• 20 Aprile 2024 4:36

A tentoni. Una favola di Natale (parte 2)

DiElena Buccoliero

Gen 4, 2023

II parte

(Qui il link alla prima parte di “A tentoni. Favola di Natale”)

Già che me ne sto con le mani in mano drizzo le orecchie. I rumori sono tanti, ammatassati, ma con un po’ di attenzione qualcosa si distingue. Ho idea di vivere in un condominio. Questo è un monolocale, niente da eccepire, ma mi sa che ci sia qualcuno al piano di sopra perché sento un vociare in lingue strane, dall’accento direi aironi guardabuoi o sgarze dal ciuffetto.

Col lembo della canottiera che prima era candida solletico la mia prigione per vedere se si apre quel tanto per lasciarmi curiosare. Sono girato verso la luce e al primo sospiro vedo il cielo a strisce: enormi sbarre di una specie di metallo bianco s’intrecciano davanti a me. Mi sta bene, proteggono da mani o altre protuberanze con cui certa gente s’intrometteva nella piscina di prima, però coprono la luce, tanto più che ciuffi d’erba umida si sono attorcigliati intorno e tessono una specie di sipario.

Ne sfilo un lembo con il cuore che scalpita, ci fosse mai una frana di rimando o qualche altro cataclisma che non so, ma non succede niente e prendo coraggio, stacco un altro lembo, un altro, in quattro e quattr’otto faccio una bella pulizia e a quel punto, finalmente, mi posso costruire una palla verde per giocare anche da solo, basta pressare un po’ il mio mucchietto, dargli una forma sferica con i palmi delle mani. Per tenerlo insieme non mi serve la saliva, posso rotolarlo sulle pareti della mia umidissima cella che stavolta freme, vuoi vedere che soffre il solletico?

Un frullo d’ali improvviso e cala il silenzio. Ho paura. Al piano di sopra sono sfollati tutti.

E se invece che solletico era terremoto? Se invece era guerra?

Io direi guerra. Questo zzzan zzzan, zzzin zzzin di sottofondo, un lavorio continuo che sento dal principio e solo ora riesco a isolare, viene dal lato che va verso la luce ed è il segno che le enormi sbarre di metallo bianco stanno crescendo in altezza.

Improvvisamente non mi sembrano più una protezione, uno scudo contro i curiosi e gli importuni. Mi manca l’aria, vuoi vedere che mi hanno fatto prigioniero? Sono sveglio, sì, ma ancora troppo piccolo per aver fatto qualcosa di veramente cattivo, non potete trattarmi così, non è giusto!

Non faccio in tempo a protestare che mi arriva uno spruzzo di…

Come posso dire?

Dai, quella roba lì, proprio quella. E come puzza! È l’arma del nemico, si capisce.

Ma allora il nemico è questo che mi contiene o sta fuori?

E se quello che sta fuori fosse nemico del mio nemico e mi volesse salvare? Apprezzo il pensiero ma parliamone, cosa dirà la mamma quando vedrà in che condizioni è la mia canottiera che stamattina era candida? Vile infingardo e decisamente stronzo è il nemico. Un po’ di quella roba ha attraversato le sbarre – accidenti a me che le ho pulite così bene – e mi sta spiaccicata addosso.

Questo cretino che mi ospita, invece di sentirsi offeso a morte ci si rivolta dentro tutto allegro e da qui formulo un’altra versione dei fatti: mi sa che nella piscina di prima mi ha partorito mia madre e ora deve partorirmi mio padre. Mamma l’ha sempre detto che papà è uno sporcaccione, quello che non sapevo era che anche lui dovesse mettermi al mondo.

Cosa sono, allora, questi colpi come noci di cocco che mi arrivano da tutti i lati? È proprio vero. Fuori c’è la guerra. Sarà più sicuro tenere la posizione nonostante questo schifo e aspettare che finisca, o uscire allo scoperto sventolando la mia canottiera che ormai non è nemmeno tanto bianca, sperando che basti il pensiero?

Se devo uscire adesso, non assomiglia niente ma niente alla mia prima nascita. Dell’altra volta mi ricordo le urla, i gorgoglii, le voci intorno, mi ricordo le mucose della mamma che mi stringevano e mi spostavano un centimetro dopo l’altro nella direzione della luce, ma questa sassaiola di colpi rischia di farmi del male. Se come mi affaccio mi centrano in pieno?

Ho una palla per le mani, potrei usarla anch’io dall’interno per collaborare con gli alleati, che non lo so se sono alleati davvero, perché se mi odiano io carico le munizioni, racimolo tante pallottole con tutto questo verde che c’è intorno e ne faccio fuori il più possibile, almeno muoio con decoro…

E se invece non mi spara nessuno purché io non spari? E se con una pallottola colpisco la mamma?

Vorrei tanto che il babbo si mettesse a correre per proteggermi, che mi portasse via. Vorrei che mi lasciasse libero e si regolasse un po’ come gli pare ma non mi coinvolgesse in questa stupida guerra. Non so neanch’io quale desiderio esprimere e d’altronde qui non ci sono lampade con geni incorporati, né torte per soffiare sulle candeline o qualcuno con cui fare flic e floc. Ci sono solo io, che tremo disperatamente, e una pioggia di colpi sulla gobba di mio padre.

È tutto un tremito, sotto questo fuoco di fila anche lui ha paura, lo sento qui, dalle viscere dove sto rannicchiato e tremo anch’io, spero non si metta in testa di sospirare o di sbadigliare come fa ogni tanto perché sarei completamente indifeso…

Ooooo… Aiut… Ecco. Ha aperto la bocca e mi ha sputato fuori.

Riprendo fiato. I colpi intorno a me si fermano. Uno sconosciuto mi prende tra le braccia e mi alza verso il cielo. Tutt’attorno un nugolo di persone di ogni età, mai viste prima in vita mia, esultano, battono le mani e gridano “Bagonza! Bagonza!”, che a occhio deve voler dire “Vittoria”, oppure “Pace”, che poi è lo stesso, e tutti insieme battono sulle spalle dell’uomo e mi sconquassano un bel po’ ma non ne faccio una questione, non è andata meglio quando sono nato la prima volta.

Mi guardo indietro. Che ne è stato del babbo? Vorrei chiedergli cosa pensava di fare con quelle zanne, vorrei domandare perché non si è difeso dalla merda e dai sassi o almeno ringraziarlo per avermi dato alla luce ma è ormai un puntino piccolissimo che affiora a tratti mentre nuota nel lago Edoardo.

Mamma non mi ha mai detto che sono figlio di un ippopotamo.

Il 12 dicembre 2022 la polizia di Katwe-Kabatoro, nella regione Kasese, in Uganda, ha reso noto che Paul Iga, un bambino di due anni, è stato inghiottito da un ippopotamo mentre giocava sulla riva del lago Edoardo, a circa 800 metri da casa. Fortunatamente un uomo, Chrispas Bagonza, ha assistito alla scena e con grande coraggio ha preso a lanciare sassi contro l’animale finché questo, spaventato, ha lasciato andare il bambino ed è scappato via. Il piccolo Paul era vivo, intero e illeso.

Gli ippopotami hanno zanne lunghe anche oltre 50 centimetri che crescono in continuità. Sono erbivori, si nutrono di graminacee e vivono in branchi. Il maschio dominante è omaggiato dagli altri maschi con la defecazione di sottomissione, che può avvenire anche più di cinque volte in un’ora ed è appunto un segnale di riconoscimento del potere dell’altro. Viene rivolta però anche agli altri del branco. I più giovani annusano e inghiottono con gratitudine gli escrementi del capo.

 

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019, e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.