• 14 Ottobre 2024 22:27

Il sorriso di Vivian Silver, il privilegio, l’equivicinanza

DiElena Buccoliero

Nov 9, 2023

Vivian Silver ha 74 anni, è canadese e israeliana. Di lei, su Avvenire: Ha dedicato la sua vita ai diritti dei palestinesi. È la leader di Alleanza per la pace in Medio Oriente, un network formato da 170 associazioni pacifiste di cui due guidate da donne: Women Wage peace e Women of the Sun. Vivian sarebbe stata prelevata a forza dai terroristi dalla sua casa nel kibbutz Be’eri, al confine con Gaza. A sua sorella al telefono diceva che sentiva i militanti di Hamas fuori della sua casa, poi si è nascosta in un armadio e da lì ha mandato messaggi ad amici. «Qui c’è il caos – ha digitato alle 7.54 di mattina –, sento spari e urla».

Una delle azioni recenti di Vivian è stata accompagnare i palestinesi malati di tumore all’ospedale di Gerusalemme: un’israeliana al loro fianco avrebbe permesso di raggiungere le cure in modo più veloce e sicuro.

Quando si dice che l’attacco terribile di Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso è stato una reazione a decenni di assedio, oppressione, occupazione e violenza, penso che lo capirei meglio se Hamas avesse scelto di colpire persone che sostengono il governo di Israele. Invece Vivian è una dei 240 ostaggi e non è l’unica attivista ad essere stata catturata. Non ho strumenti per capire quale messaggio ci sia dietro questo accanimento verso i pacifisti israeliani. Mi piacerebbe che qualcuno si esprimesse su questo a ragion veduta. Così come stride la reazione governativa a fronte di dichiarazioni come quelle di questi sopravvissuti: «Non usate i nostri morti e il nostro dolore per causare morte e dolore di altre persone o di altre famiglie. Chiedo che fermiamo il circolo di dolore e comprendiamo che l’unica via è la libertà e la parità di diritti. Pace, fratellanza, e sicurezza per tutti gli esseri umani» (Noi Katsman dopo la morte del fratello Haym, un attivista anti-occupazione assassinato nel Kibbutz Holit), o «Non sento bisogno di vendetta, niente farà tornare coloro che non ci sono più. Bombardamenti indiscriminati a Gaza e l’uccisione di civili non coinvolti in questi orribili crimini non sono una soluzione» (Ziv Stahl, direttrice esecutiva dell’organizzazione per i diritti umani Yesh Din, sopravvissuta).

Al sorriso di Vivian arrivo ascoltando il webinar di Rete Italiana Pace e Disarmo “Women Wage Peace: le donne portano la pace”, condotto da Sergio Bassoli, con le ospiti Hyam Tannous, arabo-israeliana, e Na’ama Barak Wolfman, israeliana, entrambe nel Comitato Direttivo dell’associazione. L’ottima traduzione è di Lisa Clark, come nell’incontro precedente, “Prospettive di pace oltre il conflitto: voci da Palestina e Israele”, con Nivine Sandouka, attivista palestinese di “Our Rights”, e Eran Nissan, attivista israeliano di Mehazkim.

Di Women Wage Peace, organizzazione cui aderiscono circa 5.000 donne israeliane di ogni estrazione, credo religioso e orientamento politico, gemellata a Gaza con Women of the Sun, abbiamo già scritto su queste pagine.

Nel recente incontro Hyam Tannous, counsellor psicologica, ricorda: Il 4 ottobre abbiamo avuto una manifestazione straordinaria: 3.000 donne. Siamo state raggiunte da 800 donne palestinesi intorno al Mar Morto ed eravamo sicure che stavamo costruendo la pace per le nostre comunità. E poi la mattina del 7 ottobre ricevo una telefonata dalla mia amica di Women of the Sun, la nostra associazione palestinese gemella, che mi dice: “Svegliati, svegliati, stanno succedendo cose terribili in Israele”. Ho avuto notizie di uccisioni, di massacri, non riuscivo a crederci. Ed era Hamas, un’organizzazione per la quale non ho mai avuto nessun rispetto. Ho capito che per gli ebrei questa era una riedizione dell’Olocausto. Mi dicevo: “Ma perché?”.

