Preparo il bagaglio per una breve trasferta sarda – sarà in corso quando queste righe usciranno, le dedicherò un pensiero al ritorno – e preparo anche me.
Il 28 mattina sarò al Liceo “Asproni” di Nuoro dove le classi hanno letto “I sogni hanno la testa dura” (ed. meridiana, 2021), raccolta di una selezione di testi pubblicati su queste pagine. Nel pomeriggio dello stesso giorno il libro sarà lo spunto per un dibattito sulla violenza assistita organizzato dal Movimento Nonviolento e dalla Città Metropolitana di Cagliari alla Biblioteca “E. Lussu” grazie all’impegno dell’amico Carlo Bellisai, che mi ha ingaggiata anche per il pomeriggio seguente a Iglesias, dove il gruppo locale del Movimento organizza una piccola rassegna di presentazioni librarie intitolata “Primavera di pace”.
Per me saranno due giorni intensi, nuovi volti, scambio di riflessioni e di emozioni, pensieri e vissuti mai disgiunti tra loro. Mentre mi preparo do uno sguardo su Facebook e leggo qualcosa dal profilo di Silvia Sanchini, autrice del libro “Riportando tutto a casa”, curatrice di un blog omonimo, esperta di comunicazione sociale. Ospita un post di Antonia Chiara Scardicchio, pedagogista, docente all’Università di Bari. Ragionando sulle sue trasferte per presentazioni di libri, incontri e altro, Antonia Chiara scrive una riflessione che mi serve adesso:
“Come è lungo un viaggio lungo (…), ogni volta mi chiedo se è saggio partire, anziché cortesemente salutare da dietro uno schermo, a casa senza cambi di stazioni, di accenti e di temperatura. Ecco, ora lo so e lo voglio dire: parto per tornare a casa moltiplicata. Non parto per fare una lezione, un seminario o una formazione che saranno indispensabili o insostituibili, parto per crescere, per sentire che il seme, piantato dentro me mentre studio, si è rotto ed è uscito da sé, da sé-solo, per farsi generare nell’incontro con chi, mentre parlo, sento e vedo che sta con me viaggiando, proprio nel momento preciso in cui, da ferma, sto parlando ma sono, come ora, in movimento”.
Poi penso che sarebbe bello andare incontro agli altri con la stessa apertura anche a casa propria. E qui mi risponde implicitamente Silvia Sanchini, di cui riporto per intero un post, una storia di donne e bambini, ringraziandola per la sua umanità e per la sua capacità di raccontare.
I portici di Piazza Vittorio sono testimonianza di grande vivacità ma anche di una umanità dolente e abbandonata. Sono uno dei tanti cuori feriti di Roma. Quando li attraverso ogni volta ripeto a me stessa: “Non anestetizzarti a questo dolore, sentilo nella tua carne, non volgere altrove lo sguardo”.
Ieri sera passeggiavo distrattamente quando sono stata disturbata da urla di dolore, assordanti.
Una donna si è accasciata a terra, disperata, in lacrime. Intorno a lei alcune giovani donne a soccorrerle. Ancelle del dolore. Volti che non si sono girati dall’altra parte.
Le ho parlato, ho ascoltato la sua storia. Aveva appena ricevuto la notizia della morte della sorella, che si prendeva cura dei suoi figli in Africa. Lei viene dal Senegal, vive a Roma ormai da oltre 15 anni, insieme al figlio sedicenne che gioca a calcio a San Lorenzo.
“Prima mia madre e ora mia sorella. Come farò da sola? Perché proprio a me tanto male? Perché?”, urlava nella più profonda disperazione.
Chissà quante storie come questa dietro a quei cartoni abbandonati, dietro a quelle coperte che coprono i volti e i corpi assiderati.
In mezzo ai tanti sguardi di disapprovazione e sdegno dei passanti, io voglio ricordare quelle mani tese attorno a lei per aiutarla: ad offrirle un bicchiere d’acqua, una carezza, ad asciugarle le lacrime da una guancia.
L’ho abbracciata forte, ho respirato insieme a lei, le ho promesso che mai mi dimenticherò di lei e del suo volto.
“Siamo guerriere, non arrenderti”, le ha detto una ragazza.
Sì, siamo guerriere. Ma non possiamo lottare da sole, soprattutto quando la vita ci mette davanti a prove così grandi. Soprattutto se ingiustizia e diseguaglianze contraddistinguono le nostre vite.
In mezzo a tanta umanità che soffre, io voglio ricordare da oggi anche questa umanità gentile e disinteressata. E ogni volta che passerò da piazza Vittorio, soprattutto quando proverò sdegno o paura (come spesso accade), ricorderò che esiste comunque una rete di amore e protezione più forte della solitudine e del dolore. Scegliamo da che parte stare”.