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La “grande guerra” italiana cominciò a Reggio Emilia. Quel 25 febbraio 1915 con l’eccidio di Mario e Fermo

DiPasquale Pugliese

Feb 28, 2016

Quando la sera del 25 febbraio del 1915 i diciottenni Mario Baricchi e Fermo Angioletti – insieme a un centinaio di altri giovanissimi operai e contadini – si radunarono intorno al Teatro Ariosto per contestare il comizio di Cesare Battisti, passato da Reggio Emilia a perorare la causa dell’intervento italiano nella guerra che divampava in Europa fin dall’estate precedente, non sapevano che loro sarebbero state le prime vittime italiane di quella che sarà ricordata come la “grande guerra”. Le prime di oltre un milione di vittime italiane tra militari e civili (di 16 milioni complessive), che si sarebbero contate alla fine della più sanguinosa guerra subita dall’umanità, fino ad allora. E le prime delle migliaia di vittime italiane che, nei tre anni di guerra, sarebbero state uccise dallo stesso esercito italiano per decimazioni e condanne a morte a causa di renitenze, diserzioni, rifiuto di obbedire ai folli ordini che mandarono al massacro una generazione, secondo gli ordini del generale Cadorna, non a caso, soprannominato “il macellaio”.

Mario e Fermo – anti-interventisti come la maggior parte del popolo e del parlamento italiani – probabilmente non conoscevano i massicci finanziamenti che le aziende produttrici di armi, come l’Ansaldo e l’Ilva, facevano nei confronti della stampa italiana affinché spingesse l’opinione pubblica verso l’interventismo. Anche finanziando direttamente la nascita di quotidiani come il Popolo d’Italia di un certo Benito Mussolini, cacciato dal neutralista Partito Socialista. Non sapevano i giovani reggiani che iniziava allora una commistione di interessi che collegava quello che sarà successivamente chiamato il “complesso militare-industriale”, quel sistema che ancora oggi è capace di mobilitare a comando risorse economiche, strumenti di “informazione” e governi verso questo o qull’intervento militare, spacciato per “missione di pace”. Ma, in realtà, esito inevitabile della continua corsa agli armamenti, sul cui altare – oggi come un secolo fa – si sacrificano enormi risorse pubbliche e vite umane. Proprio come quelle di Mario e Fermo.

Per questo ricordare l’eccidio del 25 febbraio a Reggio Emilia non è solo un esercizio di memoria, ma è la ricerca e la messa a valore, per l’oggi, dei soli barlumi di lucidità all’interno della follia collettiva della guerra. Barlumi che tra il 1914 e il 1918 possono essre rintracciati proprio nelle opposizioni, renitenze e diserzioni dei molti giovani che protestarono e, spesso, si rifiutarono di andare a morire ed uccidere nelle trincee d’Europa; negli ammutinamenti e nelle insubordinazioni di massa dei soldati, stanchi di essere mandati al macello dai propri superiori; nelle tregue spontanee dal basso – come quella che fu realizzata dai soldati lungo tutto il fronte occidentale intorno al Natale del 1914, con l’intonazione di canti di pace nelle diverse lingue e scambi di poveri doni tra le due trincee – per non dimenticarsi della propria umanità; nelle diserzioni mentali dei cosiddetti “matti di guerra” che la follia della guerra rese folli… Tutte azioni di disarmo personale, di disubbidienza diffusa e obiezione popolare alla logica della guerra. Sono loro gli unici eroi “di guerra” che meritano oggi di essere indicati ad esempio, di cui va indagato il valore formativo per le giovani generazioni, mentre ancora una volta – l’ennesima – il nostri Paese è pronto ad intervenire nuovamente, militarmente, in Libia.

Per questo la Scuola di Pace di Reggio Emilia, dopo averne celebrato lo scorso anno il Centanario dell’eccidio – insieme ad Anpi, Istoreco, Pollicino gnus, CDS Villa Cougnet, con la collaborazione dell’Amministrazione comunale – anche quest’anno ricorda Mario Baricchi e Fermo Angioletti all’interno del programma “Una Città per la Pace”, che avrà inizio al mattino con un “Percorso di Pace” lungo le vie cittadine per i luoghi che ricordano tre momenti storici dei movimenti per la pace reggiani del Novecento. Dal Teatro Ariosto, dove sarà ricordata la vicenda di Mario e Fermo, a piazza Domenica Secchi, dove sarà commemorato la strage del 28 luglio 1943, quando a poco più di 48 ore dalla caduta di Mussolini, gli operai delle Officine Reggiane tentarono una manifestazione per invocare la fine guerra, ma furono mitragliati dall’esercito italiano che aveva l’ordine di impedire gli assembramenti: vi furono nove morti, tra i quali la giovane Domenica Secchi, incinta. Il corteo giungerà infine in piazza Prampolini dove sarà ricordata la grande mobilitazione popolare contro la “prima” guerra del Golfo del 1991, quando nel gennaio di venticinque anni fa, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, il nostro Paese partecipava ad una nuova guerra. Eventi che saranno ripresi nel pomeriggio, nel seminario di approfondimento sul tema “L’opposizione popolare alla guerra, a Reggio Emilia e nel Paese” che metterà a fuoco, su un piano più storico-culturale, le questioni affrontate al mattino nelle tappe del percorso di pace, e farà il punto sull’impegno per la pace oggi.

Qui il programma completo. Meglio esserci, visti i tempi che corrono.

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).

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