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Lager libici: una pratica collaudata

DiDaniele Lugli

Gen 31, 2022

Nessun serio contrasto all’estrema violenza praticata, con soldi europei, nei centri di detenzione. È denunciata da tutte le organizzazioni internazionali e documentata anche dalle visite dei medici legali sui corpi torturati. Ne ho scritto anch’io. Cinquemila sono nei lager ufficiali, diverse migliaia in quelli non riconosciuti. Le condizioni in questi non sono certo migliori, e neppure in quelli organizzati dai colonizzatori italiani.

Draghi ci prova con Macron e tutta l’Ue. Ecco le foto dei bimbi morti, bisogna fare qualcosa, ma l’Europa guarda altrove scrive Alberto Negri. Draghi va a Tripoli e Abdul Hamid Dbeibah restituisce, a Roma, la visita. Il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti è l’impegno ribadito. Come fidarsi delle assicurazioni di un paese che non riconosce le convenzioni internazionali sui rifugiati? Intanto questo dovrebbe, come minimo, fare. Abbiamo buoni motivi per diffidare dei loro impegni. Loro, forse, anche più dei nostri. Nel momento di massima collaborazione tra i due paesi l’Italia non esita ad appoggiare Usa, Gran Bretagna e Francia nella guerra alla Libia. La Libia è uno stato-mafia, ricorda Alberto Negri. Con la mafia si convive ovunque e si fanno affari, dentro e fuori il nostro paese e dunque perché no nella quarta sponda? Il distretto dell’Emilia-Romagna è, a buon titolo, un distretto di mafia, dice la procuratrice generale reggente di Bologna inaugurando l’anno giudiziario. Non mi meraviglia. Non meraviglia neppure che i campi profughi libici siano campi di concentramento. Sappiamo che i campi di concentramento non sono una novità in Libia. Ce ne parla più volte il già ricordato Negri. Nei libri di Del Boca ne troviamo notizia. Così negli scritti di Rochat, che ricordo straordinario docente a Ferrara. In particolare Negri segnala i lavori di Eric Salerno, io aggiungerei il più giovane studioso Matteo Dominioni, di Del Boca allievo.

Dagli scritti di Salerno – i titoli sono eloquenti: Genocidio in Libia e Uccideteli tutti – oltre al documentato racconto sull’uso dei gas contro la popolazione civile e sulla deportazione dei libici in Italia, emergono oltre 100mila detenuti nei 13 campi di concentramento in Cirenaica e nella Sirtica e altrettanti assassinati. Non manca neppure un campo per gli ebrei: lì ne muoiono 600, ai sopravvissuti pensano i tedeschi a Bergen-Belsen. Salerno sente citare da Gheddafi El Agheila, un villaggio divenuto campo di concentramento e da lì parte la sua ricerca, che è molto nei territori interessati. Alla Farnesina molti documenti sono distrutti, fuori posto, difficilmente rintracciabili, ma qualche traccia emerge. L’estesa rete di campi di concentramento risulta da documenti ufficiali. I funzionari, contrappongono alla richiesta di risarcimenti, una relazione accurata. Gli impiccati sono meno di quelli pretesi, le fucilazioni senza processo dei ribelli normali atti di guerra, i bombardamenti della popolazione civile episodi spiacevoli. Quanto ai cosiddetti campi di concentramento non è vero niente, El Agheila come gli altri, sono luoghi di raccolta. A uomini, donne e bambini è garantita alimentazione controllata, assistenza sanitaria e scuola. Il fatto che ai carabinieri fosse affidato il servizio di guardia è, suppongo, un’ulteriore garanzia di legalità. Un risarcimento è tuttavia riconosciuto anche se, denuncia il regista libico Abo Khraisse, non compensa le vittime. Getta piuttosto, scrive Salerno, le basi per una nuova epoca di campi di concentramento finanziati dall’Italia con l’aiuto di collaborazionisti libici che vengono pagati generosamente.

Dalla ricostruzione del più giovane studioso Matteo Dominioni, fondata sugli studi di Rochat e su documenti ritrovati, ricavo qualche ulteriore elemento. Nel giugno del 1931 si creano campi di concentramento capaci di accogliere l’intera popolazione del Gebel, colpevole di appoggio alla resistenza, vent’anni dopo l’invasione. Sì, quella che commuove Pascoli, La grande proletaria si è mossa, ottiene l’adesione del nostro unico premio Nobel per la Pace, Teodoro Moneta. È insufficiente l’opposizione. Si distingue per intransigenza, motivazioni, preveggenza e proposte Giacomo Matteotti. Dopo vent’anni l’Italia non si ritira, non è mica come gli Stati Uniti. Graziani con i tribunali volanti stabilisce la pena di morte per il possesso di arma o l’aiuto ai ribelli. I campi mirano a troncare i rapporti tra popolazione e ribelli e impedire l’autosussistenza delle comunità. Il 90-95% del bestiame è eliminato tra il 1930 e il 1931. Per impedire i contatti con l’Egitto – 20mila libici vi si rifugiano – si costruisce un reticolato lungo 270 km e largo metri. È un’altra grande opera – dotata di fortini e sorvolata da aerei – realizzata in pochi mesi, sempre nel 1931. È imitata ancora oggi in Europa. Badoglio è cosciente di quel che sta facendo: Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica. Rochat stima in 100-120mila i deportati nei campi. Mancano i medici, forse quattro in tutto, c’è pure un’epidemia di tifo e non ci sono i mezzi per sterilizzare vesti e vettovaglie. Ai detenuti viene tolta, con la terra e il bestiame, la possibilità di vivere e imposto il lavoro, soprattutto nelle grandi opere del regime, con un terzo del salario dei lavoratori italiani. Le donne si esercitino nella tessitura. Le vittime della repressione sono stimate tra le 50 e le 70mila. Forse più, come scrive Salerno. Nota Rochat: Questo non è l’unico genocidio della storia delle conquiste coloniali, se ciò può consolare qualcuno, ma è certo uno dei più radicali, rapidi e meglio travisati dalla propaganda e dalla censura.

(Vigna Mauro Biani)

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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