• 13 Ottobre 2024 6:21

Mario Baricchi e Fermo Angioletti, per esempio

DiPasquale Pugliese

Feb 17, 2018

A cento anni della fine della “grande guerra”, ancora a Reggio Emilia per costruire le alternative alla guerra nel ricordo dell’eccidio antimilitarista

Tra i tanti anniversari di questo 2018 probabilmente il più importante è la fine della “grande guerra”. Il 4 novembre del 1918, con la proclamazione della “vittoria”, finisce l’immane tragedia della prima guerra mondiale, che lascia sul terreno d’Europa quasi 17 milioni di morti. Dei quali un milione e trecentomila italiani e la metà di questi civili. Ma per qualcuno, in Italia, la guerra era finita tragicamente ancora prima di iniziare. Per esempio per i giovani antimilitaristi reggiani Mario Baricchi e Fermo Angioletti, uccisi dal “regio esercito” il 25 febbraio del 1915 mentre contestavano all’esterno del Teatro Ariosto il comizio interventista di Cesare Battisti. Mario e Fermo furono i primi di una lunga schiera di renitenti, obiettori e disertori italiani chiamati a uccidere e morire nella più folle di tutte le guerre e invece passati per le armi dai soldati compatrioti agli ordini del “macellaio” generale Luigi Cadorna.

Dopo aver riportato alla memoria della città di Reggio Emilia nel 2015, con la posa della targa in bronzo, ad un secolo dall’eccidio del Teatro Ariosto – con un lavoro di ricostruzione storica e civile a cura della rete di soggetti composta da Movimento Nonviolento, Centro di documentazione storica “Villa Cougnet”, Istoreco, Pollicino gnus, Anpi, Scuola di Pace, con la collaborazione dell’Amministrazione comunale – la vicenda dei diciottenni Mario Baricchi e Fermo Angioletti, praticamente dimenticati per un secolo, è giunto il momento di ribadire che Mario e Fermo – e con loro tutti i renitenti, gli obiettori e i disertori – avevano ragione e che il governo italiano e i comandi militari, che trascinarono il nostro Paese in quella sciagurata guerra, avevano torto.

Per questo è ormai tempo di togliere l’onore ai numerosi comandanti – ai quali sono dedicati monumenti, strade e piazze, anche nella nostra città – nonostante abbiano mandato al massacro i propri soldati e dare invece onore e dignità a quei renitenti, obiettori e disertori che avevano capito che il vero “nemico” era chi li mandava ad uccidere altri giovani dallo “stesso identico umore ma la divisa di un altro colore”. Come avrebbe cantato decenni dopo Fabrizio De Andrè.

Se la “grande guerra” – così definita in quegli anni perché era stata la guerra più grande e distruttiva che l’umanità avesse subito fino ad allora – è chiamata oggi nei manuali di storia “prima guerra mondiale” è perché – invece di mettere fine a tutte le guerre, come pure era stato promesso – preparava, con la nascita di revanscismi, nazionalismi e fascismi, l’ancora più tragica seconda guerra mondiale, che finirà dopo 60 milioni di morti e l’immersione dell’umanità nell’incubo atomico. Dal quale non siamo più emersi. Per questo il Centenario della fine di quella guerra – invece che un festival della retorica della “vittoria” – dovrebbe essere un serio e tragico ripensamento sul senso del mezzo e dello strumento della guerra. Ripudiato solennemente anche dalla Costituzione repubblicana, di cui quest’anno si celebra il 70° anniversario.

Il Centenario della fine della ”inutile strage” (come fu definita dal papa Benedetto XV) dovrebbe essere, dunque, l’occasione per un rinsavimento del nostro Paese rispetto alle immani spese militari – ormai giunte all’incredibile cifra di 25 miliardi di euro per l’anno in corso – per un investimento nelle alternative civili alla guerra: corpi civili di pace, difesa non armata e nonviolenta, riconversione civile dell’industria bellica, educazione alla nonviolenza… La corsa agli armamenti, che ha già portato alle due guerre mondiali precedenti, ha ormai condotto l’umanità ad una “terza guerra mondiale diffusa” (come non si stanca di ripetere un altro papa, Francesco), dalla quale non si può che fuoriuscire con un vero disarmo, militare e culturale.

Ecco il programma:

Reggio Emilia, sabato 24 febbraio 2018

Una Città per la Pace.
Reggio Emilia ricorda Mario Baricchi e Fermo Angioletti di anni 18 che, nell’intento di fermare la follia della guerra, furono uccisi dal regio esercito di fronte al Teatro Ariosto il 25 febbraio 1915

h 10.00 piazza della Vittoria, di fronte al teatro Ariosto
Ricordo dell’eccidio di Mario Baricchi e Fermo Angioletti, a cura di Gemma Bigi si Istoreco

Corteo per la pace con la Banda di Quartiere

h 11.00 piazza Casotti
Sandrone Soldato, ovvero per la più grande Italia
Opera per burattini di Angelo Ruozi Incerti. Prima nazionale
Spettacolo a cura di Fema Teatro di Maurizio Mantani ed Elis Ferracini

h. 16.00 Sala affreschi di Villa Cougnet, via Adua 57
Ma la guerra No!
VII edizione del Seminario dedicato a Mario e Fermo

dopo i saliti istituzionali interverranno:

Giorgio Giannini, CSDC-Centro Studi Difesa Civile,

Carlo Perrucchetti, Centro studi Musica e grande guerra

Marco Marzi, storico

Antonio Canovi, Centro documentazione storica di Villa Cougnet

Pasquale Pugliese, Movimento Nonviolento

promuovono:
Movimento Nonviolento – Centro di Reggio Emilia

Centro di documentazione storica di Villa Cougnet

Istoreco

Pollicino Gnus

ANPI Reggio Emilia

Associazione Mirni Most – Un ponte per la pace

in collaborazione con:
Comune di Reggio Emilia
Gruppo Laico Missionario

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.