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A scuola di nonviolenza per un impegno di formazione – contributo di Elena Buccoliero

Diadmin

Mar 20, 2017
Buccoliero - Ferrara

 

A scuola di nonviolenza

per un impegno di formazione

di Elena Buccoliero *

Sembra una piccola cosa e invece è già un servizio. Diffondere Azione nonviolenta, organizzarne presentazioni tematiche cogliendo i suggerimenti che derivano dai singoli numeri della rivista, creare intorno ad essa collegamenti con diverse realtà cittadine, significa offrire un’opportunità per rileggere la realtà secondo un orientamento di fondo verso la nonviolenza. Sembra poca cosa, soprattutto quando in anni recenti ci si è dati da fare in molti modi, eppure, se non lo si fa, questo soffermarsi non avviene.

Gli anni della Scuoletta

A Ferrara una Scuola della Nonviolenza ha operato con costanza per quasi dieci anni, con implacabili incontri settimanali per tutto l’anno scolastico, da settembre a giugno. Erano ritrovi di diversa natura (conferenze, laboratori, proiezioni, presentazioni librarie, letture collettive, testimonianze, mostre d’arte, letture teatrali etc.) che hanno fruttato un avvicinamento di ferraresi al MN, apprezzato anche in alcuni congressi, e raccolto un ampio gruppo di interessati e un ristretto gruppo di appassionati.

Negli ultimi anni ci siamo concentrati su un tema specifico – la violenza di genere nelle relazioni di intimità, non dimenticando il suo impatto sui bambini che assistono – anche perché abbiamo avuto l’occasione di partecipare a due progetti di rete impegnativi, articolati, nei quali abbiamo avuto come partner il locale Centro Antiviolenza (che a Ferrara si chiama Centro Donna Giustizia), il Centro di ascolto per uomini maltrattanti, il Comune di Ferrara (coordinatore).

Oggi la Scuoletta, come amavamo chiamarla, non esiste più, o almeno non con la continuità che in passato ha conosciuto, per ragioni indipendenti dalla nostra volontà. Impegni lavorativi o familiari hanno fiaccato le forze dei più addentro prima che si preparasse un ricambio, e a questo si è aggiunta la mancanza di quel sia pur piccolo finanziamento che sin dal principio abbiamo avuto, anche se non sempre dagli stessi soggetti (Commercio Equo e Solidale, poi Ente Locale, Centro Servizi per il Volontariato, Dipartimento Pari Opportunità…) e ci ha permesso di concretare idee e progetti. Il ricordo della nostra piccola Scuola però non è disperso e non è raro che associazioni o singoli amici la rimpiangano, o la richiamino tra le occasioni di formazione cui hanno dato valore, o ci propongano di ripartire in modo più o meno strutturato.

Non so se considero la Scuola della Nonviolenza un’esperienza conclusa o solamente sospesa. Le energie per riprendere come qualche anno fa in questo momento forse non ci sono, ma il desiderio c’è ancora e non chiudo le porte al possibile. Ripenso, intanto, a quello che abbiamo fatto dall’ultimo Congresso ad oggi, e forse da quello ancora precedente.

La nonviolenza di fronte alla paura dell’altro

Da qualche anno il confronto con la diversità, vista soprattutto – ma non esclusivamente – come portato dei cittadini non comunitari, associata a parole chiave come sicurezza, paura, legalità… si presenta alla nostra attenzione. È nella nostra provincia che gli abitanti di Gorino, neppure troppi mesi fa, si sono rifiutati di accogliere otto donne profughe di cui una in avanzato stato di gravidanza. E non è questo l’unico segnale che dobbiamo riconoscere, anche nella piccola Ferrara, a indicare un deterioramento nelle relazioni di convivenza tra le persone.

Intendiamoci, Ferrara è una città tranquilla. La violenza resta quasi sempre sottotraccia ma poi esplode con tutta la sua disumanità, la sua sgradevolezza. È nel cinismo di chi ha commentato con sollievo (o con rammarico, ma per l’interruzione del servizio ferroviario) il suicidio di un giovane africano che si è buttato sotto un treno in corsa. È nei dati di recenti ricerche tra i giovani, che ci confermano una diffusa paura dell’altro – neppure troppo giustificata, in una provincia che ha la minore presenza di stranieri in Emilia Romagna – e una legittimazione di fondo della violenza come soluzione, non in particolare con gli stranieri ma con quanti offendono o danno fastidio. È nello smarrimento dell’amica, rappresentante dei genitori nella classe di suo figlio, che mi racconta: “Per la cena di classe dei bambini ci voleva qualcuno che desse un passaggio alla bimba marocchina, e tutti si sono tirati indietro”. Ferrara non è soltanto questo. È anche generosità, presenza, solidarietà, volontariato. Verso gli stranieri e non solo. I luoghi, le sigle, le facce, le pratiche, in buona parte le conosciamo. Eppure qualcosa ci sfugge collettivamente. È un incontro mancato questo convivere tra le diverse facce di questa città, delle nostre città e del nostro tempo, quasi non ci fosse modo di provare a spiegarsi.

