• 19 Aprile 2024 9:15

Basta guerre

DiDaniele Lugli

Feb 20, 2023

Edgar Morin, a 102 anni, ci regala “Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa”. È come se un solo conflitto ci accompagnasse sempre, pur nella varietà di forme che assume. Sembriamo “ignorare che nel 1945 è iniziata una nuova era con la minaccia di morte per l’umanità, minaccia che è continuamente accresciuta dalla proliferazione delle armi nucleari, dalla loro sofisticazione e dal loro possibile utilizzo qualora l’escalation continui ad aggravare e ad amplificare la Guerra d’Ucraina”. Sessanta anni fa un Papa lo dice in un latinorum facile da capire: alienum a ratione bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda, bisogna essere fuori di testa per credere che la guerra possa, in questo tempo, risarcire diritti violati. Oggi ancor meno.

Così Morin ripercorre le guerre, conosciute nella sua vita, in chiave critica e autocritica. Il Papa attuale parla di una guerra mondiale, combattuta a pezzi. Nella ricostruzione di Edgar Morin i conflitti sono tessere di uno spaventoso mosaico che si compone sotto i nostri occhi. Conclude, dopo aver tentato di delineare un processo di pace, che questo non è solo necessario, ma massimamente urgente. “L’Urgenza è grande: questa guerra provoca una crisi considerevole che aggrava e aggraverà tutte le altre enormi crisi del secolo subite dall’umanità, come la crisi ecologica, la crisi della civiltà, la crisi del pensiero. Che a loro volta aggravano e aggraveranno la crisi e i mali nati da questa guerra. Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente. Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente”.

Il saggio di Morin mi invita a ripercorrere gli stessi anni e le stesse guerre per come li ho sperimentati e per l’idea che di pace e guerra mi sono fatto. Dal grande pensatore mi separano giusto venti anni e un’incommensurabile distanza di pensiero ed esperienza. La differenza d’età ha un peso particolarmente per la guerra mondiale. In un’intervista dice: “Poi nel ’41, avevo vent’anni, quando ci fu l’attacco tedesco contro l’Unione Sovietica entrai nella Resistenza”, Nell’autobiografico “I ricordi mi vengono incontro” cita il 3 settembre 1941, lancio dell’offensiva per prendere Mosca, come decisivo per la scelta. Io nasco in quell’anno, il 1° settembre a mezzogiorno. Un’amica strega mi dice che, tenuto conto del segno e dell’ascendente, posso fare quello che voglio. Il 3 settembre, penso, poppavo e dormivo. Ho già tre anni compiuti invece quando nasce mio fratello e mio padre mi dice solenne “Ora sei grande”. Da allora i miei ricordi ogni tanto mi vengono incontro.

Dalla guerra vengo protetto. Ricordo un rassicurante rifugio scavato dal nonno in cortile, “Ascolta: è Pippo!”, la festa dei bengala, le ragazze che mi tengono in braccio. La cosa peggiore – per anni mi torna all’orecchio – è il grido del maiale scannato nella corte della tenuta dove siamo sfollati. So poi della guerra di Corea. Sono passati 70 anni e siamo ancora al cessate il fuoco e nessuna pace. L’unica cosa che mi lascia è ripercorrere il 38° parallelo e vedere che taglia la punta della Calabria e il nord della Sicilia.

Sono in prima Liceo all’invasione dell’Ungheria. So che non mi piace e acquista concretezza con l’arrivo di un giovane che ha partecipato all’insurrezione. Rimane poi a Ferrara. Penso che guerre giuste ce ne possono essere e chi è dalla parte del giusto va aiutato. Mi piace avere sulla tessera dell’Unione Goliardica Ferrarese, da me con altri fondata, un bollino che attesta il contributo al FLN, il Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Studio quel conflitto, che è in corso, e partecipo a dibattiti e incontri. Così è pure per la guerra nel Vietnam.

Nel ’62 vado a Perugia a incontrare Capitini, Ci torno l’anno successivo. M’impegno, con Piero Pinna e amici, in un’azione per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Per un rifiuto radicale della guerra cioè, come anche la nostra – inattuata – Costituzione prescrive. Così mi sembra essenziale cercare di prevenire le guerre o almeno affrettarne la fine, diminuirne l’ingiustizia e il carico di sofferenza, operare per la riconciliazione, procedere al disarmo, a partire dal nucleare fino alle cosiddette armi leggere. Luigi Lombardi Vallauri offre un suggerimento che trovo utile: non dire guerra ma carneficina di massa. Carneficina di massa santa, carneficina di massa giusta, per i diritti umani, di liberazione, di difesa, chirurgica… suona quasi impronunciabile. Vanno trovate altre forme di lotta per chi sia interessato a libertà, a eguaglianza, a una convivenza accettabile, se non fraterna. Non sarà la maggioranza forse, ma molti ce ne sono e si vedono poco e poco si collegano e organizzano.

