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Recensione libro: “Mamma viene a morire da noi domenica. Eutanasia e nonviolenza”

DiCarlo Bellisai

Giu 23, 2016
Patfoort sardegnaPatfoort sardegna

Alla Comunità La Collina di Serdiana, a pochi chilometri da Cagliari, il 18 giugno si è svolto l’incontro con Pat Patfoort per la presentazione del suo ultimo libro. All’evento, organizzato dal Movimento Nonviolento Sardegna, Africadegna e La Collina. Hanno partecipato circa novanta persone ed il successivo confronto è stato vibrante e interessante.

Qui di seguito la mia presentazione esposta alla Collina.

Conobbi Pat nei primi anni 90 ed è stato uno degli incontri determinanti nella mia vita. Negli anni successivi avrei contribuito a farla conoscere in Sardegna in un periodo in cui i seminari si facevano anche in casa, se aveva un salone abbastanza grande per venti persone. In quegli stessi anni ho conosciuto anche Giovanna, la madre di Pat, persona di notevole spirito e cultura, che ospitammo nella nostra casa alcune volte. Pat in quel periodo la portava con sé durante i suoi seminari. La ricordo ancora mentre leggeva al sole sul prato. Ma anche sulla finestra della sua casa sul Mare del Nord.

Pat mi ha insegnato il suo metodo e soprattutto la sua applicazione nella vita quotidiana, cioè in tutte quelle occasioni conflittuali in cui ci possiamo venire a trovare, in famiglia, sul lavoro, nelle associazioni, nell’impegno pubblico. Non esiste un campo meno importante di un altro: la nonviolenza è una pratica vitale.

Forse anche perché consapevole di questo, ho accolto con grande interesse la traduzione e la stampa in italiano del suo libro: “Mamma viene a morire da noi domenica”(Infinito Edizioni). Per una volta non si trattava di un manuale né di un libro divulgativo sul Metodo dell’Equivalenza, ma di qualcosa di più personale ed autobiografico. Non che questo fosse una novità assoluta: chi conosce Pat sa che da sempre, nei suoi libri, ma ancor più nei suoi seminari e corsi di formazione, utilizza molti esempi concreti tratti dalla sua vita privata, mettendosi in gioco in prima persona. Ma nel caso di questo libro, realizzato sotto forma di diario, tutto l’impianto dell’opera tocca le corde del vissuto, dal quale parte e al quale continuamente torna, pur inframezzandolo con quelle riflessioni sulla vita, sulle emozioni, sull’equilibrio e sulla nonviolenza che ne caratterizzano gli aspetti pedagogici. Perché si può imparare tanto e soprattutto dalle situazioni controverse e drammatiche.

Una delle parole chiave fondamentali che ho colto dalla lettura del libro è la sincerità: ogni pagina, ogni giornata si traduce in un continuo dialogo con se stessa, svelando spesso piccoli e grandi conflitti (sociali interpersonali o interiori) coi quali si confronta, utilizzando per orientarsi la bussola della nonviolenza. Fin dall’introduzione ci avverte: “per me era importante essere più sincera possibile in questo libro, anche per quello che concerne i sentimenti o le azioni che possono sembrare meno “eroiche”, di cui spesso ci vergogniamo, che preferiremmo nascondere, che abbiamo paura siano male interpretate. (…) La sincerità su quello che riguarda i nostri piccoli lati “meno belli” aiuta anche gli altri: se ci si riconoscono tirano un sospiro di sollievo perché scoprono di non essere i soli ad avere i loro sentimenti “strani” o “sconvenienti”. Questo aiuta a non considerarsi più come sbagliati o cattivi Accettiamo di avere sentimenti o pensieri senza associarvi qualcosa di negativo”. E in effetti tutto il libro trasuda di profonda, talvolta perfino difficile, sincerità.

