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#Tunisi: Brevi Estratti dal Forum Sociale Mondiale

Diadmin

Apr 10, 2015

Il lago di pioggia salata e battente che inondava le strade di Tunisi non dava tregua alle file di auto perennemente ingorgate a causa delle rotonde, la cui precedenza non è stata spiegata agli automobilisti tunisini. Comunque, nonostante le difficoltà, troviamo il museo del Bardo, dopo un paio di kilometri, lo raggiungiamo a piedi sotto la pioggia torrenziale. Come noi molti altri partecipanti al Forum Sociale Mondiale di Tunisi, decimati dal diluvio, anche le guardie armate davanti al palazzo del governo sono fradicie e si lascianao fotografare dalle altermondiste gocciolanti. E’ già buio quando prendiamo la strada per l’albergo. Ma prima incontriamo ancora due ore di ingorgo senza soluzione. Riesco finalmente a sgusciare tra le auto e il marciapiede, infilandomi nella rampa che mi porta ad una tangenziale meno trafficata, che ci condurrà all’albergo. Con il riscaldamento al massimo tentiamo di asciugarci mentre il cielo spiove appena.

Una vera e propria fiera dell’esigenza di cambiare le cose per migliorarle, e le cause e le coscienze, un Forum che viene da lontano, l’idea nacque nella Selva Lacandona, dove: Per la prima volta nella storia dell’umanità un gruppo ribelle fu in grado di convocare intellettuali, attivisti sociali, sindacalisti e cittadini provenienti dai cinque continenti per discutere di un progetto per costruire un mondo diverso. El Primer Encuentro Intercontinental por la Humanidad y contra el Neoliberalismo, tenutosi in Chiapas, Mexico, nell’estate del 1996, è stato il primo spazio reale per costruire un’identità collettiva comune e in cui riconoscere identità diverse. In un processo simultaneo di affermazione e di dissolvenza, per riqualificarsi come esseri umani. Infatti il ​​significato più profondo del discorso di benvenuto letto ad Oventik dalla Maggiore Ana María, conteneva una trasgressiva proposta alle identità isolate per convertirle all’accesso di uno spazio comune fatto di solidarietà, ribellione e creatività.

L’incontro costituì un momento fondamentale di sovrapposizione tra due epoche, tra due proposte di civiltà, tra due mondi possibili. A partire da questo riconoscimento, le linee comunicative non erano più così marcate da lingua, abitudini o tradizioni. L’universalità raggiunta dalla chiamata zapatista rivela la nuova dimensione del dominio capitalista e la radicalità della lotta contro il neoliberismo. La decisione di mantenere i collegamenti transidentitari per creare, rafforzare e moltiplicare le reti di insubordinazione e disobbedienza civile, a cominciare dalla ribellione indigena zapatista che raccolse un consenso assoluto con il discorso di chiusura letto il 3 agosto dal Subcomandante Marcos in una cerimonia gigantesca. La chiusura dell’incontro è stato l’inizio di un processo di confluenza intercontinentale alla ricerca della dignità umana, un processo che per sua natura è collettivo e libertario.

Un processo approdato in seguito sulle rive del Rio Grande do Sul, dove anche Giuseppe Garibaldi aveva combattuto per la repubblica RioGrandense.

In aperta rivolta contro l’Impero brasiliano già dal 1834. Il 20 settembre 1835 iniziò la rivoluzione Farrapos che condusse la provincia a costituirsi in Stato indipendente. Proclamata poi Repubblica RioGrandense da Antônio de Sousa Netto.

Il primo FSM si svolse dal 25 al 30 gennaio 2001 a Porto Alegre, Brasile, organizzato da molti gruppi coinvolti nei movimenti di alternativa alla globalizzazione, tra cui l’Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e per l’aiuto ai cittadini. Il FSM venne sponsorizzato in parte dal governo di Porto Alegre, guidato dal Partito Brasiliano dei Lavoratori (PT). La città stava sperimentando un innovativo modello di governo locale, che combinava le tradizionali rappresentanze istituzionali con la partecipazione popolare ad assemblee aperte. 12.000 persone provenienti da tutto il mondo parteciparono alla prima edizione. In quel periodo il Brasile si trovava in un momento di trasformazione che avrebbe successivamente portato alla vittoria elettorale del candidato del PT Luiz Inácio Lula da Silva.

