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Note sparse verso il 24° Congresso del Movimento Nonviolento

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Gen 16, 2014

Note sparse verso il 24° Congresso del Movimento Nonviolento

Di Pasquale Pugliese *

Da Brescia a Torino: consolidamento delle reti, chiarificazione dei temi Un rapido sguardo a ritroso, per costruire un promemoria delle più importanti inziative nazionali del Movimento Nonviolento, realizzate nei tre anni che ci separano dal Congresso di Brescia 2010, ci riconsegna la fotografia di una fase di grande impegno del nostro Movimento, centrato sul tema del disarmo: − co-promozione della Marcia della pace per la fratellanza dei popoli – Perugia-Assisi, 2011 − Festa per i 50 anni del Movimento Nonviolento – Verona, 2012 − manifestazione e visita all’ex carcere militare di Peschiera del Garda – 2012 − co-promozione del Convegno per i 40 anni della legge sull’OdC – Firenze, 2012 − co-costruzione del 2 Giugno Festa della Repubblica che ripudia la guerra – Roma, 2013 − potenziamento dell’impegno nella Rete Disarmo e nella Campagna No-F35 – 2011-2013 − manifesto e coordinamento nazionale delle iniziative per il 2 ottobre – 2012/2013 − interlocuzione con l’intergruppo parlamentare per la pace – 2013 − Nascita di nuovi Centri territoriali attivi – 2011-2013 − Costituzione del Gruppo Giovani – 2013 − Campagna in difesa del Parco dell’Alta Murgia – 2013 Questo primo, parziale elenco delle iniziative lascia intravedere il non facile lavorìo per il consolidamento delle connessioni esistenti e, in qualche caso, per la costruzione di nuove, centrate sulla chiarificazione dei temi, nel quale l’apporto del MN è stato determinante. L’esempio più interessante mi pare il nuovo dialogo – dopo gli anni dell’obiezione di coscienza – tra il Movimento e il mondo degli Enti di Servizio civile, a cominciare dalla Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile. Avviato con la costruzione congiunta del Convegno di Firenze, ha prodotto l’Alleanza per il Servizio Civile, che è poi diventato appello ai candidati impegnati in campagna elettorale, ha cominciato a costruire una riflessione comune intorno al tema del SCN come difesa civile, non armata e nonviolenta, alternativa a quella militare, ed al suo finanziamento attraverso il disarmo e la riduzione delle spese militari, che ha portato alla realizzazione della prima “Festa della Repubblica che ripudia la guerra”, promossa congiuntamente da Rete Disarmo e CNESC alla quale ha partecipato anche la presidente della Camera Laura Boldrini, in visita ad un Ente di Servizio Civile. La chiarificazione dei temi e la costruzione di connessioni aprono (e proseguono) percorsi di lavoro che impegneranno anche il nostro Congresso su diversi filoni, cioè sull’insieme delle questioni collegate, che potremmo definire i…”fattori D”. I fattori D: disarmo, difesa, democrazia, diritti/doveri, decrescita Il disarmo non è solo questione militare, ma anche politica e culturale. Secondo l’ultimo rapporto del SIPRI di Stoccolma – nonostante una leggera flessione della spesa militare mondiale, indicata in ben 1.756 miliardi di dollari (di gran lunga più alta del picco della corsa agli armamenti della guerra fredda, ndr) – il nostro paese, con la sua spesa pubblica militare stimata in 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro, è ritornato tra le prime dieci potenze belliche mondiali. Mentre, secondo i dati Eurostat, siamo ultimi in Europa per le spese per la cultura, penultimi per le spese per l’istruzione, ultimi per il welfare (dati Bocconi), tra i “primi della classe” per la disoccupazione giovanile e via degradando. Solo questi pochi dati forniscono il senso dell”urgenza del disarmo, non solo come valore in sè, ma anche come questione centrale delle politiche pubbliche. Insieme alla necessità di un ripensamento di fondo sul senso stesso della difesa e della sicurezza: da chi o da quali minacce la comunità italiana ha davvero