Una seconda parola chiave per me importante è quella del rispetto. Questo, per realizzarsi, necessita di un ascolto attivo e profondo dell’altro, dei suoi bisogni, dei suoi desideri. Il rispetto contempla tutto: dalle cose che possono apparire più piccole e “insignificanti” (che spesso così vengono ignorate e sminuite) a quelle più visibili e “importanti”. Ad esempio, quando cita l’equivoco dei piatti da lavare fra la madre e le sue amiche : “Questa storia dei piatti è importante perché spiega come coloro che vivono accanto a una persona anziana farebbero bene ad ascoltarla, senza imporle le loro idee, se vogliono rispettarla e farle piacere.” Oppure quando parla dei continui conflitti fra la madre e il personale della casa di cura: “non è piacevole andare a lamentarsi con il personale. Dovrebbe essere più rispettato. Che cosa succederà se la mamma continuerà a comunicare con lo schema Maggiore-minore? Che cosa è realmente accaduto quando lei racconta di nuovo una storia?”

Ma anche quando cita gli episodi in cui il personale la costringe ad alzarsi, o butta via un oggetto per lei importante, come il bastoncino per grattarsi la schiena, palesando scarso ascolto e rispetto.

Una terza parola chiave del libro è, secondo il mio parere, l’equilibrio. Pat parla spesso di equilibrio in queste pagine, in particolare tutte le volte che si sofferma ad esaminare i bisogni della mamma ed i propri bisogni. “Il problema è che ci sono tante cose di cui ha bisogno per sentirsi bene, che prima faceva da sola, ma che ora non può fare. E nessuno può fare tutto questo al suo posto senza far danno a se stesso. Ha talmente bisogno che se qualcuno volesse cercare di soddisfare tutto, finirebbe distrutto”.

Quello che si può fare di positivo per la mamma è relativo: non potremmo mai offrirle la vita che desidera. Continuerebbe sempre a lamentarsi, a essere scontenta, a rimproverare, non sarebbe mai felice neanche grazie al nostro sacrificio”.

Pat ci avverte che “collaborare alla morte di una persona amata è un compito pesante”. Per la madre anziana, immobilizzata a letto, ormai cieca e quasi del tutto sorda “rimanere in vita è molto peggio che morire”.

Una persona imprigionata in un corpo torturato che attende con impazienza la morte: possiamo costringerla a rimanere in vita contro la sua volontà? No! In nome di quale principio, un avversario dell’eutanasia potrebbe conciliare questo con il concetto di rispetto? Mi sono presa cura di lei per tutta la mia vita. Sento che aiutarla nell’eutanasia è una continuazione. Negarle l’eutanasia è per me il contrario di darle buone cure .”

Semplicemente Pat Patfoort , attraverso il concetto di equilibrio applicato a se stessa e alla realtà difficile del fine vita della madre, riesce a gestire, con l’aiuto di familiari e amici ed il supporto di alcuni medici e infermieri, questa sofferta transizione fra una vita divenuta insopportabile ed una morte agognata. Lo fa cercando di mantenersi in un rapporto di equivalenza: rispettando i bisogni, i desideri, i valori di tutti, non esclusi i propri. Dimostrando alla fine, pur fra tante difficoltà, dubbi e interrogativi, come “l’eutanasia di una persona cara possa comunque sfociare in un’esperienza magnifica, profonda e preziosa per tutte le persone coinvolte. L’apoteosi di questa storia è diventata una celebrazione dell’amore, del calore umano, dell’affetto, della solidarietà, dell’armonia e della dignità”.

In Belgio, così come in altri paesi, esiste una legge che regola l’eutanasia. In Italia non viene nemmeno discussa. La speranza è che questo libro contribuisca a mostrare il rapporto con la morte e con la scelta di morire sotto una luce diversa.

Perché “essere sinceri richiede coraggio. Non facendolo s’impongono cose terribili agli altri, per loro e anche per noi. Osare guardare le cose in faccia, essere sinceri: anche questa è nonviolenza.”

Carlo Bellisai

Di Carlo Bellisai

Sono nato e vivo in Sardegna. Mi occupo dai primi anni Novanta di nonviolenza, insegno alla scuola primaria, scrivo poesie e racconti per bambini e raccolgo storie d’anziani. Sono fra i promotori delle attività della Casa per la pace di Ghilarza e del Movimento Nonviolento Sardegna.

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