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Fra Turchia e Rojava, l’illusione di vincere la guerra

DiLorenzo Guadagnucci

Ott 17, 2019

La tragica vicenda della guerra turca ai curdi porta alla ribalta, per l’ennesima volta, nodi irrisolti del nostro tempo legati alla normalità della guerra, all’assuefazione che abbiamo maturato per i conflitti armati, su piccola e su grande scala. L’attacco turco, quasi un genocidio annunciato, è una catastrofe sotto molti punti di vista e mette in luce molte debolezze, molte ambiguità, e soprattutto l’impotenza dei principali strumenti pensati per arrivare a soluzioni pacifiche delle controversie internazionali. La cultura della guerra mostra tutta la sua disperante carica distruttiva, ma appare invincibile, e pochi osano contrastarla davvero.

In Turchia sta morendo un’altra volta l’Onu, impotente a qualsivoglia pressione o soluzione. La Nato, che si pretende alleanza militare in tutela delle democrazie, mostra il suo volto reale di struttura al servizio della ex grande potenza statunitense e di fatto indifferente alle democrazie (e alle vite) degli altri. La Turchia – paese postdemocratico membro della Nato – ha deciso di invadere il Nord della Siria e l’Alleanza militare rinuncia a fermarla, salvo diffondere inutili appelli alla moderazione, fingendo di non sapere che tutte le guerre del XX e del XXI secolo sono principalmente guerre ai civili.

In Turchia muore per l’ennesima volta l’ambizione di vedere sulla scena geopolitica un’Europa liberale e capace di forza pacificatrice. L’Unione assiste all’impresa turca minacciando improbabili tagli alle forniture d’armi (con gli arsenali già pieni) e senza alcuna capacità di intervento diplomatico e intanto osserva inebetita i calciatori turchi che ostentano osceni e provocatori saluti militari nei suoi stadi…

In Turchia sta morendo anche il sogno di proteggere e rafforzare il progetto rivoluzionario del Rojava sulla punta del fucile. La resistenza armata dei curdi è stata sostenuta in modo decisivo dagli Stati Uniti finché c’era un nemico comune da combattere, gli islamisti del Daesh, ma ora è stata cinicamente quanto prevedibilmente abbandonata, e i rapporti di forza, com’è sempre in guerra, tornano a dettare legge. L’esercito turco può schiacciare la resistenza curda, costretta a cercare aiuto militare dall’avversario di sempre, l’uomo forte di Damasco.

L’esperienza del Rojava ha suscitato molte attenzioni e speranze, attirando anche combattenti stranieri, giovani idealisti vogliosi di sostenere il progetto del confederalismo democratico e pronti a battersi contro il Daesh fondamentalista. Alcuni ragazzi sono caduti in una guerra che si è creduto di aver vinto, salvo scoprire che si trattava solo del primo atto di uno spartito più grande. C’è in occidente chi ha usato senza riguardo l’idealismo dei nuovi “internazionalisti” e c’è da chiedersi che cosa potrà restare della rivoluzione del Rojava, sia in caso di sfondamento da parte dei turchi, sia nell’ipotesi che l’arrivo dell’esercito siriano congeli tutto in uno stato di guerra latente e permanente lungo il confine.

Dobbiamo domandarci ancora una volta e con rinnovata forza se può esistere una rivoluzione sociale, la costruzione di una società giusta e libera, che non sia nonviolenta nei mezzi e nei fini, quindi duratura, non assoggettabile a prove di forza militare. Lo scetticismo di sempre lo conosciamo, ma qual è l’alternativa? Quale guerra di resistenza può essere davvero vinta? Quale guerra potrà portare qualcosa di buono, di umano, di giusto?

Lorenzo Guadagnucci

Di Lorenzo Guadagnucci

Faccio il giornalista, sono fra i promotori del Comitato Verità e Giustizia per Genova e del gruppo Giornalisti contro il razzismo. Ho scritto dei libri sul commercio equo e solidale, le forme di altreconomia, sul G8 di Genova del 2001, sull’autoritarismo che monta, sul razzismo a mezzo stampa e i modi per contrastarlo, sulla questione animale come questione di giustizia, sulla strage di Sant’Anna di Stazzema (12 agosto 1944). Cerco d’essere amico della nonviolenza e dell’antispecismo. Sono su Twitter @lguadagnucci, non su Facebook.

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