Sulla stessa onda si esprime Na’ama Barak Wofman, biografa: La mattina del 7 ottobre non ho capito subito quello che stava succedendo. La tv israeliana ne parlava ma non mostrava le immagini o non diceva tutto per non turbare la sensibilità di amici e familiari delle vittime. Ho chiamato un’amica che vive in un kibbuz di frontiera e lei mi ha detto “Spero solo di riuscire a sopravvivere”. Mi è stato chiaro in seguito ciò che stava dicendo, del resto altre persone della sua comunità non ci sono più. Non avrei mai immaginato che l’azione fosse così estesa e così brutale.

Riprende Hyam: Un vicino di mio figlio ha avuto la figlia uccisa al rave, una ragazza bellissima di 18 anni che è partita per andare a una festa ed è tornata cadavere. Qui tutti piangono qualcuno. È terribile. Noi arabi israeliani ci sentiamo sia israeliani che palestinesi in questo momento. Il 7 di ottobre, con gli israeliani vittime di queste orrende sevizie, ci siamo commossi, ma adesso ci sono 9.000 dei nostri uccisi a Gaza e quindi il nostro cuore è di qua e di là. In questo momento siamo tutti impauriti: noi arabi abbiamo il timore di essere tutti giudicati come terroristi, e gli israeliani temono che qualche terrorista si nasconda e possa riprendere quella violenza. Il nostro obiettivo come WWP è far rinascere un rapporto di fiducia. Non sarà facile.

Alla richiesta del conduttore, su come possiamo essere di aiuto da qui, Na’ama pensa agli ostaggi: Aiutateci a chiedere il loro rilascio, scrivete alla Croce Rossa Italiana perché li visiti e accerti le loro condizioni, come in guerra si deve fare, e Hyam alle sorelle pacifiste palestinesi a Gaza: Sostenete le Women of the Sun, non sappiamo più niente di loro, non sappiamo neanche se sono ancora vive.

L’equivicinanza ai due popoli mi pare espressa perfettamente da Hyam, che incarna entrambe le appartenenze. Ci aiuta a ricordare che il dolore è dolore per ogni essere umano. Mantiene su ogni fronte la medesima dignità.

Lia Tagliacozzo, nel suo intervento su “Il Manifesto” del 5.11.23, riporta queste parole di Yuval Noah Harari, storico e protagonista del movimento democratico israeliano: «Coloro che in Europa hanno il privilegio di non patire direttamente il dolore, di non vivere sotto i missili e le bombe, di non sentirsi fragili (…) hanno il dovere di tenere alta la bandiera della saggezza e della ragione». E a me tornano in mente le volte che ho ascoltato Daniele Lugli raccontare il suo incontro più significativo con Alexander Langer.

Era in corso la guerra nei Balcani, Alex si sentiva dilaniato dal suo essere in salvo, lontano dai bombardamenti, invece di condividere fino in fondo il destino di quei popoli amati, e Daniele lo incitava a pensare a quel privilegio non come a una colpa ma come alla possibilità di offrire alle parti in guerra un punto di vista differente. Una visione che le arricchisce, come arricchisce noi ascoltare le vittime della guerra.

Ecco, mi sembra che questo messaggio riguardi anche noi ora. Che nelle manifestazioni per la pace in Israele e Palestina risuoni in parte il senso di colpa di non essere a Gaza – meno quello di non essere ostaggi di Hamas, e mi dispiace: il dolore è dolore sempre – ma forse dovremmo cogliere le opportunità del nostro privilegio. Che non è essere più intelligenti di chi rischia la pelle ma accettare che il nostro posto ora è qui, con quello che siamo, e chiederci quanto di meglio possiamo dare dalla nostra prospettiva.

 

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.