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C’era una volta un socialista così

DiDaniele Lugli

Mar 17, 2019

Era uno strano tipo (Prezzolini) ma anche personaggio socratico (Spaini), l’uomo più straordinario e dello spirito più eletto (Salvemini), l’uomo migliore e il più savio e il più giusto, affabile e amabile, delicato e nobile, di generosità spensierata e stupefacente cultura (Chiaromonte), spirito arcangelo, cavaliere errante delle guerre e delle rivoluzioni, umanitario ribelle, raffinato e semplice, poliglotta e colto all’estremo, arguto ed entusiasta (Banfi).

Chi lo ha incontrato ne è rimasto colpito. Credo lo stesso avvenga a chi lo incontra attraverso gli scritti. Meglio ancora se questi sono illustrati ottimamente, come avvenuto a Ferrara il 5 marzo scorso, da Alberto Castelli, docente di storia delle dottrine politiche, che ha presentato “Critica della violenza” di Andrea Caffi, a cura e con postfazione proprio di Alberto Castelli, introduzione di Nicola Chiaromonte.

In tutti i temi di cui si è occupato Caffi ha fornito prospettive feconde. Su due questioni di grande peso Castelli richiama la nostra attenzione: l’interpretazione e la critica della democrazia, e l’uso della violenza con scopi di progresso sociale. Sono temi cari agli amici della nonviolenza, al centro della riflessione di Capitini, specialmente nel postumo scritto “Omnicrazia: il potere di tutti”. Fino ad ora di Caffi avevo letto “Critica della violenza”, proposto credo da Fofi. Dà il nome all’assieme degli scritti, tutti interessanti, dei quali il libro è composto. Di Caffi conoscevo inoltre quanto letto, in anni lontani, su “Tempo presente” e, in tempi più vicini, su “Una Città”. Vorrò leggere ancora sue opere.

Quanto alla democrazia – compresa quella che esportiamo magari con le armi – sembra ridursi a riti elettorali. In situazioni di privilegio è una scelta tra zuppa e pan bagnato, in situazioni più difficili – che si vanno estendendo – tra peste e colera. E ci viene da tenercela cara questa democrazia stante l’orrore della sua alternativa. Il solo modo di difenderla è però farla progredire. Il suo progresso – io come Caffi lo chiamerei socialismo – “non consiste tanto in un determinato assetto politico o economico da porre in essere attraverso l’esercizio del potere, quanto nello sviluppo della socievolezza, dell’umanità e della cultura”. L’ha detto Capitini, “Si è visto che voler fare il socialismo dall’alto conduce all’autoritarismo tirannico”, e prima di lui in tutti i modi Caffi. L’alternativa è da ricercarsi in quello che Caffi indica come “società”, cioè “l’insieme di quei rapporti umani che si possono definire spontanei, e in certo qual modo gratuiti, nel senso che hanno almeno l’apparenza della libertà nella scelta delle relazioni, nella loro durata e nella loro rottura: le pressioni non vi si esercitano che con mezzi ‘morali’, mentre i moventi utilitari sono o realmente subordinati, oppure mascherati dalla politesse, dal piacere che si ha a trovarsi in mezzo ai propri simili, dalla solidarietà affettiva che si stabilisce naturalmente fra i membri di un medesimo gruppo.

Intesa in questo senso, la ‘società’ esclude per principio ogni costrizione, e soprattutto ogni violenza. Apparirà allora chiaro che la forza, la continuità, i successi almeno parziali (giacché le forze oppressive possono certo essere schiaccianti) di un movimento d’emancipazione umana saranno in funzione diretta del grado di sviluppo e di consistenza della ‘società’ mentre nessuna organizzazione armata potrà aumentare le chances, né tanto meno i progressi reali di un tale movimento”.

Già così è evidente l’incoerenza dell’uso della violenza a fini di progresso sociale. Come Capitini sempre ci ricorda, non il fine giustifica i mezzi, ma questi pregiudicano il fine. Non è solo una ripetuta lezione della storia dalla quale come è noto nulla si impara – ma quotidiana esperienza. Inoltre sempre Capitini scriveva “Il rifiuto della guerra è la condizione preliminare per un nuovo orientamento”. E Critica della violenza si apre con il netto rifiuto della guerra e della violenza organizzata: insurrezione armata, guerra civile, guerra internazionale, regime di dittatura e di terrore per “consolidare” l’ordine nuovo. Di tanta consonanza resta solo, a mia conoscenza, una bella lettera, nel dopoguerra, di Caffi a Capitini in risposta a un “amichevole cenno di solidarietà spirituale”. In essa Andrea Caffi aveva letto già nel ’39 “Elementi di un’esperienza religiosa” – scrive di conoscere di Capitini anche l’attività attuale, condotta “con ammirevole tenacia”, per cui “deve essere sostenuto (da tutti i non completamente ciechi) dalla più incondizionata e fattiva simpatia”. Oltre questo non crede di poter andare, per un assieme i ragioni che succintamente espone. In quegli anni si stringerà invece la collaborazione, nell’iniziativa politica, di Aldo Capitini con Nicola Chiaromonte, la persona certamente più vicina ad Andrea Caffi.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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