• 2 Novembre 2024 9:20

Loujin, 4 anni. Il vero volto dell’invasione

DiElena Buccoliero

Set 20, 2022
Drehscheibe Köln-Bonn Airport - Ankunft Flüchtlinge 5. Oktober 2015

Devono essere proprio pericolose le persone in fuga dalla povertà e dalla guerra, se non vengono soccorse in mare. Anche se così facendo le si consegna alla morte per fame o per disidratazione. Anche se sono neonati.

Nelle ultime settimane le tragedie si sono susseguite. 5 settembre, Ragusa News: “Due ragazzini sarebbero morti su un gommone partito dieci giorni fa dal Libano, con a bordo 60 persone. Diversi mercantili sarebbero passati nei pressi dell’imbarcazione, ma senza fermarsi a prestare aiuto”.

A distanza di una settimana uno dei due ragazzini ha un volto e un nome: Loujin, 4 anni, siriana. La sua fotografia è stata divulgata. Non so io stessa se il rispetto maggiore sia continuare a mostrarla, deliziosa, nell’abito bianco della festa, o lasciare che il suo viso resti nel cuore di chi l’ha amata. Nessuno sguardo che si posi sul suo volto può essere tanto disumano da non accendere un contrappeso di angoscia.

Nawal Soufi, attivista per i diritti umani, italiana di genitori marocchini di cui già abbiamo parlato su queste pagine, nel suo blog racconta di avere fatto di tutto per allertare le autorità.

7 settembre: “Sappiamo con certezza che avrebbero potuto essere tratti in salvo da Malta nel momento in cui stavano imbarcando acqua, quando riferivano che i bambini erano senza acqua e cibo e pertanto rischiavano di morire di stenti. E invece li hanno lasciati lì, fino a quando una bambina di quattro anni è morta per disidratazione. Ci sono tutte le chiamate registrate, tutte le posizioni delle imbarcazioni fotografate e inviate alla guardia costiera: ci sono tutte le prove per poter dire che questa è una chiara omissione di soccorso, una chiarissima volontà di creare vittime nel Mar Mediterraneo”.

8 settembre: “È arrivato il momento di chiamare le cose con il giusto nome. Avete ucciso Loujin! La potevate salvare anche solo con delle bottiglie d’acqua gettate da un elicottero, ma Loujin non era la figlia di un ministro europeo o di un papà ricco che con il passaporto in tasca porta in crociera la sua bimba. Loujin era solo una bambina di 4 anni. È morta di sete nel nostro mare. La sua sorellina, Mira, un anno e mezzo di età, sta lottando per sopravvivere, dopo aver bevuto acqua di mare per tanti giorni. Le persone devono almeno sapere che c’è un’altra bambina che sta lottando. Lottando per la vita. Lottando per tenere in vita la madre stessa, madre che mi dice che, se dovesse perdere anche la piccola, morirà, morirà di dolore”.

Gli orrori si moltiplicano e ci parlano quanto più vediamo nei numeri la somma delle storie. Queste che seguono riguardano lo stesso carico di disperazione di cui Loujin faceva parte. “Nessuno ha fatto parola di un ragazzo siriano, nato a Homs nel 1993, Amin Mohamed Alhelwani, disperso sotto gli occhi di tutti, con il cranio fracassato tra le due navi, la barca e il mercantile, rimbalzato dalle onde. Nessuno ha fatto parola neanche di Ahmad Haj Musa, ragazzo siriano nato a Idlib nel 1994, caduto in acqua trascinato dalla corda che avrebbe dovuto legare la barca al mercantile, e scomparso, terrorizzato, inghiottito dalle acque del mare, sotto agli occhi dei suoi compagni. Ad ora nessuno ha parlato di queste persone, neanche le autorità che hanno portato avanti il soccorso hanno riferito nulla alla stampa. Ad ora non sono stati trovati i corpi e ciò equivale all’impossibilità per i loro cari di poterli almeno riabbracciare, smettere di cercarli e dare loro un degno funerale, ma lascia anche aperto uno spiraglio di speranza… che qualcuno li abbia soccorsi e che per miracolo siano ancora vivi, magari in qualche ospedale, magari in coma… ma vivi”.