bisogno di difesa? La sicurezza è quella fornita da imponenti sistemi d’arma a capacità nucleare e da enormi portaerei che li trasportano per gli oceani in missioni di guerra, contrarie allo spirito ed alla lettera della Costituzione, oppure è quella fondata su una ricostruita coesione sociale, sulla difesa dei diritti costituzionali costantemente minacciati e taglieggiati da politiche antisociali, sulla capacità di promuovere politiche di pace nel Mediterraneo? Tutte azioni possibili solo attraverso una politica di disarmo che liberi le risorse necessarie. Si tratta inoltre di questioni che riguardano l’essenza stessa della democrazia. Il complesso miliare-industriale internazionale orienta le scelte dei governi, difendendo se stesso da quella che il generale Fabio Mini ha chiamato “la minaccia della pace”, indirizzando pesantemente la spesa pubblica per la guerra e a vantaggio delle commesse militari. In Italia i suoi veti condizionano la prassi democratica e controllano i voti parlamentari, fino a portare i partiti a contraddire le affermazioni fatte in campagna elettorale, rendendo intangibile la spesa per gli armamenti, come accaduto questa estate per la vicenda dei caccia-F35. Il popolo ed i suoi rappresentanti sono sempre più espropriati da decisioni già prese, spesso in sedi internazionali, come per la base Dal Molin di Vicenza, o il Muos di Niscemi o l’ammodernamento delle testate nucleari presenti sul territorio italiano, in violazione del Trattato di non proliferazione. In questo scenario, i diritti di partecipazione democratica sono sottoposti ad un costante depotenziamento, volto a renderli incapaci di incidere sulle questioni di fondo, attraverso la loro trasformazione in un permanente sondaggio via social-network per indagare gli umori e solleticare gli istinti del pubblico spettatore, sia nella versione populista-criminale-berlusconiana che, di fatto, in quella populista-anticasta-grillina. E’ un meccanismo volto a sopire progressivamente il dovere personale di informarsi, vigilare, approfondire, mettersi in azione per il cambiamento, assumersi la responsabilità diretta delle scelte. Eppure, nonostante tutto ciò, continua ad essere presente in Italia un significativo movimento dal basso che si impegna per la decrescita e la conversione ecologica dell’economia, il disarmo e la tutela dei territori dagli scempi delle grandi opere e delle servitù militari, i beni comuni e la democrazia partecipativa, i diritti dei più deboli e la solifarietà internazionale. Insomma, c’è ancora e, in qualche modo resiste, quella che Aldo Capitini avrebbe definito l'”Italia nonviolenta”. Questioni in Movimento/1: organizzazione Tuttavia questa “Italia nonviolenta”, che articola la sua azione su specifici temi (fatta salva l’esperienza dei referendum sull’acqua e sul nucleare) fatica a trovare punti di coagulo, a fare massa critica, a condizionare le decisioni politiche importanti, a rappresentarsi come una possibilità di cambiamento generale, politico e culturale. A darsi una organizzazione. Anche il Movimento Nonviolento, pur rimanendo punto di riferimento riconosciuto per un’area culturale e politica che si impegna per la pace e il disarmo, non ha una significativa capacità attrattiva dal punto di vista dell'”attivismo” politico diretto. Sono diverse migliaia le persone che, nei suoi primi cinquanta anni, hanno fatto parte del MN, poche centinaia sono le adesioni che si rinnovano tutti gli anni. E’ come se si desse per scontato che il MN, come organizzazione nazionale e punto di riferimento propositivo, ci sia comunque, indipendentemente dalle scelte personali di ciascuno: rinnovare regolarmente l’iscrizione, abbonarsi ad “Azione nonviolenta”, destinare il 5×1000, farsi Centro di iniziative sul proprio territorio. Invece sono proprio queste scelte individuali che ne possono garantire la capacità di azione politica collettiva, la sua efficacia e continuità del tempo. Laddove avviene l’assunzione di responsabilità personale, se