• 29 Marzo 2024 5:34

Nemici dell’umanità

DiCarlo Bellisai

Mar 10, 2022

Il fatturato promette di aumentare in modo esponenziale e ciò sta già accadendo. Perché più bombe e missili vengono consumati sul teatro di guerra, più se ne dovranno fabbricare e vendere di nuovi: un vortice produttivo che si alimenta della guerra e che contribuisce fortemente a costruirla.

La legge 185 del 1990 che regolamenta in Italia il commercio d’armi, già faticosamente e solo parzialmente applicata fin oggi, viene completamente disattesa con l’invio di armamenti all’Ucraina, paese belligerante. Ora che la situazione internazionale sta degenerando, e ancor più per impedire pericolose escalation, o tragici, irreversibili incidenti, dobbiamo capire quanto l’industria e il commercio delle armi facciano parte di un sistema mondiale di predazione nei confronti dell’ecosfera, compresi tutti gli esseri viventi e noi stessi, basato sulla violenza.

L’economia armata risponde alle leggi di mercato e le alimenta. Se questa guerra in Europa sta deflagrando, ne sono responsabili certo innanzitutto il governo russo ed il sistema NATO, ma altrettanto le multinazionali degli armamenti e le banche che le sostengono. Nella politica europea prevale la fedeltà all’alleanza atlantica, anche mentre le popolazioni manifestano per la pace. Il che dimostra quanto le nostre democrazie siano diventate impermeabili alle pressioni della società. Soprattutto vediamo che l’unica economia in crescita, oltre e assieme a quella tecnologica, è quella delle armi, sempre più autonome e letali, come i droni-killer. Lo scoppio della guerra in Ucraina, con l’invasione russa, ha fatto schizzare le quotazioni in borsa delle multinazionali delle armi.

Il messaggio subdolo che sta passando, attraverso l’informazione, sia essa russa od europea, è che alla fine le armi servano e siano utili.  Serviranno infatti per difendere i confini della Russia accerchiati dai paesi NATO, o per difendere le democrazie europee dalle aggressioni esterne, a seconda delle narrazioni propagandistiche. La retorica guerresca, già allenata dall’approccio militare alla pandemia, prende infatti sempre più forma.  Le immagini che ci mostrano anche le reti televisive pubbliche e private sono quelle di eroici giovani ucraini pronti a difendere in armi la loro patria davanti ad uno degli eserciti più forti del mondo. E’ una realtà, ma una realtà parziale, che si dimentica di otto anni di guerra sporca fra separatisti e milizie ucraine, che non vede che sono i civili, quelli che la guerra non la vogliono, le prime vittime di ogni campagna armata. Così i paesi europei iniziano già a prendere parte in questa guerra, attraverso l’informazione unilaterale, a volte distorta, attraverso gli armamenti inviati al governo di Kiev, attraverso sanzioni economiche che non colpiranno i soli oligarchi, ma anche e inevitabilmente la popolazione civile. Si rischia che i russi vengano visti come assassini feroci solo in quanto russi e gli ucraini come vittime eroiche solo in quanto ucraini, secondo gli stereotipi delle opposte propagande belliche.

Se le bombe sono utili e servono, in barba all’ormai malconcio e bruciacchiato articolo 11 della Costituzione, è giusto produrle, dare lavoro e far risalire l’economia. Questo naturalmente secondo l’antica logica dell’occhio per occhio dente per dente che, rendendo il mondo cieco, come diceva Gandhi, può oggi trascinarlo in una guerra totale fra potenze nucleari. Sarebbe un inferno sull’intero pineta, con esiti catastrofici per le popolazioni e quasi tutte le specie animali e per l’equilibrio della vita sul nostro pianeta.

Ma com’è che si è arrivati ad un’economia armata? Mi limiterò all’esempio che, come sardo, vivo direttamente sulla mia pelle.