Il giorno seguente, pare che il cielo voglia essere clemente, decido di entrare in una sala dove si parla di Ferguson Usa e di Palestina. Le denunce e le sofferenze sono tante, capelli ormai bianchi ancora perseverano nel divulgarle; … gli addestramenti armati con le pantere nere negli anni sessanta e settanta, l’onda lunga della Great Society di Kennedy, dei compagni e della lotta di classe. I due relatori, Audrey e Robert credono intensamente nella rivoluzione comunista americana. Io no. Ma come si fa? Che fatica! Audrey racconta di essere stata per diversi anni impegnata in Palestina, se non altro perché è ebrea. Afferma che la maggior parte delle tecniche di tortura, sono state sperimentate dagli israeliani sulla pelle dei palestinesi, poi esportate dal grande fratello ad Abu Graib e Guantanamo.

L’appassionato intervento di una giovane donna nordafricana che vuole essere comunista e crede di averne diritto, se non altro perché il comunismo è antagonista dell’imperialismo, scatena un applauso scrosciante. Uno scrittore algerino dichiara di perseguire la democrazia per il suo paese. Mi alzo anch’io: Ladies and gentleman we cannot change the world. Mi guardano tutti come se volessero lapidarmi. Insomma quello che possiamo fare è ampliare la consapevolezza del mondo che ci circonda e nel quale viviamo, un mondo centrato sul profitto e non certo sull’uomo! La balcanizzazione del medio oriente, serve gli interessi di Israele, circondato da stati arabi troppo forti, estesi territorialmente e abbondantemente popolati. Una frammentazione di questi renderebbe Israele più sicuro e gli permetterebbe di espandere le sue frontiere, per altro mai dichiarate.

Gli ebrei sionisti, insieme ai cristiano sionisti statunitensi, quelli si che stanno cambiando il mondo a loro piacimento, altro che rivoluzione comunista in Usa! Tuttavia, un californiano, capelli neri, si volta verso di me e dice: The world it’s fucked. In Los Angeles police kills blacks every days. It’s time for revolution! We don’t give a shit to doubts!

Hanno ragione, l’aggressione dell’imperialismo assassino, ai negri e ai poveri, ai senzatetto e ai disoccupati è sempre più pesante negli Stati Uniti. L’America, è diventata un posto pericoloso, non che non lo fosse anche negli anni sessanta, ma allora almeno c’era la musica, la letteratura, la poesia … e oggi? L’onda lunga della grande società immaginata dai Roosvelt e dai Kennedy è ormai lontana, ma non estinta, proprio grazie agli altermondisti. Ma credete davvero che in america la risposta possa essere la rivoluzione comunista? Mah, sono veramente addolorato per gli americani, li ho sempre amati e imitati, oggi devo dire che mi spaventano, non i comunisti, ovviamente, di cui condivido le linee guida, ma gli amministratori.

Il Forum, più che mondiale, sembra essere africano, la stragrande maggioranza sono giovani e giovanissimi, anche vecchi, donne e uomini, africani da tutte le latitudini, ognuno con le proprie istanze. Un continente in subbuglio, non più solo piagato da guerre e carestie, ma anche urbanizzato, informatizzato, emancipato, democratizzato, in qualche modo votato ad una continua crescita. Alcune ragazze, portano il velo all’iraniana, ma poi hanno la foto di Che Guevara sulla borsetta, oppure quella di Mikey mouse sul trolley rosa. I volontari con la pettorina blu sono dovunque, tutti gentilissimi, parlano le lingue e si spendono aiutando tutti a trovare risposte, indirizzi, sale, aule, tende e quant’altro.

tunisi 2Oggi è il giorno del laboratorio sui CCP, fuori piove. Un’occasione per nuovi inizi e nuove relazioni.

Carla ha invitato un attivista palestinese dei Comitati di Resistenza Nonviolenta, viene da Bil’in si chiama Muhammed. Spiega alla dozzina di studenti tunisini l’esperienza della nonviolenza … a quanto pare alcuni di loro sono scettici, considerano la nonviolenza un metodo romantico e inefficace. Ma evidentemente non conoscono le realtà dell’occupazione nei territori occupati. Ma noi sappiamo che la strategia nonviolenta è stata capace di acquisire piccoli e grandi successi. Luisa Morgantini, Carla e Martina spiegano di cosa si tratta. Mentre Muhammed sottolinea l’importanza della creatività nell’azione diretta nonviolenta, e cerca di far capire che è molto meglio del lancio dei sassi. Carla infine spiega che la nonviolenza sottrae il nemico all’occupante, il quale si ritrova quantomeno spiazzato di fronte alle mani alzate e alla fermezza delle richieste perpetuate ogni venerdì.