Nawal continua a ricevere e gestire richieste di aiuto dal Mediterraneo. Le riporta in rete per aumentare le possibilità di trovare alleanze. Ricorda i suoi recapiti e le coordinate bancarie per chi vuole dare una mano anche in relazione a casi specifici.

L’11 settembre avverte che altri bambini sono in pericolo. Il 12 settembre la notizia è sui giornali: 6 persone sono morte di fame e di sete su un’imbarcazione salpata dalla Turchia e diretta in Italia. Le vittime sono tre donne e tre bambini di 1, 2 e 12 anni. I sopravvissuti sono coperti di ustioni e in condizioni estremamente critiche. Il sindaco di Pozzallo li paragona ai superstiti dei campi di sterminio. Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati) in Italia, Santa Sede e San Marino, invoca il ripristino di procedure di soccorso.

“Questa inaccettabile perdita di vite umane dimostra ancora una volta l’urgente necessità di ripristinare un meccanismo di ricerca e soccorso tempestivo ed efficiente, guidato dagli stati nel Mediterraneo. Il soccorso in mare è un imperativo umanitario, radicato nel diritto internazionale. Allo stesso tempo, è necessario fare di più per ampliare i canali sicuri e regolari e crearne di nuovi per fare in modo che le persone in fuga da guerre e persecuzioni possano trovare sicurezza senza mettere ulteriormente a rischio le loro vite”.

Intanto, disperata per la mancanza di ascolto da parte delle autorità, Nawal raggiunge la famiglia di Loujin. 17 settembre: “Ho partecipato al lavaggio del corpo. Uno strazio. Ho lavato quel piccolo corpo, ormai bianco come la piccola bara, mentre l’Europa dovrebbe lavarsi la coscienza. Il sapone sulle mani, il sapone sui suoi piedini piccoli, lo shampoo sui capelli. Tutte cose che i governanti europei dovrebbero vedere”.

Quando sento parlare di un futuro blocco navale mi chiedo se non lo stiamo già realizzando e che cosa deve succedere ancora perché agli occhi di tutti, dal più umile degli elettori al primo dei candidati, questa realtà ci risulti inaccettabile.

Già un paio di settimane prima Nawal scriveva sulla pagina Facebook: “La notizia in prima pagina del tragico ritrovamento del corpo di un bimbo abbracciato ai resti di una donna, forse sua madre, sul fondo del mare, ha spaccato il cuore di tutti noi. Purtroppo, però, questo non è altro che uno dei fotogrammi di una realtà tragica, una routine parallela alla nostra. Sono anni infatti che il mare è solcato da imbarcazioni fatiscenti, cariche di uomini donne bambini e di sogni. Sono all’ordine del giorno le richieste di S.O.S. che durano giorni e le omissioni di soccorso da parte delle varie autorità europee. L’Europa da anni non assume una posizione di responsabilità nel soccorso in mare: tutti noi continuiamo a cullare i nostri bambini tra le nostre braccia, lasciando al mare il compito di cullare gli altri… Continuano i respingimenti di imbarcazioni di fortuna anche nell’Egeo, gommoni carichi per lo più di famiglie che cercano di raggiungere le coste greche. Parallelamente sono sempre più numerosi i rigetti delle richieste di asilo e permangono difficili le condizioni dentro ai campi della Grecia. Lungo la rotta balcanica, la rotta dei poveri, la tratta più dimenticata, i rifugiati vivono in condizioni disumane dentro ai campi o si trovano in un perenne cammino, lungo anni, rimbalzati da continui e feroci respingimenti. Ed ora si sta facendo largo anche un famoso killer chiamato inverno…”.

Un richiamo di Nawal all’Unione Europea

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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