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Noi vogliam odio

DiDaniele Lugli

Nov 19, 2017

Anche da altri paesi vengono per la straordinaria occasione. Lo precede di un mese il Rosario, recitato da decine di migliaia di polacchi, il 7 ottobre. Stretti in catene umane, coroncina del rosario alla mano, pregano “Dio perché salvi la Polonia e il mondo”. Sono lungo i confini con Germania, Ucraina, Bielorussia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Mar Baltico. I marinai in mare recitano, anche loro, il Rosario. Affiorano ricordi d’infanzia: processioni con candele e canti, la nenia della preghiera.

Il papa polacco ai misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi ha aggiunto i misteri luminosi, che vanno a cinque alla volta, intervallati da Avemarie, che sarebbero duecento oltre ai venti misteri. È un mantra spropositato della meditazione cattolica. Alcuni aspetti fanno però pensare ad altro, meno piacevole.

La Radio Maria polacca trasmette la celebrazione dell’arcivescovo di Cracovia che invita a pregare “per le altre nazioni europee, perché capiscano che è necessario tornare alle radici cristiane affinché l’Europa rimanga l’Europa”. Il 7 ottobre ricorre l’anniversario della battaglia di Lepanto, 1571, che ferma l’avanzata ottomana in occidente. La conferenza episcopale polacca la collega all’imminente anniversario dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima, il 13 ottobre.  “Crediamo che se il Rosario venisse recitato da un milione di polacchi lungo il confine del paese, potrebbe cambiare non solo il corso degli eventi, ma anche aprire il cuore dei cittadini alla grazia di Dio. Cent’anni fa Maria ha affidato ai tre bambini portoghesi un messaggio di salvezza: pentitevi e offrite riparazioni per i peccati contro il mio cuore e recitate il Rosario”.

Quanto alla grande marcia dell’11 novembre dovrebbe ricordare la riunificazione del paese fino allora diviso tra Russia, Prussia, Austria. Robert Bakiewicz, presidente dell’associazione, caratterizzabile come clerico nazista, promotrice dell’iniziativa chiarisce: “Noi polacchi vogliamo riferirci ai valori che sono i fondamenti della nostra identità, della nostra nazione, che sono il cuore dell’Europa e il nucleo della lontana decostruzione della civiltà latina. Oggi vogliamo andare come nostri antenati a Vienna, come in combattimento con i bolscevichi nel 1920, vogliamo marciare sotto le bandiere di Dio!”

L’appello è ben compreso da antisemiti, xenofobi, razzisti, fascisti, nazisti che convergono anche da Svezia, Ungheria, Slovacchia, Italia… Forza Nuova vi trova la sua marcia, in luogo di quella, annunciata e mancata, su Roma del 28 ottobre. All’inno, già dello Stato Pontificio, si accompagnano scoppi, razzi, fumogeni, torce e slogan violenti, l’esaltazione della “Polonia pura, Polonia bianca”, “Europa bianca di nazioni fraterne”, “Eliminare l’ebraismo dal potere”.

Ecco allora il ricordo delle glorie militari contro i nemici del sogno (incubo) polacco. L’intervento del re di Polonia Giovanni III Sobieski, che il 12 settembre 1683 salva Vienna assediata, mette in fuga l’esercito ottomano guidando personalmente la carica della cavalleria. Sobieski invia al Papa le bandiere catturate con le parole: “Veni, vidi, Deus vicit”. Da Papa Innocenzo XI, il 12 settembre è dedicato al SS. Nome di Maria, in ricordo e in ringraziamento della vittoria.

Con un salto nel tempo si riporta alla vittoria sull’Armata rossa, in una guerra iniziata dalla Polonia con la conquista dell’Ucraina fino a Kiev. La controffensiva russa giunge però a minacciare Varsavia. Ma Piłsudski arma le donne, gli studenti. I volontari accorrono a migliaia. La Chiesa promuove novene di preghiera, processioni. Dai pulpiti incita a combattere. È la vigilia della festa dell’Assunta. La Madonna è apparsa, si dice, a guidare le truppe polacche. Molti sacerdoti guidano l’assalto tenendo alto il crocifisso. La vittoria è ricordata come il “miracolo della Vistola”, e Maria diviene protettrice dell’Esercito polacco. Forse più appropriatamente si sarebbero potuti rievocare episodi nei quali il popolo polacco è stato diretto protagonista, accompagnato e sorretto dai suoi pastori, civili e spirituali. Ne ricordo due.

