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Non si scherza coi santi

DiDaniele Lugli

Mag 17, 2021

Mio nonno Giglio sulla successione dei papi aveva una diversa, sbrigativa, irriverente opinione, che non riferisco. Per divenire santo essere stato papa è un buon viatico, anche se la procedura di canonizzazione è attenta e complessa.

Ne deve aver fatto di miracoli Pio V, festeggiato sia il 30 aprile che il 5 maggio! Alla sua opera di inquisitore – forse è stata ben apprezzata – ho accennato a proposito dei valdesi di Calabria. Torno sull’argomento.

Il movimento valdese trae origine e nome dal ricco mercante lionese, Valdo. “Gli disse Gesù: Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (Matteo 19-21). Sente le parole come dirette a lui e questo fa. È il 1176. Predica il Vangelo, tradotto in volgare, e si ritrova con molti seguaci: i Poveri di Cristo o Poveri di Lione. Il vescovo gli vieta predicazione e lettura delle scritture. Valdo e i suoi seguaci disobbedienti sono cacciati dalla diocesi di Lione già nel 1177. Di nuovo come ribelli li caccia l’arcivescovo Giovanni de Bellesmains nel 1181. Sono condannati dal sinodo di Verona, 1184. I valdesi si spostano allora nelle valli alpine piemontesi. Qualche famiglia si insedia in Calabria e in Puglia già dopo il 1200. I proprietari terrieri calabresi offrono terre da coltivare in cambio di un canone. Comunità si formano attorno a Cosenza: Argentina, Montalto Uffugo, Rose, San Sisto, San Vincenzo la Costa, Vaccarizzo. Guardia Piemontese è fondata dai valdesi. Altri gruppi vengono dal Piemonte, dove le persecuzioni continuano. Fino all’adesione dei valdesi al protestantesimo (sinodo di Chanforan 1532) convivono in Calabria con i cattolici, seguendone le pratiche pubbliche e leggendo la bibbia tra di loro.

A la Gardia (così detta in occitano, poi conosciuta come Guardia dei Valdi, Guardia Lombarda e infine Guardia Piemontese) arriva il barba (il pastore, il predicatore) Stefano Negrin e poi altri di seguito. La differenza dei valdesi non è ostentata, ma neppure occultata. Anni dopo sono segnalati i barba Giacomo Bonelli e Gian Luigi Pascale. Il primo, passato in Sicilia, è arso vivo a Palermo o Messina nel 1559; il secondo, dopo il carcere a Cosenza, è arso vivo nel 1560 a Roma, di fronte a Castel S. Angelo. Il cardinal Ghislieri (futuro papa e santo Pio V) a capo dell’Inquisizione emana disposizioni tese a rendere la vita impossibile ai valdesi, mentre ne prepara la strage. San Sisto dei Valdesi viene completamente distrutta e il 5 Giugno 1561, con l’inganno, è espugnata Guardia Piemontese, dove si sono rifugiati i superstiti di San Sisto. Non mi soffermo sui particolari delle stragi. Basti dire che a Guardia si narra che il sangue versato scende lungo le vie in pendenza del paese giungendo fino alla porta principale, chiamata poi “Porta del sangue”. Pochi giorni dopo, l’11 giugno, è la volta di Montalto Uffugo. Corpi dei numerosi giustiziati sono fatti a pezzi e appesi lungo la strada che da Cosenza porta a Morano (al confine con la Basilicata), monito a tutti gli eretici.

Due o tremila sono le vittime delle stragi. La crociata contro i valdesi è vinta. La pratica comporta la condanna a morte. Per eliminarne le radici ci sono provvedimenti e ordini restrittivi: Confisca dei beni a tutti i sopravvissuti alle stragi. Divieto di riunione tra i valdesi: mai più di sei. Divieto di parlare la lingua occitana. Obbligo di seguire la messa ogni giorno prima del lavoro. Demolizione delle case che hanno accolto i predicatori (i Barba). Imposizione sulle porte delle case degli spioncini con apertura e serratura esterna, per controllare che non si tengano riunioni clandestine e pratiche eretiche. Divieto dei matrimoni tra Valdesi per 25 anni dopo le stragi. Affidamento dei minori di 15 anni alle famiglie cattoliche. Obbligo di indossare un abito giallo, come eretici pentiti.

Prima i Gesuiti e poi i Domenicani sono incaricati della difficile rieducazione con il loro severo controllo. La fede valdese è estirpata, Ne restano testimonianze. A Guardia, e pure a Sisto, c’è un museo e sopravvive la lingua occitana. Il suo suono ce l’ha restituito Dante: “Tan m’abellis vostre cortes deman, qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; consiros vei la passada folor, e vei jausen lo joi qu’esper, denan. Ara vos prec, per aquella valor que vos guida al som de l’escalina, sovenha vos a temps de ma dolor!” (Purgatorio, XXVI Canto, 140-147). In occitano – la lingua parlata dai valdesi, all’epoca largamente diffusa – è la Bibbia che leggono. Nel 1229 il Sinodo di Tolosa, Papa Gregorio IX, vieta la trascrizione dei testi sacri in volgare e la lettura personale, ad evitare interpretazioni diverse da quelle della Chiesa di Roma.

Ora la lingua d’oc è riconosciuta e tutelata con la legge 482 del 1999. C’è un sentiero valdese da Cetraro a S. Sisto. A saperlo, in anni più giovani, mi sarebbe piaciuto farlo. Mi accontento di ricordarlo ora.

Torniamo a Ghisleri: nato Antonio, come Domenicano, prende il nome di Michele, è cardinale nel 1557 e grande inquisitore della Chiesa romana nel 1558, considera accomodante Pio IV, ed è eletto papa nel 1566. La crociata contro i valdesi è andata bene. Ne pensa una più in grande. La battaglia di Lepanto, 7 ottobre 1571, è favorevole. L’esito – dovuto in gran parte a Maria, da allora Auxilium Christianorum e con festa dedicata, il 7 ottobre, al Santo Rosario – non incoraggia però la prosecuzione dell’impresa contro i turchi. Qualche mese dopo Pio V muore amareggiato. Il santo rosario sarà, in tempi vicini a noi, brandito contro i più pericolosi sbarchi attuali, mentre dagli arrivi da terra è proprio la Turchia a proteggerci. Non uso festeggiare ricorrenze di santi. Farò un’eccezione: il 24 maggio festa di san Vincenzo di Lérins. Nel V secolo afferma: “Dio alcuni Papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”.


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Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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