ne vedono presto i risultati: le esperienze di Bari, del Litorale romano, di Modena – tutte emerse, pur con percorsi e cratteristiche diversi, dal Congresso di Brescia ad oggi – in questo senso sono incoraggianti. Andrebbero moltiplicate sui diversi territori. Il Congresso ha il compito di rilanciare questa spinta. Questioni in Movimento/2: comunicazione Anche a questo scopo, è naturalmente fondamentale la capacità di comunicazione del Movimento Nonviolento, che passa attraverso un aggiornamento dei suoi strumenti di comunicazione, sia web che cartacei. Mi soffermo sul principale, “Azione nonviolenta”. Ci prepariamo a festeggiare i 50 anni della “rivista fondata da Aldo Capitini”, in una fase di preoccupante e costante declino del numero di abbonati: è questo il momento per un importante ripensamento e rilancio della nostra testata che tenga conto delle rapide evoluzioni del complesso sistema dell’informazione. A questo scopo mi vado sempre più convincendo della opportunità di articolare “Azione nonviolenta” in due edizioni: una “on line” ed una cartacea che svolgano funzioni diverse, anche per pubblici diversi. Nel flusso di informazioni che quotidianamente passano sul web – ormai principale strumento di informazione al di sotto dei 40 anni – manca un punto di riferimento comunicativo capace di diffondere il punto di vista nonviolento sulla realtà. Nonostante molti amici della nonviolenza scrivano autorevoli opinioni, commenti, proposte legate all’attualità, queste sono per lo più disperse in molte mailing list, siti internet, profili facebook, blog personali, comunicati stampa spesso semiclandestini, o anche nelle rubriche di Azione nonviolenta che viene però pubblicata con molte settimane di ritardo rispetto agli eventi stessi. Per fare massa critica, almeno sul piano comunicativo, vedrei bene la nascita della testata “Azione nonviolenza-on line” ossia di un webmagazine che ne riunisca le voci e rilanci quotidianamente il punto di vista della nonviolenza sugli eventi nazionali e internazionali. Uno strumento agile, ma autorevole e plurale, di confronto, informazione e comunicazione per tutta l’area dell'”Italia nonviolenta”. E’ la vecchia idea del quotidiano della nonviolenza, periodicamente rilanciata, impraticabile in forma cartacea, oggi in parte possibile, e forse anche sostenibile, su internet. Questo consentirebbe e agevolerebbe anche un ripensamento di Azione nonviolenta cartacea, che potrebbe diventare uno strumento di approfondimento tematico con 4/6 numeri monografici all’anno, da ricevere in abbonamento, sul quale coinvolgere i molti amici della nonviolenza impeganti nella ricerca, l’approfondimento culturale, la sperimentazione sul campo, i linguaggi narrativi e fotografici, le interviste, le inchieste, la documentazione…I numeri di Azione nonviolenta diventerebbero così, sempre di più, strumenti di riflessione senza il rischio della ridondanza o dell’asincronia rispetto al flusso di notizie on-line. Per il momento sono solo suggestioni, ma penso che si tratti di questioni sulle quali il Congresso dovrà riflettere e decidere, in modo da presentare la nuova (anzi, le nuove) “Azione nonviolenta” alla Festa dei suoi 50 anni, nel giugno del 2014. L’azione politica/1: dalla lotta contro gli F-35… Naturalmente, le dimensioni organizzative e comunicative sono indispensabili strumenti sui quali viaggia la capacità di azione politica e culturale del Movimento Nonviolento. Ed anche questa necessita di un rilancio, per esempio a partire dai “fattori” disarmo/difesa. La nostra convinta partecipazione alla Campagna “Taglia le ali alle armi” contro i caccia F-35 è stata importante perché da molto tempo le spese militari non entravano nel dibattito pubblico, come avvenuto in questa fase grazie all’impegno della Campagna. All’interno di una crisi economica che sta facendo precipitare consistenti fasce di popolazione nella povertà, molti cittadini fanno fatica a capire perché si debba spendere per la guerra piuttosto che