Il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia, attribuito da una lapide agli occupanti tedeschi è invece opera dei cittadini che, su invito del sindaco, radunati gli ebrei nella piazza centrale li bastonano, lapidano, pugnalano, bruciano. La polizia tedesca incita e fotografa. È il luglio del ’41. Cinque anni dopo a Kielce, la guerra è finita, ma non l’antisemitismo. Si diffonde la voce di un tentativo di omicidio rituale nei confronti di un bambino polacco. Vengono uccisi quaranta ebrei, e ottanta feriti. Il vescovo ricorda i motivi di fondo di quanto avvenuto scrivendone il 1° settembre 1946: è tutta colpa degli ebrei, che forse hanno apposta provocato il massacro per mettere in cattiva luce i polacchi o ricavarne qualche vantaggio. “Non solo i polacchi che non appartengono ad alcun partito o che sono all’opposizione non amano gli ebrei, ma persino molti di coloro che appartengono ufficialmente a partiti di governo. I motivi di questa generale avversione sono universalmente noti e comunque non derivano da motivi razziali. Gli ebrei in Polonia sono i principali propagandisti del regime comunista, che il popolo polacco non vuole, che gli viene imposto con la forza, contro la sua volontà. Inoltre, ogni ebreo ha una buona posizione o infinite possibilità e facilitazioni nel commercio e nell’industria. I ministeri, i posti all’estero, le fabbriche, gli uffici, l’esercito traboccano di ebrei, e sempre nei posti principali, importanti e di responsabilità. Dirigono la stampa governativa, hanno in mano la censura, oggi così severa in Polonia, dirigono gli uffici di sicurezza, arrestano. Oltre a diffondere il comunismo, non si contraddistinguono per il tatto, soprattutto nei rapporti con persone di idee non comuniste… Si può dire perciò che la maggior parte della responsabilità per l’odio che circonda gli ebrei è da attribuirsi a loro stessi. Il polacco medio ritiene (non importa se a torto o a ragione) che i veri e sinceri sostenitori del comunismo in Polonia siano essenzialmente solo gli ebrei… Oltre a questa ragione, però, sulle masse di Kielce ne agisce una seconda, che si potrebbe definire diretta. Già un paio di mesi prima del 4 luglio 1946 a Kielce avevano iniziato a diffondersi voci sulla morte di bambini di entrambi i sessi… L’opinione pubblica riteneva che ne fossero colpevoli ebrei che compivano omicidi rituali sui bambini, quindi le accuse dei genitori ebbero l’effetto di aizzare molto contro gli ebrei, soprattutto sulle persone semplici. Indubbiamente furono queste morti di bambini a indignare persino molti membri dell’intelligencja. Per esempio, alcuni di essi riferirono a chi scrive che gli ebrei facevano trasfusioni di sangue dai bambini e uccidevano le vittime a cui prelevavano il sangue. I fatti qui descritti furono riportati alla polizia, ma essa dimostrò nei loro confronti una totale indifferenza, non compiendo indagini, ma non smentendo neanche le notizie ricevute. L’inattività delle forze di polizia confermò nelle grandi masse la convinzione che agli ebrei di Polonia fosse permesso tutto, che potessero sempre passarla liscia… Non è escluso che qualcuno tra gli ebrei possa aver indotto Henryk Blaszczyk [= il bambino di Kielce che scomparve il 1° luglio 1946 e ricomparve sano e salvo il 3 luglio e disse di essere stato rapito dagli ebrei] a fare il suo racconto… nella previsione che avrebbe indotto la folla già eccitata e tanto ostile agli ebrei a eccessi che in seguito sarebbe stato possibile sfruttare ampiamente”.

L’Inno, proposto e intonato da orridi figuri a Varsavia, attacca con Dio e Maria: “Noi vogliam Dio, Vergine Maria”. Non è il mio canto, ma mi sembra poco appropriato invocare Dio e Maria, come ispiratori delle peggiori violenze, come una coppia criminale in grande stile, rispetto alla quale sbiadiscono tutte quelle che conosciamo, come Bonnie and Clyde, Diabolik ed Eva Kant… Una leggera modifica, “Noi vogliam odio”, lo rende più appropriato.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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