Due informatici inviati dall’organizzazione del Forum sono venuti per mandare il dibattito in streming. Muhammed spiega ai presenti, che per i palestinesi la resistenza è un dovere che non ha alternative, nonostante i rischi. Perché gli insediamenti sono come un lento Tsunami che centimetro dopo centimetro si accaparra la terra, insiste: non abbiamo le leggi internazionali a difenderci, ne tantomeno i vicini arabi hanno intenzione di aiutarci a liberare il nostro paese …. La situazione del pubblico è fluida, lo scettico se ne va, ma arriva subito dopo un uomo del Benin, dice di averci visto in streming ed è venuto ad assistere, a patto però che i nostri Corpi Civili di Pace non siano come quelli americani, con i quali ha già avuto a che fare, evidentemente senza soddisfazione.tunisi 3

Leo Gabriel, membro del consiglio internazionale del FSM, presiede l’incontro sulla Syria. Sono quattro i grandi temi che veicolano gl’incontri della 13a edizione del forum tunisino: L’Ecologia, il Razzismo, la Decostruzione del capitalismo e l’Antimilitarismo. Un anno dopo l’11 settembre il grande tema era già la guerra. Oggi la guerra occupa ancora le nostre preoccupazioni principali, con il conflitto in Siria. Noi crediamo che in Siria non ci possa essere una soluzione militare, ma solo politica. In questa conferenza sono rappresentate tutte le parti che si oppongono al regime siriano. Oggi il regime non è disposto ad affrontare le riforme, il regime non ha intenzione di trovare una via per la pace politica in Siria. Nessuna soluzione democratica può essere accettata da Assad, se non una restaurazione del suo potere. Quindi bisogna agire subito, creare connessioni politiche, tra i siriani che vivono in Siria e i milioni di rifugiati oltre confine.

Prima dell’invasione americana dell’Iraq, in molti scesero in piazza per protestare (ricordate la manifestazione globale contro la guerra in Iraq, a cui parteciparono oltre 3 milioni di persone nel mondo?). Purtroppo per il bagno di sangue siriano, nessuno ha protestato. Oggi la pace in Siria non è più una scelta del solo popolo siriano. Le potenze straniere strumentalizzano a loro favore il bisogno di democrazia espresso dalla gente. Mezzo milione di morti e mezzo milione di scomparsi, questi sono i numeri della catastrofe siriana. Continueremo a lottare finchè non costringeremo Assad ad adeguarsi alle richieste del popolo siriano. Abbiamo due nemici contro cui combattere, il potere militare e quello politico, e comunque entrambi hanno al loro interno molti diversi punti di vista. Tutte queste diverse forze che si affrontano e interagiscono tra di loro hanno creato una sorta di stallo dal quale sembra che il conflitto non riesca ad uscire. Noi non abbiamo alternative a trovare una pace possibile, ma ciascuna delle parti dovrebbe ammettere la sconfitta, solo allora potremo avere un’iniziativa di Stato indipendente e non influenzabile dalle potenze straniere.

Dopo quattro anni di guerra queste potenze straniere non hanno più interesse in una Siria democratica, ma solo in una Siria stabile, alla quale potrebbe essere funzionale anche Assad, il loro vecchio nemico. I kurdi, riferisce il poeta e scrittore che partecipa alla riunione, sono neutrali e difendono se stessi contro ogni nemico militare che voglia aggredirli, sia esso dell’opposizione o del governo. Delle tre province siriane due terzi sono popolate da kurdi, mentre il terzo restante è abitato da popolazioni multietniche e multireligiose.

Noi crediamo che ogni regime che voglia governare con la religione finirà per cadere, pensiamo invece che la Siria debba essere governata democraticamente, nel rispetto dei diritti umani, da governi locali. Purtuttavia, non dobbiamo lasciarci influenzare dagli attori stranieri, coloro che dopo quattro anni di guerra non sono stati capaci di facilitare alcun tipo di pacificazione, essi hanno solo peggiorato la situazione e contribuito a distruggere il nostro paese. Una soluzione possibile per la Siria accoglierà le istanze della popolazione siriana, ignorando gli interessi degli attori internazionali, accelerando e facilitando una soluzione politica interna e indipendente. I relatori hanno parlato anche di altre cose, tutte giuste e ragionevoli, purtroppo, in quell’aula era rappresentata meno del 5% della Siria politica, e non credo ci fossero ne combattenti, ne residenti in Siria, ad esclusione, forse, del poeta kurdo.

