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30 gennaio, giorno di Gandhi, Grande Anima

DiEnrico Peyretti

Gen 30, 2017

Oggi 30 gennaio 2017 sono 69 anni dall’uccisione di Gandhi, nel 1948.

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Egli fu ucciso, con una pistola Beretta italiana, da un fanatico indù, per la sua apertura ecumenica agli indiani musulmani e la sua opposizione alla lacerante divisione della «madre India» tra indù e musulmani (il Pakistan).

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Gandhi si chiedeva, dubitando: «Ho in me la nonviolenza dei forti? Solo la mia morte lo dirà. Se morirò pregando per il mio assassino e conservando in cuore il sentimento della presenza di Dio, allora soltanto sarà possibile dedurne che io ho la nonviolenza dei coraggiosi».
Commenta Jean-Marie Muller : «Noi sappiamo oggi quello che lui stesso ignorava : egli possedeva realmente in sé la nonviolenza dei forti» (Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Pisa University Press 2004, p. 250).

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«Prendete nota anche di questo, che se qualcuno dovesse porre fine alla mia vita trapassandomi con una pallottola – come qualcuno tentò di fare con una bomba l’altro giorno – e io ricevessi la sua pallottola senza un gemito ed esalassi l’ultimo respiro invocando il nome di Dio, allora soltanto giustificherei la mia pretesa».
(Parole pronunciate da Gandhi la sera del 29 gennaio 1948, meno di venti ore prima di venire assassinato. Cfr Gandhi, All Men are Brothers. Life and Thoughts of Mahatma Gandhi as Told in his Own Words, Unesco, Losanna 1958; trad. ital. Antiche come le montagne, Ed. di Comunità, Milano 1965, p. 96-97)

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«Credo nel messaggio di verità tramandato da tutti i maestri religiosi del mondo, ed è mia costante preghiera di non provare mai nessun sentimento di rabbia verso i miei calunniatori; anche se cadessi vittima del piombo di un assassino, prego di poter rendere l’anima con il nome di Rama sulle labbra. Sarò contento d’essere ricordato come un impostore se le mie labbra, all’ultimo momento, proferissero una sola parola aspra contro il mio aggressore».
(M. K. Gandhi, Antiche come le montagne, Ed. di Comunità, Milano 1965, p. 95)

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Quando l’attentatore gli sparò, egli cadde invocando il nome di Dio: «He Ram». Dieci anni prima, disse che «Una persona che ha rinunciato alla violenza dovrebbe pronunciare il nome di Dio a ogni respiro». Egli lo faceva da più di venti anni, tanto che adesso il nome di Dio si ripeteva da sé anche durante il sonno.
(Eknath Easwaran, Badshah Khan. Il Gandhi musulmano, Sonda 1990, p. 190).

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«Io sarò contento se, quando qualcuno venisse per uccidermi, potessi restare calmo, lasciarmi uccidere e pregare Dio che mi conceda di avere un buon sentimento per chi mi uccide».
(17 luglio1947, in The collected works of Mahatma Gandhi, vol. 88, Ahmedabad 1983, p. 357).

Di Enrico Peyretti

Enrico Peyretti (1935). Ha insegnato nei licei storia e filosofia. Membro del Centro Studi per la pace e la nonviolenza "Sereno Regis" di Torino, del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi, dell'IPRI (Italian Peace Research Institute). Fondatore de il foglio, mensile di “alcuni cristiani torinesi” (www.ilfoglio.info). Collabora a diverse riviste di cultura. Gli ultimi di vari libri (di spiritualità, riflessione politica, storia della pace) sono: Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, (Claudiana, 2011); Il bene della pace. La via della nonviolenza (Cittadella, 2012). (peacelink.it/peyretti)

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