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Buon giorno

DiDaniele Lugli

Lug 16, 2017
zavattini

Vengono individuati. Hanno tra i 13 e i 16 anni, la vittima ne ha 14. Scatta la denuncia. Se ne occuperà il tribunale per i minorenni. Una vicenda molto sgradevole, purtroppo non nuova: normale bullismo potremmo dire. Però il Tribunale sarà quello della mia regione, il fatto è avvenuto a Luzzara, gli aggressori sono tutti di origine pakistana, la vittima di origine indiana. Ce n’è abbastanza perché mi interessi saperne di più. Adesso, che so solo questo, alcune cose già mi colpiscono.

Luzzara è speciale per me. È a sette kilometri da Suzzara, dove sono nato, ed è il paese di Zavattini, che cinquant’anni fa ho avuto occasione di conoscere più da vicino e frequentare. Era innamorato del suo paese e della sua gente (delle donne soprattutto, ma non solo). Ha scritto i testi di due libri fotografici a Luzzara dedicati: Un paese (1953), fotografie di Paul Strand e della moglie Hazel Kingsbury Strand e Un paese vent’anni dopo (1973), fotografie di Gianni Berengo Gardin. In primo piano sono le persone, le loro storie, che fanno un paese e la sua storia. Il paese è stato rivisitato da ottimi fotografi, prima di tutti, Luigi Ghirri, accompagnato da Gianni Celati negli anni ’80, poi negli anni ’90 da Stephen Shore, Luzzara, e Olivo Barbieri, 40 anni ma sembra ieri, seguono Marcello Grassi e Fabrizio Orsi, con il commento di Luciano Ligabue, nel 2004, Luzzara. Cinquant’anni e più…ultimo, per ora, Vittore Fossati a Luzzara10 fotografie, nel 2007.

Luzzara e Suzzara, che ho conosciute un tempo, certo non ci sono più o sono irriconoscibili, come il percorso dello Zara (Po vecchio), che ha dato loro il nome. A me verrebbe da ripetere, di fronte a questo episodio, l’attacco di una poesia di Zavattini, Mei tasér: Mei tasér. Véta véta, cus’èla? Meglio tacere. Vita vita, cos’è? Là il silenzio è suggerito per tutt’altre ragioni: per non disturbare un impegnato incontro d’amore in mezzo all’erba. Cesare Zavattini, pessimista, che però se ne dimenticava, si impegnerebbe, credo, a capire il senso della presenza di un’immigrazione al 18% per cento della popolazione. Ne ha invertito il declino demografico. Indiani e pakistani sono di gran lunga i primi. Le loro comunità appaiono in conflitto. Zavattini ne indagherebbe le ragioni e non rimarrebbe in silenzio. Magari ripartirebbe proprio dai bambini.

Zavattini e i bambini: l’improvviso, il sacro e il profano è un libro del 1999, curato da Nicola Siciliani de Cumis, con postfazione, La Za-pedagogia (con rispetto parlando), di Antonio Santoni Rugiu (due notevoli pedagogisti), fatto di domande rivolte ai bambini in primo luogo, ma anche agli adulti e ai vecchi: chi siamo, cosa desideriamo, dove andiamo… Posso sentire la voce di Zavattini che chiede a ciascuno cosa desidera. Gli basterebbe forse il luzzarese (niente italiano, hindi, urdu, arabo, albanese, rumeno: i piccoli imparano in fretta), proprio come pensava in tempo di guerra. “Un film che vorrei fare: Il mio paese… circondato da una cinquantina di bambini ai quali posso dire in dialetto ver la boca de peu ( apri di più la bocca)”.

Zavattini osserva, siamo nel ’56, i bimbi piccoli al lavoro come incisori, riconoscendo le nostre colpe di adulti. Li vede “con le piccole braccia passare il rullo sul linoleum e i muscoli si muovono gentilmente sotto la pelle. Che fiducia nella vita in ogni loro gesto; ma sono così indifesi, perché noi vecchi negli ultimi dieci anni non abbiamo fatto più niente per orientarli a crescere contro di noi. Come lune navigavamo nel cielo lasciandoli soli”. E abbiamo fatto anche peggio di questo negli anni successivi, consegnando loro principalmente i nostri pregiudizi, i nostri odi, le nostre meschinità. Saprebbe anche Zavattini raccontare loro la storia di Asvero, che dipinge “un quadro gremito di papa­veri” sotto gli occhi del nipote. Il loro sguardo, congiunto, lo anima e lo fa interagire con loro, perché neppure i limiti della tela, i margini, i confini sono invalicabili, se adulti e bambini collaborano . Saprebbe raccontare anche ai ragazzini aggressori e vittima, alle loro famiglie, e non solo a loro, la storia, scritta in piena guerra, di Totò il buono. Romanzo per ragazzi (che possono leggere anche i grandi), che ha ispirato il film Miracolo a Milano.

C’è molto lavoro da fare, anche a Luzzara, e farlo tocca a tutti – Zavattini ha fatto la sua parte (e in qualche modo continua) – per avvicinarsi a un paese “dove dire buon giorno vuol dire veramente buon giorno”.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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