Dopo l’ennesimo nubifragio di questa notte, oggi è il vento che tiene banco. Spinge le nuvole scure e pesanti, apre varchi azzurrissimi sopra il mare, imbianca le nubi e regna indisturbato per tutto il cielo. Improvvise e violente cadono le piogge, seguite subito da raggi abbaglianti di sole estivo. Pioggia, nubi e cielo azzurro si rincorrono senza tregua, noi, ancora fradici e poi di nuovo al sole. Intanto il vento schiaffeggia le innumerevoli tende delle organizzazioni altermondiste, aprendo squarci nei teloni, ribaltando seggiole e spalmando rifiuti cartacei e platiscame vario un pò dappertutto.

tunisi 4Il nostro laboratorio di oggi lo abbiamo dedicato alla restaurazione e al rafforzamento dei Comitati Popolari per la Lotta Nonviolenta in Palestina. Partecipano Muhammed del Popular Struggle di Bil’in, Luca Gervasoni di Nova, Luisa morgantini di Assopace etc …, Martina Pignatti di Un Ponte per… e ICP, oltre a me e Carla della rete CCP. Inizia Muhammed spiegando le problematiche del Popular Struggle e anche le strategie future già in cantiere. Gli obiettivi sensibili degli israeliani, sono le colonie, le strade e il muro, resistere significa anche affrontare questi obiettivi chiave, cercando location per il confronto che siano sul confine della zona C, in modo da potersi ritirare in fretta all’interno delle zone governate dai palestinesi.

Carla propone di cambiare il sistema di informare, invece di limitarsi a dare notizie sulle azioni dirette nonviolente del venerdì, passare a fare vere e proprie campagne per sostenere il Popular Struggle. Luca Gervasoni propone di promuovere il Popular Struggle sostenendo le difese legali che la resistenza nonviolenta affronta ogni giorno. Muhammed parla di lavorare per ottenere una maggiore partecipazione sul campo, anche femminile, e illustra altre modalità di azione al di fuori del Popular Struggle, come ad esempio la costruzione di insediamenti volanti in posizioni strategiche.

Riguardo ai finanziamenti, Muhammed spiega che loro preferirebbero non avere a che fare con i soldi, sarebbe meglio che i finanziatori offrissero servizi, come ad esempio un giornalista professionista che li segue per tutto il tempo ma che sia anche capace di interagire con i giornale e i media in modo efficace. E’ anche importantissimo sostenere le azioni legali, che sono sempre molto costose. Luca propone di collegare insieme il Popular Struggle e il BDS, in Spagna potrebbe avere successo, ma sarebbe meglio che i palestinesi fossero gli autori della comunione d’intenti. Il BDS agisce molto all’estero dove dopo dieci anni ha collezionato grandi successi, mentre i nonviolenti del Popular Struggle sono sul campo con i loro corpi ogni giorno e la resistenza agita in Palestina è molto più rischiosa e soprattutto sconosciuta, avrebbe bisogno di essere sostenuta e divulgata.

Martina propone di approcciare le ricche fondazioni progressiste che già operano aiutando il BDS e altri attori in Palestina, ma ci sarebbe bisogno di una ONG capace di approcciarli in modo corretto. Infine una ragazza tunisina in rappresentanza dell’Unione degli Studenti Tunisini, spiega che le problematiche palestinesi sono molto complesse e non basta che un’azione sia efficace, deve anche essere capace di creare speranza, suggerisce che la lotta debba essere globalizzata, incisiva e molto partecipata.

