• 2 Maggio 2024 1:11

La scelta nonviolenta nella vita di ogni giorno

DiDaniele Lugli

Set 4, 2023

In questo frammento d’intervista sul GAN (Gruppo di Azione Nonviolenta), nato all’interno del Movimento Nonviolento nel 1963 per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, Daniele Lugli racconta in che modo quell’esperienza nazionale orientava il suo impegno locale di quegli anni. Ascoltare il modo di procedere del gruppo è di stimolo e di esempio anche per noi oggi. (L’intervista è stata raccolta da Elena Buccoliero nel febbraio 2020).

 

L’impegno del Gan era nazionale e aveva il suo apice nelle manifestazioni, che potevano anche essere a distanza di settimane o mesi l’una dall’altra. Intanto a Ferrara che cosa succedeva?

Beh, a Ferrara c’era un gruppo che si riuniva settimanalmente, a casa mia di solito, o a casa di Carlo Buono. Tra me e Carlo c’era allora una collaborazione abbastanza stretta. Eravamo stati assieme al campo di studio e lavoro di Hospenthal, a quello di Signa in provincia di Firenze… Eravamo due famiglie che collaboravano sui temi della nonviolenza. Le persone che facevano capo al gruppo di Ferrara si ritrovavano con noi, poi quando potevano partecipavano alle manifestazioni: Firenze, Milano…

In quanti eravate in città?

Boh, forse una decina di persone. Che si vedevano, però, abbastanza frequentemente e quindi facevano anche altre cose assieme. Per esempio, un giornale che avevamo chiamato “Il Cittadino”.

Vedo dalle tue carte di allora che Pinna e Capitini seguivano “Il Cittadino” con interesse, Capitini era disposto ad assumerne la direzione responsabile e lo indicava come esempio da seguire.

Invece restò quasi una cosa isolata. Due numeri, più uno speciale dedicato alla scuola con un titolo capitiniano, “La scuola è di tutti”. Intanto Azione nonviolenta cresceva e noi eravamo molto impegnati a diffonderla. Direttamente, agli amici e nelle iniziative, e per un periodo anche nelle edicole. Come Movimento Nonviolento lo abbiamo fatto in diverse città. Noi a Ferrara avevamo trovato l’interesse di tre edicole del centro che ricevevano la rivista, noi poi ci occupavamo dei resi.

Avevate dei fondi a disposizione?

Macché (ride). Ci tassavamo noi. Per le nostre iniziative e per quelle del GAN nazionale: stampa di volantini, manifesti, i nostri viaggi… Ci impegnavamo ogni mese a mandare una piccola somma a Perugia, dove era la sede nazionale del Movimento Nonviolento, per Piero Pinna che da tempo non aveva una occupazione retribuita. O meglio, veniva pagato da Aldo Capitini che poteva contare sul suo reddito di professore universitario, ma un’aggiunta – sorride – è sempre benvenuta.

E poi che cosa facevate?

Di solito ci accordavamo per leggere un testo che a noi sembrasse importante e poi lo riferivamo, ne discutevamo assieme. Poteva essere “Antica come le montagne” di Gandhi, poteva essere un testo di Bertrand Russell, poteva essere Einstein, Schweitzer… o anche altro. Uno di noi lo presentava agli altri, ne discutevamo assieme, e qualche volta si pensava a delle iniziative da prendere. Da soli, proponendole ad altri.

Ad esempio?

Nel 1965 è presidente della Repubblica Saragat, e per il cinquantesimo della prima guerra mondiale ha la bella idea di celebrare il 24 maggio, cioè l’entrata in guerra dell’Italia. A noi questo sembra una bestialità. Della guerra si può, se proprio si deve, ricordare il giorno che è finita, ma celebrare l’entrata in guerra ci sembrava una cosa assurda. «E allora cosa facciamo?», ci siamo detti. «Una manifestazione, come sempre?». Ne discutiamo. A me viene l’idea di raccogliere intorno a una posizione unitaria di rifiuto della guerra tutti i giovani di sinistra. Butto giù un testo che viene approvato dai giovani socialisti, comunisti, da quelli del Psiup, del Psdi… Tutti sottoscriviamo una dichiarazione contro la celebrazione della guerra.

Sempre tra le carte di allora vedo che il Partito Liberale vi rispose, sulla stampa locale, con un contro-comunicato. La storia finì lì?

No, organizzammo una conferenza per spiegare le posizioni, ricordo che la tenni io a Casa di Stella dell’Assassino. Mi spiace non avere conservato il manifesto che la illustrava perché era molto grande con su scritto, a caratteri cubitali, “Daniele Lugli” e in piccolo tutto il resto (ride). Mai avuto un manifesto così. Ranieri Varese, il mio amico che era andato in tipografia, era tutto divertito.

Però ecco, facevamo iniziative, ognuno nel suo settore. Io allora ero anche molto impegnato in politica… si può dire così… Sì, facevo questo, con tutto quello che comportava. Almeno dal luglio del ’60, in termini espliciti. Una passione che veniva da lontano, per me.

Già allora lavoravi per la Provincia di Ferrara. I tuoi colleghi seguivano il percorso del GAN?

Mah. Siccome le manifestazioni in piazza erano quasi sempre di domenica, qualcuno sapeva che, se non fossi tornato al lavoro il lunedì, era bene giustificarmi che poi avrei fatto sapere. Questo era il massimo del coinvolgimento.

Che cosa teneva insieme il tuo impegno nel Movimento Nonviolento con quello che esprimevi negli altri settori in cui eri?

Dovunque mi trovavo – sul posto di lavoro, al partito, al sindacato – insistevo perché ci fosse attenzione alla nonviolenza. Ero nella Cgil, e mi ricordo che nelle riunioni insistevo: «Ma piuttosto che fare dei picchetti in cui si sputa addosso a quelli che entrano in fabbrica perché non vengono con noi a scioperare, dimostrazioni in cui si inveisce e basta, non siamo capaci di fare qualcosa di diverso? Io ci sto. Non ci vado da solo, non lavoro in fabbrica, ma se ci mettiamo d’accordo ci si sdraia per terra e si dice: Beh, passami addosso visto che vai dentro a lavorare e mi rovini. Non dovresti farti scrupoli di pestarmi». Insomma, volevo che si cercassero delle forme di lotta diverse. Però, non sono mai andato al di là delle formulazioni perché non ho trovato risposte.  Neanche da persone che pure mi stimavano. Mi ricordo un senatore che era il responsabile socialista all’interno della Cgil, che per spiegare la difformità di pareri al nostro interno diceva: “C’è questo, c’è quello, quell’altro… e poi c’è Lugli che vuole che ci sdraiamo per terra” (ride).

Cercavi un’azione che facesse parlare di sé?

In un certo senso. A me avevano colpito, insomma, da un lato Gandhi, dall’altro e più vicino a noi Luther King, oppure gli inglesi… Bertrand Russell e altri… Cercavo di dare vita a un’azione che si vedesse e che fosse incisiva rispetto al tema. Che non fosse semplicemente «Illustriamo…» ma che dicesse: «Noi prendiamo questa posizione e la teniamo». Era questo, per me, portare l’impegno del Gan nella mia attività di ogni giorno, ed era molto collegato all’attività politica, piccola, che svolgevo.

 

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948