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Gli obiettori di coscienza turchi (visti dall’Italia)

DiMartina Lucia Lanza

Nov 1, 2014

L’undici di Ottobre 2014 si è tenuta l’Assemblea Generale del Beoc presso il Non-violence Center di Istanbul. La Turchia è stata scelta come sede dell’Assemblea Generale a seguito dell’ingresso nel Beoc di VR-DER (nome per esteso VİCDANİ RET DERNEĞ), associazione turca degli obiettori di coscienza.

La valigia era pronta e il biglietto aereo era in borsa assieme al passaporto… niente, non sono partita, una leggera influenza e la Turchia l’ho vista solo da lontano.

Premessa la mancata partenza, questo non ci impedisce del tutto di riportare qual è la situazione degli obiettori di coscienza in Turchia. Infatti, attingendo informazioni dal report annuale del 2014 del Beoc sulla situazione dell’obiezione di coscienza in Europa (le versioni degli anni precedenti sono scaricabili su ebco-beoc.org), possiamo tracciare un quadro chiaro quanto preoccupante.

In Turchia il diritto all’obiezione di coscienza e la possibilità di svolgere un servizio civile alternativo non sono riconosciuti né sono in corso iter legislativi con lo scopo di introdurli. Parallelamente, il servizio militare obbligatorio è attualmente ancora in vigore per tutti i cittadini maschi tra i 20 e i 41 anni, in quanto, richiamando uno slogan popolare, ogni turco è nato soldato.

Un obiettore di coscienza (OC) sarà sottoposto a ripetute chiamate fino al raggiungimento dell’età massima per svolgere il servizio, vivendo quindi una vita alternata tra ripetute incriminazioni e successive condanne per lo stesso reato, calpestando il principio giuridico internazionalmente riconosciuto del ne bis in idem.

La maggior parte degli obiettori viene identificata e perseguita penalmente in quanto disertori, ossia il comportamento più frequente consiste nel non presentarsi alla chiamata e iniziare una vita in semi-clandestinità o di “morte civile”: persone private di alcuni diritti come la libertà di movimento e il diritto al voto attivo e passivo. Infatti, al fine di rintracciare i disertori, per il rilascio del permesso di soggiorno è previsto l’obbligo di documentare che si ha prestato il servizio militare, impedendo così agli obiettori di potersi muovere liberamente fuori dal Paese.

La Turchia è parte sia del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite (CCPR) che della Convenzione europea per i diritti umani ed è stata considerata in violazione di entrambi a causa della mancanza di disposizioni sull’obiezione di coscienza.

Il Comitato per i diritti umani (organo convenzionale incaricato di vigilare sull’attuazione del CCPR), a febbraio 2012, nelle proprie osservazioni conclusive al primo report della Turchia ha raccomandato allo Stato di adottare una legislazione che riconosca e regoli l’obiezione di coscienza, così come di provvedere alla creazione di un servizio alternativo, senza che questa opzione sia di natura punitiva o abbia effetti discriminatori, e allo stesso tempo sospenda tutti i procedimenti penali e le pene già imposte agli OC.

Riprendendo il report 2014 del Beoc, diverse fonti confermano che a seguito delle condanne da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo nei casi Ercep c. Turchia, Feti Demirtas c. Turchia e Savda c. Turchia, al momento molti procedimenti per il rifiuto di rispondere alla chiamata al servizio militare vengono processati da una Corte civile (e non dal Tribunale militare) e generalmente portano ad una condanna pecuniaria e non alla pena del carcere, anche se rimane costante la prassi delle continue chiamate e successivi procedimenti.

La condizione di OC in un Paese come la Turchia può essere considerata una situazione più che sufficiente per il riconoscimento della protezione internazionale per coloro che lasciano il Paese. Infatti, gli OC hanno diritto ad essere riconosciuti come rifugiati o di ottenere un’altra forma di protezione internazionale qualora vi sia una fondato timore di essere perseguitati nel proprio Paese d’origine, oppure sono a rischio di subire tortura o trattamenti inumani e degradanti, per motivi basati su razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale e per le proprie opinioni politiche.

Di conseguenza si stanno moltiplicando i riconoscimenti dello status di rifugiato per obiettori di coscienza turchi di cui il Beoc è venuto a conoscenza e, laddove possibile, è intervenuto con lettere di supporto o sotto altra forma al fine di portare avanti la loro causa.

Quest’anno due obiettori turchi che si trovavano in un Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) in Italia si sono rivolti al Beoc per avere informazioni su come presentare la domanda di protezione internazionale e per una lettera di supporto.

É di meno di un mese fa la notizia che il primo obiettore abbia ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e quindi un permesso di soggiorno di 5 anni, mentre la situazione del secondo è ancora in fase di evoluzione. Non si può dire che il riconoscimento dello status ad un obiettore turco possa costituire un precedente affinchè a tutti gli obiettori turchi venga riservato lo stesso trattamento, tuttavia è sicuramente un motivo per il quale festeggiare.

Di Martina Lucia Lanza

Esperta in diritto internazionale dei diritti umani. Rappresentante del Movimento nonviolento presso l’European Bureau for Conscientious Objection (Ebco) e board member di quest'ultimo.

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