contro la precarietà. L’efficace azione comunicativa di Rete Disarmo sta progresivamente aiutando a spostare una generica invettiva anticasta in una specifica opposizione alla maggiore e più ingiustificabile di tutte le spese, quella per gli armamenti, di cui i cacciabombardieri sono il simbolo più evidente, osceno e caro alla casta militare. Naturalmente, per noi questo è solo un elemento dell’opposizione complessiva al sistema di difesa/offesa militare, fondato sulla preparazione della guerra, e della costruzione di un sistema civile fondato sulla nonviolenza. In aggiunta e oltre questa campagna, c’è bisogno sia di una allargamento degli obiettivi, verso una prospettiva più ampia di disarmo, sia di uno sbocco in un ulteriore livello di azione, che superi la sola campagna di opinione. C’è bisogno, probabilmente, di una nuova Campagna di azione, promossa dal Movimento Nonviolento, ma non solo. L’azione politica/2:…allo spostamento di risorse dalla difesa miliare a quella civile Come ribadito, in ultimo, anche dalle nuove “Linee guida per la formazione generale dei volontari civili”, emanate lo scorso luglio dal Dipartimento per la gioventù e il servizio civile, il tema posto, a suo tempo, dal movimento degli obiettori di coscienza per una difesa non militare della patria, oggi, ha portato alla configurazione di due distinte modalità di difesa nel nostro Paese, ormai riconosciute pienamente dall’ordinamento legislativo, trovando conferma tanto nella legge istitutiva del SCN (64/01) – la quale assegna come prima finalità del Servizio Civile Nazionale il “concorrere alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari” – quanto nel decreto legislativo che lo disciplina (77/02) – che indica quale unica finalità del SCN la “modalità operativa concorrente e alternativa di difesa dello Stato con mezzi ed attività non militari.” Tuttavia, ciò che ancora manca è la pari dignità tra le due forme di difesa della Patria. L’una, quella armata, ha la disponibilità di enormi risorse pubbliche, è impermeabile ai tagli, anzi soggetta a continui ampliamenti e riqualificazioni degli arsenali da usare contro ipotetiche e pretestuose minacce esterne oppure – più spesso – in missioni internazionali di guerra. L’altra, quella civile, priva di risorse certe, sempre taglieggiata e costretta ad elemosinare le briciole, incapace di garantire l’esercizio del diritto/dovere di difesa della Patria a tutti i giovani che vogliono spendersi nell’impegno per la difesa dei diritti e per la sperimentazione di mezzi e strumenti costituzionali – nel ripudio della guerra – di risoluzione nonviolenta dei conflitti, anche sul piano internazionale. Questa consapevolezza, dicevamo, sta crescendo anche nel mondo del servizio civile, e credo stiano diventando maturi i tempi per la costruzione di una nuova campagna volta specificamente a spostare risorse dal settore militare a quello civile, incentrata sulla conquista del diritto dei cittadini alla scelta fiscale tra le due forme di difesa. Così come i giovani possono scegliere se difendere la Patria in armi o disarmati, anche i cittadini contribuenti devono poter decidere se finanaziare la difesa militare o quella civile. A mio avviso, il tema della costruzione di una campagna in questo senso – che mentre si impegna per l’obiettivo principale, avrebbe l’effetto di allargare la consapevolezza culturale sulla difesa nonviolenta – deve diventare tema centrale del Congresso di Torino, per deciderne le modalità possibili (proposta di legge di iniziativa popolare? campagna di disobbedienza civile? altro?), i tempi di lancio (25 aprile/Arena di pace? 2 giugno/festa della Repubblica che ripudia la guerra?) e le alleanze che – per essere efficace tanto sul piano politico che culturale – dovrebbero vedere la collaborazione sia dell’area disarmista quanto dell’area del servizio civile, tra le quali il Movimento Nonviolento potrebbe svolgere una essenziale funzione di cerniera. Dalla partecipazione alla reti alle proposte