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Consiglio di lettura n. 49 – 5^ anno.

DiEnrico Pompeo

Gen 31, 2022

Mi devo scusare con i lettori e le lettrici di questa rubrica. In questo mese di Gennaio 2022, a differenza di ciò che è successo nei quattro anni precedenti, non riuscirò a far uscire la recensione prima della fine del mese, trovandomi a scriverla oggi, domenica 30, già dopo le 19. Certo, gli amministratori del sito che ospita la rivista, sono persone splendide ed efficienti, ma dubito che riescano a pubblicarla nella giornata di domani. Il motivo di questo ritardo è che questo ultimo periodo è stato particolarmente faticoso per tutti e tutte e per uno come me che lavora nella scuola, forse, ancora di più vista la complessità delle regole che sovrintendevano l’intervento nelle classi a seguito dell’insorgere prepotente della variante omicron tra gli studenti e le studentesse.

Questa emergenza, che è riduttivo definire sanitaria, ma che è ormai anche sociale, economica, in una sola parola globale, rende ogni cosa più difficile e faticosa. La stanchezza per il perdurare di una situazione così pesante si fa sentire ogni giorno di più e non è semplice reagire. Non a caso ho letto meno e con più difficoltà di concentrazione. Ma, per mia buona sorte, ho incontrato un libro che è riuscito a farmi dimenticare il grigio di questo presente così asfittico e a trasportarmi da un’altra parte. Di questo vi voglio parlare, anche se a fil di sirena.

Già solo la biografia dello scrittore meriterebbe, da sola, un’intera trattazione, basti pensare al fatto che  scelse uno pseudonimo per pubblicarlo, Romain Gary, proprio nel momento in cui la sua attività di romanziere stava subendo un forte appannamento e ogni cosa spingeva, invece, a specificare che fosse lui l’autore di un simile capolavoro. Ma che questo formidabile narratore fosse eccentrico, anticonformista e anche molto inquieto, lo testimonia anche la scelta di porre fine volontariamente alla sua vita, alle soglie dei 70 anni, accompagnando questo gesto con una lettera che riesce a ironizzare anche su un fatto così tragico e perentorio. Nel messaggio, infatti, viene spiegato il perché della vestaglia rossa indossata dallo scrittore in quell’ora fatale: almeno su questo colore il sangue provocato sulla testa dal colpo di pistola non si sarebbe notato!

Cerco sempre di non inserire dati biografici nell’analisi di un romanzo, ma questa volta ho fatto un’eccezione, proprio perché questa scelta di un suicidio così particolare, quasi una messa in scena teatrale, ha molto a che fare con il senso profondo della storia narrata: quella di un’anima tormentata e pura che non si piega alle storture del mondo.  Il protagonista, Mohamed, da tutti chiamato Momó e un bambino, di età compresa fra i dieci e i quattordici anni, figlio di una prostituta e perciò lasciato a vivere nella casa di una donna ebrea, Madame Rosa, anche lei, da giovane, passeggiatrice di strada e ora tenutaria di uno spazio di accoglienza per questi figli abbandonati e soli.

Il libro è la storia di questo bambino, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, in un quartiere popolare di Belleville, in Francia, e del rapporto con questa donna, una sorte di madre putativa, anziana e malata. Momó vive in un contesto segnato da privazioni, miserie, difficoltà di ogni tipo, anche razziali, ma riesce a mantenere uno sguardo puro, incantato, pur di fronte alle situazioni più cupe e drammatiche.

Il vero elemento cardine della bellezza di questo romanzo sta proprio nella voce scelta, nell’essere riuscito a dare credibilità e spessore al modo di parlare e di rielaborare i concetti di un ragazzo scaraventato dentro un mondo troppo duro e squarciato. Ma lui non si fa piegare e trova una sua prospettiva dalla quale guardare e sentire il mondo riuscendo a non farsi schiacciare, ma anzi scoprendo la necessità di un gesto di carità, di empatia che sconvolge i criteri con cui, nella società, si pensa alla vita e alla morte.

Libro struggente, dolce, ma profondamente drammatico, impreziosito da un linguaggio, reso superbamente dalla traduzione, che riesce a trasferire sulla pagina la modalità turbata del pensiero di un bambino, oramai adolescente, capace di non perdere l’incanto e lo stupore che sono tipici della sua età, pur raccontando eventi e situazioni crude, tragiche, crudeli.

Un libro originale, prezioso, in grado di emozionare, di far sorridere e commuovere, di suscitare domande e non offrire risposte consolatorie. Ringrazio di averlo incontrato sul mio cammino di lettore.

Non credo che lo dimenticherò.

Buona lettura.

Di Enrico Pompeo

Enrico Pompeo è nato a Livorno nel 1972. Docente di Lettere, è autore dei romanzi: ‘Una curva improbabile’ (Edizioni Edicom 2001); ‘Il Drago, il Custode, lo Straniero’ (Ed. Creativa 2016. Premio Speciale della Giuria ‘Alda Merini’ 2017), ‘Nessuno ha dato la buonanotte’ (MDS editore, novembre 2021.Prima ristampa Aprile 2022) e di un libro di racconti ‘Scritti (S)Connessi’ (Ed. Creativa 2018. 3° Classificato in ‘EquiLibri’ 2018). È drammaturgo e regista dello spettacolo ‘La Cattiva Strada’, patrocinato dalla Fondazione De André. Scrive recensioni per le riviste ‘Azione Nonviolenta’ e ‘Offline’. Organizza laboratori di arte e comunicazione presso l’Agriturismo Montevaso.

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