• 24 Aprile 2024 18:41

L’eredità dell’anno vecchio

DiDaniele Lugli

Gen 2, 2023

L’anno passato ci lascia molte guerre che non sembrano finire. Si danno numeri diversi. I primi che trovo – Internazionale, Libero Pensiero e Famiglia Cristiana – sono 59, 39, 23. Di quella a noi più prossima siamo costantemente informati. Di altre, da più tempo in corso e più sanguinose, raramente si sente. Così bisogna pure andarli a cercare i dati sulle armi, sempre più moderne, intelligenti e micidiali. Se ne producono e sperimentano sempre di più. La pace vorrebbe, come è evidente, la loro sparizione. Riusciamo appena a immaginare il dolore e le ferite che la guerra lascia ai sopravviventi. Risparmiarne quanto possibile sembra un buon proponimento per l’anno nuovo.

Non mancano gli strumenti per conoscere e seguire l’andamento dei conflitti. Uno è certamente ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project). L’accesso è gratuito, iscrivendosi al servizio. Un’idea dei contenuti, settimanalmente aggiornati, può trarsi dalla visione di questa mappa. Un altro interessante sito che viene aggiornato costantemente e che non segue la logica della “cronaca internazionale”, ma prova a raccontare quello che accade scoprendo le cause che portano alle troppe guerre è sicuramente quello dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo. Chi vuole meglio conoscere i rischi dell’intreccio tra la crescente insicurezza, legata alle guerre, e l’insostenibile pressione sul mondo naturale ha a disposizione il sito del Sipri (Istituto Internazionale di ricerca sulla pace). Vi trova in particolare il recente rapporto “Ambiente di pace”, risultato di due anni di lavoro di trenta ricercatori. Documenta il noto legame tra integrità ambientale, pace e benessere. Ancora con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, 2015, i governi dichiarano: “Non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né pace senza sviluppo sostenibile. Nel 2021 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite riconosce un ambiente sano come diritto umano fondamentale. La visione incentrata sulla difesa dello stato è inadeguata e dannosa. La sicurezza umana va piuttosto centrata sulle persone”. Così il denaro speso dai governi alimenta l’insicurezza invece di combatterla. Il Rapporto ci ricorda come a tutti stia, a partire naturalmente da chi ha maggiori poteri e responsabilità, contribuire a costruire pace e vita, non guerra e morte.

Si è accennato alla questione delle armi. Sul sito del Sipri molto si può trovare. Anche un sito nostrano merita una visita. Particolarmente increscioso è che l’Unione europea sia incapace di prendere iniziative per il disarmo e che anzi sia attiva nel finanziare le aziende produttrici degli strumenti di morte. Segnalo una scheda informativa. Più in generale l’Unione non sembra meritare il premio Nobel per la pace attribuitole 10 anni fa. Il comportamento complessivo nei confronti dei migranti, per citare un esempio evidente, urta il diritto internazionale e contrasta con le ragioni fondative dell’Europa. Siamo alla guerra ai migranti e a chi li soccorre. Non mi soffermo. Francesca Spinelli su Internazionale ne scrive, nel decennale del premio.

Torno sui conflitti in atto. Leggo ad alta voce i luoghi. Li penso ad uno ad uno, per quel poco che ne so. Vado a cercare notizie di quelli che meno conosco. Sfoltisco un elenco, che trovo su Repubblica online. Indico solo i luoghi principali di guerre che sembra non abbiano mai fine, come Israele. Sono conflitti diversi con differenti attori e motivazioni. Li accomunano il dolore, le sofferenze inferte e subite, l’insensatezza, la disperazione. Tra parentesi il dato complessivo sul sito nel quale esercito la scelta

AFRICA: (31 Stati e 294 tra eserciti e milizie coinvolti) Scelgo 12: Burkina Faso, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mozambico, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sudan, Sud Sudan.

ASIA: (16 Stati e 201 tra eserciti e milizie coinvolti) Scelgo 5: Afghanistan, Birmania-Myanmar, Filippine, Pakistan, Thailandia.

EUROPA: (9 Stati e 87 tra eserciti e milizie coinvolti) Scelgo 4: Cecenia, Daghestan, Ucraina, Artsakh ex Nagorno-Karabakh.

MEDIO ORIENTE: (7 Stati e 266 tra eserciti e milizie coinvolti) Scelgo 4: Iraq, Israele, Siria, Yemen.

AMERICHE: (7 Stati e 35 tra eserciti e milizie coinvolti) Scelgo 2: Colombia, Messico.

Un terno infausto quello dei numeri della guerra che ho trovato. La Smorfia ne rivela il significato. 59 ‘e pile, cioè i peli, emblema di virilità. Conferma, potrebbe argomentare l’amica Orsetta – nell’improbabile caso mi seguisse nei miei percorsi – che la guerra è matrice sessista, maschile e sessuata. 39 ‘a funa nganna, la corda al collo. Allude certo alla morte riservata ai renitenti, ai disertori, ai pretesi obiettori. “Le forche e l’armi dell’impiccatore” si cantava nella Grande guerra. Una guerra che ritorna anche con il 23 ‘o scemo. Lo riconosciamo subito è lo scemo di guerra. Molto si potrebbe dire. Indico solo un sito.

Per i pigri riporto la gloriosa “storia di un militare calabrese che è riuscito a ingannare gli psichiatri di tre manicomi e i medici di un ospedale militare. Domenico A., un ventisettenne spaccalegna di Badolato, appena chiamato alle armi mostra sintomi di disturbi mentali e viene ricoverato nell’ospedale militare di Palmanova, ove viene riscontrata una malattia mentale; il soldato è inviato al manicomio di Reggio Emilia e, poco dopo, trasferito a quello di Siena. Viene, infine, inviato «per competenza territoriale» al manicomio di Girifalco, ove entra il 19 settembre 1917 con una diagnosi di psicosi epilettica. I medici calabresi confermano la diagnosi di epilessia, ma non notano comportamenti rilevanti sul piano del disagio mentale e interrogano più volte il giovane soldato per capire se lo stesso sia veramente malato di mente. Solo nell’aprile del 1918, si legge nella cartella clinica, dopo aver ottenuto a febbraio il foglio di riforma, Domenico ammette candidamente ai sanitari che non è mai stato epilettico e che i disturbi furono sempre simulati per sottrarsi al servizio militare. Viene quindi dimesso il 17 maggio”.

Penso sia un’ottima data per celebrare Mimmo e Badulàtu e tutti gli scemi di guerra, di allora e di ora, più di lui sfortunati, vittime di sociopatici al comando. Questi li riconosciamo benissimo. Ostentano tuti i segni e sintomi della patologia. Pensano di essere i migliori, sanno tutto e più degli altri, sui quali sempre ricade la colpa. Disprezzano leggi e società. Non riconoscono i diritti degli altri, non provano rimorso o senso di colpa, controllano, manipolano, sono, spesso, violenti. Perché li scegliamo come capi resta un enigma.

P.S. Io di luoghi di guerra ne conto 27. La Smorfia non sbaglia. Il numero 27 è ‘o cantero, il vaso da notte, fatto apposta per la guerra.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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