• 9 Dicembre 2024 22:39

La bomba. To’ chi si rivede!

DiDaniele Lugli

Nov 21, 2022

Di nuovo si parla dell’arma nucleare e del suo impiego. Per sentire questa minaccia così vicina debbo tornare indietro di sessant’anni.

Non è una mia privata cronologia. Nell’ottobre del ’62 l’Urss installa missili atomici su Cuba. Il 27 un aereo spia americano viene abbattuto. Un sottomarino sovietico è ai confini del blocco navale. Bombe di profondità vengono sganciate per dissuaderlo. Il dissenso di un vice comandante impedisce la risposta, con un missile nucleare, da parte del sottomarino. È il sabato nero, il momento più pericoloso nella storia dell’umanità, secondo Arthur Schlesinger, ascoltato consigliere di Kennedy. Così allora la catastrofe è evitata per un soffio. Oggi la situazione, nel centro dell’Europa, è altrettanto pericolosa. Lo si è visto con il missile caduto in Polonia, passato da deliberato attacco a sfortunato incidente. Solo la situazione è più complessa, come più sono gli attori in campo.

Proprio nella ricorrenza del sabato nero il 27 ottobre 2016, ma è un giovedì, è approvata all’ONU la risoluzione L. 41, per giungere alla messa al bando delle armi nucleari. Il relativo Trattato è approvato il 7 luglio 2017 ed entra in vigore il 22 gennaio dello scorso anno. Peccato si applichi solo ai Paesi firmatari. Tra questi non ci sono quelli che dispongono di armi nucleari Stati Uniti, Russia, Cina, Pakistan, India, Gran Bretagna, Francia, Israele, Corea del Nord o ne hanno sul proprio territorio, come l’Italia. Una disamina attenta della Civiltà Cattolica documenta un calo di tensione ed impegno che sembravano promettere altri risultati.

Il Vertice Reagan-Gorbaciov a Reykjavík (1986), come pure la caduta della cortina di ferro (1989) e la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) forse avevano ingenerato in tutti noi un miope compiacimento di fronte al venir meno del vecchio equilibrio strategico. Finché è proseguita la riduzione delle armi nucleari, cioè fino ai primi anni del Duemila, l’idea di un deterrente morale condizionato è rimasta in qualche modo plausibile. Il disarmo ha perso slancio”, annota la rivista. E ancora: “La relativa stabilità su cui contavano le due superpotenze negli anni Ottanta è stata rimpiazzata, quarant’anni dopo, da un mondo multipolare instabile, in cui la minaccia di una guerra nucleare è aumentata. Quell’equilibrio tra superpotenze che allora rendeva plausibile la deterrenza nucleare oggi non c’è più. Inoltre, gli Stati non nuclea­ri vengono fatti oggetto di intimidazioni e di soprusi da parte di quelli dotati di armi nucleari, si tratti dell’Ucraina rispetto alla Russia, o dell’Iran rispetto agli Stati Uniti”.

A ricordarci che “Siamo sull’orlo del baratro per responsabilità delle potenze nucleari e dei loro alleati che non hanno voluto intraprendere un percorso serio di smantellamento totale degli arsenali nucleari che l’art. 6 del Trattato di non proliferazione (TPN) indicava come naturale sviluppo” è a Ferrara Enza Pellecchia, coordinatrice di RUNIPace (Rete nazionale che promuove Studi e iniziative sulla Pace da parte degli Atenei di tutta Italia). È un’importante iniziativa, “Per un mondo libero da armi nucleari”, promossa dall’Università di Ferrara 2 da RUNIPace, (il 23 novembre prossimo, dalle ore 16:30 alle 18:30, aula A1, Polo degli Adelardi). Appare collegata a un incontro che si svolge il giorno prima, sempre a Ferrara. Il Collettivo studentesco 25 Settembre e il Movimento Nonviolento, con Rete Pace Ferrara (alle ore 18,00 Casa Cini, via Boccacanale di Santo Stefano, 26) propongono “Ripudiare la guerra in tempo di guerra

In Russia e Ucraina obiettori di coscienza e pacifisti chiedono di fermare la guerra. La IV Carovana della Pace a Kiev ha rafforzato i rapporti con i pacifisti italiani e aperto nuove possibilità di collaborazione. Introduce Elena Buccoliero. Intervengono Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Presidente Migrantes, Caterina Del Torto, segreteria Rete Italiana Pace e Disarmo e Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, partecipanti alla Carovana.

