• 20 Aprile 2024 3:18

La forza mite di Rocco Pompeo

DiDaniele Lugli

Dic 26, 2022

Giovedì 22 dicembre la notizia “Rocco Pompeo è morto”. Lo scrive il figlio Enrico. Un malore lo coglie la settimana prima: infarto, ricovero, cure, dimissioni. Nella notte di mercoledì riappaiono i sintomi. Muore nel suo letto la mattina di giovedì.

Giusto una settimana prima, a Roma, Enrico lo cita, concluso lo spettacolo teatrale, di e con Fabrizio Brandi, “Corea, una questione di geometrie”. Chiude la prima giornata, 14 dicembre, del Convegno per il 50° della Legge sull’obiezione di coscienza. È la vicenda, che merita di essere largamente conosciuta, del villaggio educativo promosso da don Alfredo Nesi, compagno di banco di don Lorenzo Milani in seminario. Mi chiedo perché non vi appaia Rocco, in quella realizzazione attivo collaboratore. “È Rocco, lo studente universitario squattrinato, con una chitarra ammaccata!” dice Enrico. Nel racconto, e nella realtà, accoglie l’invito di don Nesi a lavorare con lui in cambio di vitto e alloggio. Alle ore 6 e minuti 6 a questo link è possibile vedere il monologo, introdotto proprio da Enrico.

Rocco mantiene la memoria della presenza a Livorno, dal 1962 al 1982, di don Alfredo Nesi, recatosi poi, fino alla morte, missionario in Brasile, per portare, come si dice nello spettacolo, sempre il meglio ai poveri. Promuove infatti la Fondazione Nesi e una volta mi chiama nella giuria. Si tratta di assegnare un premio all’iniziativa che sembri più ispirata al messaggio di don Nesi. I lavori si concludono convivialmente al ristorante. Mi dicono essere il preferito da Azeglio Ciampi, un presidente che mi piace. Siamo ospiti di un ex allievo di Alfredo Nesi. Ha raggiunto una buona situazione economica ed è costante contributore della Fondazione. Ci sono vari sacerdoti a tavola, già collaboratori di Nesi. Rocco chiede se il Vescovo sia stato invitato. Nessuno risponde. Rocco insiste con un sorriso. Il decano risponde “Pisano!”. Siamo pur sempre a Livorno. Il sorriso si allarga in una risata.

Con Rocco ho in comune l’esperienza nel partito socialista, nella medesima e migliore corrente, la “lombardiana”. Ripercorriamo quello che ci pare ancora valido. Siamo a Montevaso. Mi dice degli anni in cui io non sono più nel partito. Me ne vado infatti con l’effimera unificazione Psi-Psdi. Lui resta fino agli anni ’70 inoltrati, molto legato a Tristano Codignola e sopportando sempre meno Craxi. Gli dico della mia particolare considerazione per Codignola. Ho il piacere di conoscerlo in un suo passaggio a Ferrara. Già lo stimo, responsabile di Unità Popolare, il partito che voglio votare nel ’53, ma ho 12 anni. Conosco il suo rapporto con Capitini e il suo impegno per la scuola media unica, la sua attenzione alle novità del ’68. È lui il garante di una proposta che mi viene fatta nel ’64. Si tratta di assumere la responsabilità della federazione del partito di Padova, dissanguato dalla secessione dello Psiup. Mi attrae l’idea di dedicarmi alla politica a tempo pieno. Chiedo mi siano garantite alcune condizioni, prima di decidere. Un suo telegramma, firmato Pippo, nome da partigiano, le fornisce. Io poi decido di non andare. Rocco, sorride. Siamo in uno studio con bei mobili. “È lo studio di Codignola” mi dice.

Ho tre anni più di Rocco. Il mio rapporto diretto con Capitini risale al ’62. Il suo è successivo e particolarmente legato alla scuola, all’esperienza in Corea con Nesi, all’attività di studente universitario. Il ’68 pisano è importante e coinvolgente. Potrebbe avere altri, forse migliori, esiti se seguisse l’ispirazione del “Potere di tutti” piuttosto che di “Potere operaio”. Rocco e non Adriano. Mi dice del suo pieno coinvolgimento e delle vicende che lo riguardano, con molta sobrietà. Per me è diverso. Ho lasciato da tempo l’università, sono sposato, ho una figlia, piccolissima. Effettivamente per sentire un po’ di ’68 vado proprio a Pisa a protestare per l’incarcerazione di studenti. È una manifestazione pacifica. Siamo inquadrati dal servizio d’ordine. Ne ripetiamo gli slogan. Altri non sono ammessi, per evitare provocazioni. Il più ripetuto è “Liberate i sette o Pisa brucerà”. È la prima volta che vedo i “piesse” in assetto antisommossa: casco integrale, scudi fino a terra, lunghi manganelli.

Il rapporto di Rocco con Capitini si stringe nel ’68. I due si intendono subito. È Rocco a preparare l’introduzione al Convegno “Nonviolenza e scuola” fortemente voluto da Capitini e programmato per l’autunno del ’68. Aldo muore il 19 ottobre. Il Convegno si tiene a Firenze dall’1 al 3 novembre. Azione nonviolenta del gennaio 1969 gli dedica l’intera pagina 6. In particolare rilievo sono i punti di riferimento illustrati da Rocco. Mostrano quanto abbia assorbite e fatte proprie le tesi capitiniane, sviluppate nei numeri de “Il potere è di tutti”. In Rocco – si sente l’esperienza delle lotte universitarie assieme a quella della scuola di Corea – è l’idea del terreno decisivo dell’educazione per aprire a una società migliore. “La nostra strategia, che riprende i temi delle conclusioni del convegno di Perugia su ‘Nonviolenza e politica’, è quella di lavorare per la creazione e lo sviluppo di strutture alternative (doposcuola, centri di orientamento, associazioni, ecc.). Questo significherà contestare la società borghese in modo reale e costruttivo, e nello stesso tempo farà acquistare non solo il senso del modello di scuola e di società che noi proponiamo, ma anche la sua effettiva base di partenza e di collaudo”.

Quando, anni dopo, trovo Rocco attivo tra gli amici della nonviolenza è preoccupato della caratterizzazione e valorizzazione del Movimento e della sua autonomia, capace di “interferenza politica”. Dice proprio così. Escluso ogni collateralismo con partiti è necessario però sappia intervenire criticamente, porre problemi ai quali le forze politiche siano indotte a rispondere. Deve avere iniziativa costante e perciò approfondire le ragioni della nonviolenza, dandosi uno strumento apposito: il Centro Studi, del quale si fa promotore. L’attività formativa è sottolineata come essenziale sempre. Nell’iniziativa “Un’altra difesa è possibile” l’istituendo “Dipartimento della difesa civile, non armata e nonviolenta” sarebbe caratterizzato dai Corpi Civili di Pace e dall’Istituto di ricerca sulla Pace e il Disarmo. “È il necessario equivalente dell’Accademia militare, il luogo di formazione qualificato degli operatori di pace”, insiste sempre Rocco.

In due immagini, una di cinquanta o sessanta anni fa, l’altra recente vedo Rocco attento, pronto a intervenire con la forza e mitezza che gli erano proprie e che già ci mancano.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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