La nonviolenza come intreccio e come impegno

Pensandoci bene, qualcosa stiamo provando a fare, a volte proprio come centro del MN, altre in modo laterale, meno esplicitato ma non meno connesso a quell’orientamento di fondo di cui dicevo. Molto è legato alle relazioni dirette e alle competenze personali. Il fatto che ferrarese sia il Presidente Emerito, Daniele Lugli, è un dato di assoluto rilievo sia perché Daniele rappresenta un riferimento indubbio, di grande valore, riconosciuto dalle istituzioni come dal terzo settore, sia perché il suo instancabile riportarci sull’attenzione alle persone, sulla sostanza delle cose, sullo sforzo di comprendere le cose difficili, insomma su quella “apertura appassionata” in cui così bene Capitini l’ha coinvolto, ci è di insegnamento e ci sprona a continuare a cercare. Ma anche l’attenzione ai più piccoli che è nel mio giovanissimo Ufficio Diritti dei Minori presso il Comune di Ferrara – cui si deve tra le altre cose l’avvio di una formazione per volontari che diventano tutori legali di bambini e ragazzi privi di riferimenti parentali, e in primis minori stranieri non accompagnati, in un percorso condotto proprio insieme a Daniele – o che ancora esercito in un Tribunale per i Minorenni, che mette al centro la protezione dell’infanzia da ogni forma di sopruso, non è poi così lontano dalla nonviolenza.

E come Centro, allora. Esordivo parlando delle presentazioni di Azione nonviolenta. Nell’ultimo anno lo abbiamo fatto con alcuni numeri, non con tutti – sui profughi, sul lavoro, sulle formazione delle forze dell’ordine, sulla prima guerra mondiale – e sempre in piccoli spazi molto affollati, con la soddisfazione di vedere facce diverse a seconda degli argomenti. Sul lavoro, ad esempio, era con noi l’ex Sindaco di Ferrara, che oggi opera nel sindacato a livello nazionale, sulle forze dell’ordine esponenti del Silp e un consigliere comunale appassionato, sui profughi alcune delle persone più impegnate in città su questi temi e poi un buon numero di insegnanti. Il pubblico, insomma, varia con gli argomenti e così pure i complici, in questo percorso che di volta in volta illumina una determinata sfera dell’esperienza o della conoscenza. C’è da augurarsi che le persone apprezzino, tanto per cominciare, la rivista non per quel tema soltanto ma per il suo modo di accompagnarci; e sottoscrivano l’abbonamento. Di abbonati, lo sappiamo, c’è bisogno, per ottime ragioni ideali, di contenuto e pratiche. Fin qui ogni incontro si è concluso con la sottoscrizione di alcuni abbonamenti e anche per questo consegniamo volentieri l’esperienza alle altre città. Non è troppo impegnativa, è apprezzata da tutti e contribuisce a mantenere un filo tra le persone.

Tentativi di convivenza nella scuola dell’infanzia

Negli ultimi mesi riceviamo richieste di formazione. Diversi sono gli ambiti (volontari in servizio civile, insegnanti, genitori, giovani…) ma il tema resta il conflitto, soprattutto nelle relazioni interpersonali e, magari, proprio nei contesti interetnici.

L’esperienza più impegnativa e strutturata l’abbiamo intrapresa con oltre trecento (sì, trecento!) educatori e educatrici delle scuole d’infanzia, insieme ad un certo numero di assistenti sociali per i minori e di operatori che, nella scuola come al servizio sociale, hanno un ruolo tendenzialmente amministrativo, ma non per questo esente da scontri.

Scontri con chi? Con le famiglie innanzitutto, certo con gli adulti più che con i bambini. Con chi pensa di saperne più dell’insegnante e con chi tiene a casa da scuola il figlio per un mese intorno ai giorni di Halloween perché la considera una festa del demonio; con chi sa il fatto suo e non vuole confondersi con poveri o extracomunitari (spesso tendono a coincidere) e con chi ha paura che il bambino venga indottrinato, o traviato, da un Paese cui chiede accoglienza, sì, ma a determinate condizioni, giocando difesa e attacco prima ancora di conoscersi e facendolo, come gli autoctoni, in totale reciprocità.

Per filo conduttore abbiamo scelto Alex Langer con il suo Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica. Il breve e succoso filmato pubblicato a suo tempo nel DVD del Movimento Nonviolento, accluso al Quaderno La nonviolenza per la città aperta, e gli enunciati stessi del “Tentativo” langeriano sono diventati gli stimoli per animare assemblee che in plenaria superavano le 120 persone, ma che lavoravano poi parallelamente, in sottogruppi, così che a tutti fosse consentito di “ascoltare e parlare”. Insieme ci stiamo chiedendo se nella nostra scuola dell’infanzia, cioè in una delle prime e decisive tappe di integrazione delle nuove famiglie, ci sono le condizioni perché davvero ciascuno possa sentirsi a casa, scoprendo magari quelle appartenenze multiple che lo apparentano alle persone più diverse, accomunato dall’interesse per i bambini o dal desiderio di vivere in pace. Stiamo raccogliendo dagli educatori l’entusiasmo, la fatica, lo smarrimento, la creatività, la tenacia di chi ci prova giorno dopo giorno, e a volte anche il bisogno di pausa di chi è stanco e chiede agli altri un po’ di energia.

Questo avvio massivo e di sensibilizzazione prosegue con percorsi di approfondimento per gruppi più ristretti, con gli educatori per ragionare sulla gestione dei conflitti interpersonali in un’ottica di nonviolenza, con gli amministrativi per rivedere le prassi e domandarci se e come possono essere migliorate. Il frutto di tanto discorrere ancora non lo sappiamo. Ci sembra di dire che quell’altra definizione capitiniana di nonviolenza, come «segno di direzione», stia dentro a quello che stiamo facendo. Con la consapevolezza che altro fiato ci vorrebbe, per lavorare nella continuità e per incidere davvero, in un tempo e in un contesto dove di nonviolenza c’è bisogno.

* Centro territoriale del Movimento Nonviolento di Ferrara

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