Il collegamento non è, per me, solo temporale e tematico. Mi rimanda a ricordi di una sessantina di anni fa e a un incontro per me importante. Il sabato nero lo ricordo nerissimo, con la morte di Giovanni Ardizzone. Della questione atomica sento parlare in modo, per me, nuovo da Franco Fornari al “Seminario internazionale sulle tecniche della nonviolenza” tenuto ad agosto del ’63 a Perugia con Capitini. Ci dice che non è vero che tutti vogliono la pace. Così fosse non si spiegherebbe la guerra. E neppure convince dare tutta la responsabilità a quelli che comandano. I loro ordini non troverebbero accoglienza se non consuonassero con la propensione alla violenza, in noi fin dalla nascita. Nell’inconscio desideriamo la guerra. Rendercene conto è un primo, necessario, passo verso la nonviolenza, verso l’elaborazione non paranoica del lutto, avrei letto in un suo libro l’anno successivo.

La nonviolenza richiede conoscenza della violenza, della quale siamo tutti portatori nel profondo. Non la riconosciamo, ma ne avvertiamo il peso insopportabile e lo trasferiamo allo Stato. La guerra diventa difesa della propria sicurezza, dei propri irrinunciabili valori. È difesa da tutte le parti. Parteciparvi è un dovere, magari sacro. Così il soldato non si sente colpevole. E se questo gli accade come a Claude Robert Eatherly – non sa perdonarsi la bomba sganciata su Hiroshima – è dichiarato pazzo. La consapevolezza però non basta. Per questa basterebbe leggere il testamento di Einstein, reso pubblico da Russell poco dopo la morte del fisico. Occorre riconoscere che la guerra è un crimine individuale, consumato collettivamente. Ogni individuo ne è colpevole. Occorre, in aggiunta, assumersene la responsabilità, ritirandone l’attribuzione fatta allo Stato, allo Stato Bestia, golpe e lione. Possiamo pensare a uno Stato Uomo, tutto da costruire, che sappia dare una diversa collettiva risposta, non di morte e distruzione. La condizione estrema nella quale ci colloca la prospettiva nucleare può suggerire una via d’uscita, proprio perché l’uso della bomba comporta la distruzione anche di ciò che si vuole difendere. Impone quindi la rinuncia alla guerra. Il superamento della nostra comune pazzia è la pace.

Resta a me il rammarico di non aver dato seguito all’intenso contatto di quei giorni lontani, alle conversazioni calde e luminose che proseguono, oltre le sedute del Seminario, al tavolo del Cantinone. Con gli amici ferraresi della nonviolenza leggiamo e commentiamo, l’anno successivo, Psicoanalisi della guerra atomica, in uno dei nostri settimanali incontri. Leggo qualcosa di suo in seguito. Apprendo della sua morte, direi, da Luigi Pagliarani, suo coetaneo, allievo e poi collaboratore, in un incontro alla Scuola di cultura contemporanea di Ferrara. Forse mi proverò a leggere l’antologia Scritti scelti. Mi resta l’invito all’assunzione piena di responsabilità personale di fronte alla guerra. È l’obiezione di coscienza, momento centrale anche nella costruzione del piccolo Movimento Nonviolento. Mi piace sia al centro pure dell’incontro di martedì, promosso con un collettivo di giovanissimi studenti. 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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