 

L’ESEMPIO SARDEGNA

Nel lontano 1956, in piena guerra fredda l’Italia, in ottemperanza alle richieste dell’Alleanza Atlantica, sceglie il territorio sardo per la dislocazione di tre importanti basi militari: nascono i poligoni interforze del Salto di Quirra e di Capo Teulada e la base aereo-navale di Capo Frasca, in collegamento diretto con l’aeroporto militare di Decimomannu, quest’ultimo alle porte di Cagliari. Dal 1972, in base ad un accordo segreto con gli Stati Uniti d’America, l’isola della Maddalena diviene una base d’appoggio per i sommergibili nucleari. Il parlamento non viene neppure interpellato. La Sardegna viene scelta, non solo per la posizione strategica al centro del Mediterraneo, ma anche in virtù della scarsa densità di popolazione e dello scarso sviluppo socio-economico.

Non tratterò in quest’ambito le ripercussioni dell’esistenza delle basi militari sulle popolazioni limitrofe, sia dal punto di vista della salute (la “sindrome di Quirra” ha mietuto e continua mietere molte vittime), che dal punto di vista del limitato sviluppo economico e turistico. Basti pensare che gli oltre 35.000 ettari di territorio militare sono pesantemente inquinati dagli esiti delle esercitazioni e, solo saltuariamente, viene annunciata qualche azione di bonifica. Quel che voglio mettere in evidenza è quanto queste installazioni siano propedeutiche al mantenimento di una falsa pace armata che, inevitabilmente prima o poi, sfocia nello scoppiare delle guerre.

Oggi nei poligoni militari di Quirra-Perdasdefogu e di Capo Teulada vengono effettuati test su nuove armi ed esercitazioni per simulare le azioni di guerra sul campo. Sono quindi a tutti gli effetti laboratori di preparazione della guerra. Capo Frasca, oltre ad essere utilizzato per esercitazioni aree, è anche base radio-comunicativa per il controllo del Mediterraneo centro-occidentale. L’aeroporto di Decimomannu è ufficialmente diventato una scuola di volo per aerei militari, ma resta collegato strategicamente al poligono di Capo Frasca. Soltanto la base USA alla Maddalena è stata dismessa, in parte per le pressioni popolari e in parte per cambi strategici statunitensi, tra il 2006 e il 2008.

Sempre sul suolo sardo nel territorio delle miniere dismesse del Sulcis Iglesiente, col più alto indice italiano di disoccupazione, nel 2001 la SEI (Società Esplosivi Industriali) con sede a Ghedi si appropria della vecchia fabbrica di esplosivi per le miniere. Nella primavera di quello stesso anno si svolge una grande marcia pacifista e antimilitarista nonviolenta che si conclude con performance teatrali davanti allo stabilimento e con un girotondo che finisce con includere anche una parte delle forze dell’ordine. Sembra un trionfo. Ma subito dopo ci sarà Genova, con le grandi manifestazioni no-global, la repressione feroce, l’arretramento dei movimenti. Nel frattempo i tempi cambiano e la globalizzazione ha il sopravvento. La svolta è nel 2010, anno in cui lo stabilimento viene prelevato dall’azienda RWM Italia, emanazione diretta della Rheinmetal, azienda multinazionale di proprietà tedesca, specializzata in armamenti bellici. Inizia la fabbricazione di bombe, ma bisogna aspettare il 2015 perché si scopra che in Yemen una bomba col marchio di fabbrica RWM ha fatto strage fra i civili. Le associazioni pacifiste ed antimilitariste si ritrovano a protestare davanti al piazzale della fabbrica. Ma le bombe, in quegli anni, vengono comunque caricate e spedite, nella notte, in silenzio e col beneplacito delle autorità portuali. Nel 2017 si costituisce ad Iglesias il Comitato Riconversione RWM “per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del SulcisIglesiente”. Il Comitato, cui aderiscono numerose associazioni e singole persone, darà negli anni successivi un forte contributo di controinformazione e sensibilizzazione sul problema. Nel mentre si lavora anche alla pista legale: presentiamo denunce per la violazione della legge 185 sul commercio d’armi, esposti al TAR per gli abusi edilizi ed ambientali, perpetrati con l’allargamento della fabbrica. Si arriva così fino agli ultimi anni, con l’embargo sulla vendita d’armi all’ Arabia e agli Emirati, coinvolti in Yemen: deliberato dall’Unione Europea e poi recepito dall’Italia. Fino ad arrivare al successo dei movimenti pacifisti e ambientalisti con la sentenza del Consiglio di Stato che ha decretato illegittime e abusive le opere di ampliamento della fabbrica, attorno all’alveo di un fiume, con rischio quindi, non solo esplosivo, ma anche idrogeologico. Abbiamo manifestato anche lo scorso primo marzo, perché si passi ai fatti: l’illegalità degli ampliamenti è stata riconosciuta, occorre procedere alla demolizione. La lotta continua, c’è una forza d’animo che ci sostiene, anche nelle diversità, che ora più che mai non devono dividere, ma arricchire.