Bisogna agire prima, ci ripete Piero Pinna. Quando la guerra è scatenata le manifestazioni, anche imponenti, sono il tentativo di fermare un uragano con un retino per farfalle. Eppure tutto va posto in opera per fermare l’escalation in corso, sia orizzontale (un coinvolgimento sempre più ampio di popolazioni) che verticale (aviazione e minaccia nucleare). ONU e UE debbono ricordare di essere nate per non ripetere le esperienze di guerra e assumere le proprie responsabilità. Le occasioni mancate, anche in questa vicenda, sono tante. Non sto a enumerarle. Non ci dà molta speranza Luigi Einaudi: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile”. Cerchiamo di produrre l’insolito, che poteva e doveva essere prodotto prima.

Silvio Pons, uno storico, docente alla Normale di Pisa, su l’Unità il 3 marzo 2014 (il giornale è prossimo alla prima chiusura che diviene poi definitiva) lancia un allarme. “Un grave rischio per l’Europa La crisi in Ucraina era ampiamente annunciata da molto tempo. Non da mesi ma da anni. Le sue radici stanno nella dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991… Tutti gli attori internazionali ne portano la responsabilità. L’Unione Europea è sempre un facile bersaglio quando si parla di politica estera, ma in questo caso la sua mancanza di preveggenza ha del clamoroso”. Le parole conclusive sono chiare e preveggenti “siamo dinanzi a un conflitto difficile da contenere e imprevedibile nei suoi esiti. Se non sarà scongiurato nelle prossime ore, il conflitto armato potenzialmente più disastroso che si sia visto in Europa dalla seconda guerra mondiale a oggi”. Troppo fragili risultano gli accordi, peraltro non rispettati, di Minsk.

C’è un messaggio che Alex Langer ci ha lasciato ponendo termine alla sua vita, “continuare in ciò che era giusto”. Tra le cose certamente giuste è la proposta di un Corpo civile di pace europeo. Il Parlamento l’approva nel maggio del ’95, lo ribadisce con una risoluzione del 2001. Positivi studi di fattibilità sono compiuti dal Parlamento e dalla Commissione, 2004 e 2005. Nel marzo del 2021 nasce lo Strumento di pace europeo – così indicato nella traduzione italiana – per preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale. Niente a che vedere con il dimenticato Corpo civile. È l’EPF (European Peace Facility) che il 2 dicembre 2021 equipaggia le forze armate ucraine e il 28 febbraio 2022, a ostilità avviate, fornisce “attrezzature e piattaforme militari destinate a fornire forza letale”. Forse, come è stato detto, potrebbe chiamarsi appropriatamente EWF (European War Facility). Un segno positivo sarebbe certamente istituire finalmente il Corpo civile di pace, ma non è all’orine del giorno di nessuna istituzione dell’Unione Europea. Un compito che possiamo proporci è che ritorni all’attenzione.

Preziosa è la presenza di donne e uomini che nei paesi più coinvolti – a partire da Russia e Ucraina, dove più difficile è agire – si oppongono alla guerra. Importante il dialogo, che si intreccia tra i movimenti russo, ucraino e bielorusso. Il Movimento Nonviolento lo agevola come può e lo propone per una più ampia interlocuzione a quanti, nel nostro paese e non solo, a questa guerra – a tutte le guerre – si oppongono. Fare conoscere e dialogare con queste realtà è già cosa buona. Dal basso, è già successo, sono venute iniziative utili alla pace. Così è stato possibile invitare e ospitare in Italia tre attiviste nonviolente, per un progetto comune di pace, dal 20 al 26 febbraio. Partecipano alle iniziative di mobilitazione, contro l’aggressione e la guerra – a Fiumicino, Roma, Modena, Modena, Ferrara, Verona, Milano, Brescia – Kateryna Lanko, ucraina (Movimento Pacifista Ucraino, con il quale da tempo sono stretti contatti), Darya Berg, russa (Passa per la foresta, contro la mobilitazione per la guerra), Olga Karach, bielorussa (La nostra casa, nata per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini, ora impegnata anche contro la guerra in generale). Mi viene da ripetere una considerazione sempre di Langer. Le iniziative possono fallire ma vale la pena tentarle. “Un fallimento di un’azione di pace lascia però – credo di poter affermare – meno macerie di un riuscito intervento militare”.

 

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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