L’indomani, ci sediamo alla riunione interparlamentare organizzata da Luisa Morgantini, con la presenza di alcuni rappresentanti dell’intergruppo per la pace in Palestina del Parlamento Italiano, ma ci sono anche membri del parlamento algerino, tra i palestinesi il Ministro per i rifugiati Salha Salha, e l’israeliano Michael Warchanski direttore e fondatore dell’Alternative Information Centre. Warchanski apre il dibattito ringraziando, ironicamente, la classe politica israeliana per la brutalità dell’occupazione che ha permesso alla campagna BDS di svilupparsi molto velocemente e con grande successo. Nel suo decimo anno, in tutti i paesi d’Europa la maggioranza parlamentare è nettamente critica verso l’occupazione israeliana. La questione palestinese concerne anche tutti i paesi arabi, ed è scandaloso che la campagna BDS sia riuscita a cambiare la politica di molti paesi europei verso Israele, mentre nei paesi arabi continui imperterrita la cosiddetta normalizzazione dei rapporti con Israele. Businnes as usual must go on.fsm tunisi

Luisa Morgantini sottolinea che la campagna BDS è molto conosciuta all’estero, ma nulla si sa della resistenza nonviolenta nei villaggi della West Bank, dove ogni venerdì prendono forma azioni dirette nonviolente contro il muro di separazione, con conseguenti arresti ingiustificati, raids notturni in cerca di minori terrorizzati eccetera. Uno dei deputati algerini afferma che il popolo palestinese è l’unico al mondo cha ha bisogno di un permesso per rientrare nel proprio paese.

Muhammed sottolinea che il tempo non gioca a nostro favore, ogni giorno nasce un nuovo insediamento e una nuova famiglia di coloni va ad abitare sulla nostra terra. Aggiunge che la colonizzazione è molto veloce, come un gioco elettronico, il panorama intorno alle nostre case cambia quotidianamente, se non resistiamo, ogni cosa diventa inutile, la comunità internazionale ignora le violazioni della legge internazionale da parte di Israele, e i nostri vicini arabi non verranno mai a liberarci. Noi possiamo solo resistere, nonostante gli arresti, le botte e gli spari su di noi, sulle nostre mogli e sui nostri figli, lo facciamo perché anche noi vogliamo vivere come qualunque altro essere umano al mondo, anche noi vogliamo poter andare al mare, vederlo e sapere com’è fatto.

Luisa chiude la riunione ricordando Marwan Barghouti, riconosciuto come leader da tutte le fazioni palestinesi, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza dal 2002, insieme a 6.000 prigionieri politici. Un problema che i parlamentari dovrebbero affrontare politicamente nei loro paesi d’origine.

Rappresentanti della Coalizione della Freedom Flotilla Coalition (FFC) e organizzazioni partner si sono recati a Tunisi la scorsa settimana per partecipare al World Social Forum, dove hanno incontrato numerose organizzazioni di base tunisine e palestinesi. I rappresentanti della FFC sono stati anche ricevuti da Dr. Moncef Marzouki, ex presidente della Tunisia e rinomato difensore dei diritti umani. Durante l’incontro, il Dr. Marzouki ha espresso il proprio completo sostegno alla FFC ed ha confermato la sua presenza a bordo delle navi della Freedom Flotilla III.

Naturalmente quelle da me esposte sono solo briciole della grande discussione mondiale che racchiude i problemi dell’umanità, che gli uomini da tutto il mondo cercano di elaborare con idee e riflessioni che possano sfociare in soluzioni possibili e compatibili con gli uomini e la terra su cui vivono.

Resta la questione del non poter cambiare il mondo, è diventata per me come un tarlo, ma forse è una questione centrale anche per il Forum, in fondo sono spuntati capelli bianchi sulle teste di molti, ma il mondo non solo non è cambiato, ma penso che si possa dire che sia notevolmente peggiorato rispetto al passato. Oggi gli Usa armano milizie che oltre a compiere atrocità distruggono i patrimoni culturali e monumentali dei paesi che invadono, basti ricordare che durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, erano attenti ai monumenti storici, delle città europee invase dai nazifascisti. Anche per questo l’America mi inquieta con una paura sorda. Per non parlare di quelle stesse milizie che decapitano cristiani e rapiscono fanciulle islamiche per impedir loro di studiare.

Insomma un mondo dove la pace e la buona volontà altermondialista non hanno veramente attecchito, se non nelle coscienze di ognuno di noi. Allora come diceva la rappresentante degli studenti tunisini, occorre reinventare modalità di azioni partecipate globalmente e capaci di creare speranza.

Troverete sul sito reteccp.org un sommario dedicato Tunisi Social Forum; con gli interventi di Alexiss Tsipras, Vittorio Agnoletto e del Cospe che ho ricevuto già impaginati per posta.

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