 

LA COSTRUZIONE DEL NEMICO

Ragionandoci su, se ancora possiamo farlo, una società che volesse davvero superare, trascendere l’orrore delle guerre, logicamente investirebbe le sue risorse per preparare una cultura di pace e di confronto fra le diversità, per formare mediatrici e mediatori di conflitti, per corpi civili e disarmati di pace, piuttosto che negli armamenti e negli apparati militari. Questo non sembra davvero accadere. Ne segue inevitabilmente e non senza tristezza, che le società umane sono ancora distanti dall’essersi affrancate dalla guerra, dall’idea obbrobriosa del nemico, dalla sopraffazione come difesa e dall’offesa come annientamento dell’altro. In tutte le guerre, viene da subito attivata una macchina propagandistica, il cui scopo è quello di mostrare le azioni crudeli della parte avversaria, mettendo in evidenza la loro violenza, il cinismo, la disumanità. L’obiettivo è quello di creare una visione alterata dell’altro popolo, che deve essere il più possibile ignobile ed efferato, fino a creare la figura del nemico come pazzo criminale, o come belva sanguinaria e, in quanto tale, non più umano. Da sempre la costruzione culturale del nemico assolve al compito di renderlo talmente malefico da poterne considerare la morte come una liberazione per il mondo. Per i soldati, come per i miliziani, sarà più facile accettare di sparare e massacrare quest’entità diabolica, piuttosto che pensare di rivolgere le armi contro i propri simili.

Costruire l’idea del nemico è fondamentale per i poteri politico-militari, anche per mettere in cattiva luce, isolare o far tacere, le voci che reclamano tregua, negoziati, pace. Questi ultimi verranno trasformati in disfattisti e in codardi, se non in traditori della patria. D’altronde è quanto già accade in Russia, dove vengono arrestati in massa, ma anche in Ucraina, dove ai maschi tra i diciotto e i sessant’anni è proibito lasciare il paese. Al contrario, l’acciaio delle armi, la chimica esplosiva, assurgeranno a totem liberatori e, con loro, i fabbricanti e i mercanti di armi verranno innalzati al cielo come eroi. Proprio loro che sulla guerra fanno le loro fortune economiche, proprio loro che lucrano sull’odio e sulla prepotenza, proprio loro che non sono nemici di nessun esercito, ma universali nemici della convivenza umana.

Tutto questo non deve deprimerci, perché c’è bisogno di grande lucidità e forti sentimenti e anche del coraggio di agire da nonviolenti. Sappiamo che la Storia ha i suoi avanzamenti, rimbalzi, arretramenti, ma qualunque sia il contesto e il tempo, siamo chiamati a dire di no a tutte le guerre e a preparare la pace fra i popoli. Per farlo occorre eliminare la violenza (sia essa psicologica, economica, fisica) dalle relazioni fra gli esseri umani: disertare le piccole guerre dei tempi di pace, trasformarle in laboratori di risoluzione nonviolenta dei conflitti, è il primo passo per cancellare la guerra dalla Storia.

 

 

Carlo Bellisai marzo 2022

 

Di Carlo Bellisai

Sono nato e vivo in Sardegna. Mi occupo dai primi anni Novanta di nonviolenza, insegno alla scuola primaria, scrivo poesie e racconti per bambini e raccolgo storie d’anziani. Sono fra i promotori delle attività della Casa per la pace di Ghilarza e del Movimento Nonviolento Sardegna.

1 commento su “Nemici dell’umanità”
  1. Agiamo, ci vuole un’azione non violenta collettiva, fermiamo le armi davanti alle fabbriche di armi in Italia.
    Diamoci un appuntamento per un’azione non violenta per fermare il commercio di armi.
    Ora, adesso, insieme contro i genocidi, lo sterminio di civili.
    L’indifferenza uccide

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