di legge Inoltre, pur nella situazione politica generale di stallo della democrazia, con un pessimo e instabile governo delle “larghe intese”, ci sono iniziative parlamentari che devono essere seguite con attenzione. Una di queste è la costituzione dell'”intergruppo parlamentare per la pace” – la cui nascita abbiamo salutato con interesse – di cui è coordinatore il deputato indipendente di SEL Giulio Marcon. Questo può essere un importante punto di riferimento per la presentazione di progetti di legge su temi sui quali abbiamo lavorato in questi anni, all’interno delle diverse Reti. In particolare, la Rete IPRI-Corpi Civili di Pace e il Coordinamento italiano per una cultura di pace e nonviolenza. In entrambi i casi, credo che bisognerebbe concentrate gli forzi per costruire due proposte di leggi specifiche, una volta a istituire i Corpi Civili di Pace, anche in collegamento con il Servizio Civile Nazionale e la sua funzione di difesa della Patria; l’altra un percorso formativo obbligatorio per gli insegnanti sul tema della formazione alla nonviolenza, per introdurre percorsi educativi all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, capaci di orientarne sia la didattica che i contesti relazionali. Come avvenuto recentemente in Francia, con la riforma del sistema scolastico, proprio grazie all’impegno del Coordinamento francese. Nell’impazzimento del sistema politico italiano, non è escluso che si manifesti, prima o poi, un varco per “portare a casa” questi risultati. Meglio essere pronti. Infine/intanto Infine, le cose da dire e sulle quali impegnare i lavori del Congresso sarebbero naturalmente ancora molte altre, a partire dalla drammatica situazione internazionale che – dopo aver troppo presto visto spegnersi gli entusiasmi per le “primavere arabe” – oggi ci riconsegna un Mediterraneo in fiamme, dalla Libia, alla Siria, all’Egitto, al Libanio (oltre naturalmente alla Palestina). E contemporaneamente vede i paesi occidentali, compresa l’Italia, impotenti sul piano politico, ma molto attivi sul piano del commercio delle armi, che vanno ad alimentare i massacri. Salvo ricorrere al mezzo della guerra, anche preventiva, per posizionarsi negli scacchieri internazionali, come accade ancora con l’occupazione militare dell’Afghanistan anche da parte delle truppe italiane. Personalmente non ho le parole giuste per entrare nel merito di ciascuno di questi conflitti nè penso sia nostro compito scegliere le parti per le quali parteggiare – tra dittatori di lungo corso, militari golpisti e fondamentalisti religiosi – laddove la verità è sempre la prima vittima delle guerre e le responsabilità tra oppressori e oppressi non sono separabili con l’accetta. Se non dalla parte di tutte le vittime, di ogni parte. Intanto, oltre ad aprire “Azione nonviolenta” alle opinioni ed alle proposte di amici della nonviolenza che più direttamente ed attentramente seguono le vicende in corso nei diversi Paesi del Mediterraneo, credo che l’unico contributo politico che, come Movimento Nonviolento, possiamo continuare a dare è quello di operare, bene e con convinzione, per il disarmo e la riduzione delle spese militari globali e nazionali, per il sostegno alle campagne contro il commercio italiano delle armi usate in tutte le guerre vicine e lontane, per la promuozione dei Corpi civili di pace come forze di intervento preventivo nei conflitti invece dell’uso dei bombardieri, per la difesa civile non armata e nonviolenta attraverso la formazione di giovani volontari civili, per sviluppare politiche culturali ed educative fondate sulla nonviolenza, per incalzare i nostri governi ad operarsi per la riforma e il rilancio delle Nazioni Unite e del suo ruolo internazionale, anziché partecipare a criminali campagne militari…Naturalmente non è tutto ciò che può essere fatto, altri faranno di più e di meglio, ma di sicuro è ciò che va nella direzione giusta. * Segretario del Movimento Nonviolento

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