinamico, finisce per avere ragione e per trasformare le attuali società, che sono società di pochi, in una società veramente di tutti. Perché questa persuasione interiore diventi consapevole e largamente diffusa, è necessario lavorare”.

Proseguire l’opera di Capitini è un compito davanti al quale ci si sente spesso inadeguati. Per aiutarsi bisogna ricorre ancora una volta al metodo nonviolento che esige prima di tutto “qualità di coraggio, tenacia, sacrificio e di non perdere mai l’amore”.
Spigolature di vita da obiettori
Obiettore o Consigliere?

Le cronache dal mondo del servizio civile sono piene di assurdità e, quella che andiamo a presentare, rientra a pieno titolo tra esse.

I regolamenti ministeriali affermano che, tra i casi meritevoli di considerazione per la richiesta di “avvicinamento”, vi siano quelli di “obiettori che svolgano funzioni pubbliche in quanto eletti nei consigli comunali”.

Ebbene, per Mario Carleschi, l’essere consigliere comunale e capogruppo di una forza d’opposizione, ha comportato una conseguenza opposta a quanto stabilito dai regolamenti ministeriali: l’allontanamento.

Brevemente la storia: Mario presenta dichiarazione di obiezione in data 16.12.96 ed inizia il servizio civile il 15.04.98, presso il Comune di Calcinato (BS), paese nel quale è consigliere comunale; fin qui tutto bene, ma il Sindaco di Calcinato, ritenendo “non opportuno che un componente del Massimo Organo Comunale presti servizio civile presso lo stesso ente”, ne ha chiesto ed ottenuto il trasferimento al Comune di Capriolo, sempre nel bresciano ma più distante dalla città di Brescia, città dove Mario è, tra l’altro, studente universitario, con non più di due esami al termine del corso di studi (altro caso meritevole di considerazione per l’avvicinamento).

Se può essere comprensibile che il Sindaco abbia inteso “togliersi dai piedi” un oppositore, risulta assai meno giustificabile il comportamento del Ministero che, nei fatti, ha allontanato l’obiettore, sia dalla sede in cui riveste carica pubblica, sia dalla sede di studi.

La LOC di Verona, contattata dal Centro per la Nonviolenza di Brescia, ha tempestivamente informato il Senatore G. Russo Spena e l’Onorevole T. Valpiana, i quali hanno presentato due interrogazioni parlamentari, per chiedere che siano rese pubbliche le motivazioni che hanno determinato le decisioni del Ministero e che venga accolta la domanda di avvicinamento, con la quale Mario ha giustamente chiesto di ritornare al Comune di Calcinato.

Non ci rimane che chiedere, al Ministro Andreatta ed al Governo dell’Ulivo, una maggiore attenzione al mondo dell’obiezione di coscienza e del servizio civile, visto che, purtroppo, la gestione di questa importante risorsa sta profondamente deludendo quanti attendevano segnali, anche minimi, di novità e trasparenza.

Obiettori da ticket

Cominciamo da un caso che, per quanto sia “anonimo”, ci sembra particolarmente significativo.

Alcuni utenti di un servizio di assistenza domiciliare, erogato da un comune della provincia di Venezia, si sono visti richiedere, per la prosecuzione del servizio stesso, il pagamento di un ticket.

La cosa, apparentemente, sembrerebbe normale, se non fosse perché il servizio non viene svolto da operatori, bensì da obiettori in servizio presso il comune.

La cosa, ovviamente, è gravissima, sia nei confronti degli obiettori, sia nei confronti dell’utenza.

Infatti, se da un lato si utilizzano gli obiettori quale sostituzione di personale, contravvenendo a quanto disposto dalla legge e dalla convenzione, dall’altro si eroga, a pagamento, un servizio svolto da personale non qualificato sul piano professionale.

Se l’impiego di obiettori in sostituzione di personale non è certo una novità, il loro impiego in servizi erogati a pagamento rappresenta un pericoloso precedente e, in qualche modo, conferma quanto andiamo dicendo da tempo e cioè che si va sempre più diffondendo un modo di intendere e concepire il servizio civile quale sostituto di un welfare state sempre più “leggero”.

E’ evidente che i danni principali, derivanti da questa impostazione, si riverseranno non tanto e non solo sui cittadini chiamati a svolgere il servizio di leva, quanto sull’utenza di servizi sociali che, nella maggior parte dei casi, riguarda i ceti sociali più deboli.

Questi segnali devono farci riflettere anche su quanto potrà accadere in futuro, quando diverranno operative le “nuove mansioni” degli obiettori, previsti dalla nuova legge; p.e. assistenza, prevenzione, cura e riabilitazione.

Obiettori senza assicurazione

Altro comune, altro problema, questa volta nella bassa veronese.

Anche qui un caso di assistenza domiciliare rivolta ad anziani e/o disabili; il compito degli obiettori consisteva nel recarsi a casa dell’assistito e nell’aiutare i familiari a spostare il malato.

In questo caso è stato l’Assistente sociale, responsabile del servizio, ad interpellarci per sapere chi rispondeva di eventuali danni causati all’assistito dall’obiettore; questa preoccupazione nasceva dal fatto che l’assicuratore aveva dichiarato di negare la copertura per eventuali danni provocati dall’obiettore nell’esercizio di queste mansioni, in quanto operava non in supporto a personale dell’ente, bensì in sostituzione di esso.

E’ stato così che l’Assistente sociale, avendo constatato che la responsabilità civile, di fatto, ricadeva sulla sua persona, ha deciso di sospendere questo servizio.

Si potrebbe obiettare che, in questo modo si finisce per danneggiare l’utenza di servizi sociali ma, a nostro giudizio, è ora che gli obiettori finiscano di “tamponare” le carenze della pubblica amministrazione e sia meglio che la cittadinanza prenda coscienza dei propri diritti, rivendicando la dignità di ottenere un servizio sociale che sia degno di questo nome, invece di accontentarsi di un surrogato, quale quello che può essere erogato da un cittadino di leva in servizio civile.

Non ci resta, quindi, che invitare tutti i lettori a segnalarci i casi di malagestione degli obiettori, al fine di poter aumentare la casistica e poter avanzare, al costituendo Ufficio per il servizio civile, dossier riportanti dati circostanziati.

Ancora una volta è la denuncia pubblica e politica lo strumento più efficace ed importante di cui disponiamo.

Di Fabio