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Moltiplicata la violenza sui bambini durante il lockdown

DiElena Buccoliero

Ott 28, 2020

In lockdown decuplicati i traumi cranici nei bambini”. Ho scorso il titolo su una rassegna stampa e mi sono messa in cerca, così ho scoperto che il dato è stato diffuso dall’Associazione Culturale Pediatri (ACP).

Il 17 ottobre, in videoconferenza, l’ACP ha svolto il proprio 32esimo congresso con esperti nazionali e internazionali. Sono state messe a confronto le avversità che l’infanzia incontra in diverse aree del mondo ed è stato osservato come l’attenzione non sia proporzionata alle dimensioni dei problemi.

Costantino Panza, coordinatore delle Pagine elettroniche dei Quaderni dell’Associazione, ha rilevato: “Si è parlato tanto della sindrome iper-infiammatoria, rara complicanza di Covid-19”, che però “ha coinvolto e coinvolge pochissimi bambini, rispetto al maltrattamento”. Perry Klass, pediatra statunitense e opinionista del New York Times, ha ricordato che, nel suo paese, “con oltre 200mila decessi da Covid-19, ricercatori e medici ancora non si capacitano che i decessi tra i minori siano stati solo 100. I bambini hanno molte più probabilità di morire per omicidi, annegamento o ustioni”.

Angel Carrasco, presidente della Confederazione Europea delle cure primarie pediatriche a Madrid, riporta che la Spagna durante il lockdown ha visto “un significativo aumento delle lesioni non accidentali tra i minori, specialmente ustioni”. Tutti sbadati? Difficile. “La pandemia più grave”, ha proseguito Carrasco, “è l’aumento della povertà nelle fasce deboli, l’aumento della violenza sui bambini, la mancanza di follow up per quei bambini con malattie croniche, ma anche la mancanza di controlli di base adeguati che potranno portare a un aumento delle malattie croniche non diagnosticate”.

Sugli stessi temi Save the Children ha pubblicato proprio in questi giorni un rapporto che legge la situazione a livello mondiale. “Si stima che la seria riduzione della disponibilità materiale delle famiglie porterà 150 milioni di bambini in più a cadere in condizioni di povertà solo nel 2020”. Il che comporta: minor accesso alle vaccinazioni e alle cure mediche, alla scuola, ai servizi educativi e agli strumenti di protezione sociale; incremento di violenza, gravidanze indesiderate, abbandono e dispersione scolastica, fragilità nei percorsi migratori.

In Italia siamo in grado di reggere il contraccolpo? Dipende. Pone l’accento sulle diseguaglianze il CESVI, che ha da poco presentato l’edizione 2020 del suo “Indice regionale del maltrattamento all’infanzia in Italia”. Si tratta di uno studio statistico annuale che non rileva il numero di bambini maltrattati, ma mette a confronto numerosi indicatori riconosciuti come fattori di rischio e di protezione dal maltrattamento.

Sebbene il tema sia trasversale alle fasce sociali e culturali, non c’è dubbio che le condizioni ambientali giochino un ruolo decisivo, ed è bene ricordarsi che cosa porta un nucleo familiare a scivolare lungo la china della violenza e che cosa invece lo allontana. I fattori sono quasi tutti collettivi e hanno un forte legame con le scelte politiche e istituzionali. Tra gli elementi di rischio: basso grado di istruzione, disoccupazione, povertà, assenza di reti sociali, malattie, dipendenze, isolamento sociale, violenza tra i partner… È un fattore di protezione l’esistenza di opportunità e di servizi in grado di arginarli, quali i servizi per l’infanzia e la famiglia, buone politiche per il lavoro, promozione di stili di vita sani e molto altro ancora.

Ogni regione italiana ha una pagella dove viene valutata su queste materie. Le prime della classe sono Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Toscana. L’Emilia Romagna si distingue per accesso al lavoro e cura dell’infanzia, il Trentino Alto Adige per grado di istruzione e risorse di sostegno alle famiglie. Le altre non hanno primati ma buoni bilanciamenti complessivi. Agli ultimi posti c’è quasi tutto il sud. In ordine decrescente di risorse: Abruzzo, Basilicata, Puglia, Sicilia, Calabria, Campania. Durante il lockdown, leggiamo nel report sintetico di Cesvi, “al Nord i bambini hanno sofferto di più la paura e il trauma dei lutti, al Sud hanno invece risentito delle peggiori condizioni economiche. La chiusura delle scuole non ne ha solo compromesso il diritto all’istruzione, ma ha anche fatto mancare un’importante antenna per individuare il disagio, assieme al venir meno delle attività dei servizi sociali e dei pediatri”.

Che cosa sta succedendo con la ripresa dei contagi? Al congresso ACP il pediatra spagnolo Angel Carrasco afferma che, nel suo paese, “la gestione non è migliorata. Riaprire tutto, dopo il lockdown, è stato un enorme errore. Ma siamo sicuri di una cosa: le scuole avevano bisogno di riaprire e devono restare aperte. La scuola è importante per tutti e per i bimbi vulnerabili in particolare. Gli istituti bene organizzati non hanno prodotto grandi focolai. Gli adulti e i giovani adulti, nelle università e nella movida, sono il problema. Le scuole no. Quello che serve sono più risorse: abbiamo pochi servizi e poco personale, come in Italia”. Insomma, occorre una rete sociale coesa e coerente, un’attenzione alla condizione dell’infanzia che non sembra assicurata dal welfare attuale, e in alcune regioni ancor meno che in altre.

Il sistema sanitario ha acquisito conoscenze preziose nella gestione della malattia, perciò meno persone hanno bisogno di terapia intensiva. Un apprendimento analogo sarebbe auspicabile nelle reti sociali ora che nuove restrizioni si decidono e si annunciano. Le raccomandazioni del Cesvi non sono nuove, e si attagliano all’eccezionalità del momento quanto alla normalità. Ecco le prime tre: “Occorre sviluppare un sistema informativo puntuale sul tema del maltrattamento all’infanzia. Sono necessari investimenti e nuovi strumenti di governance per ridurre il divario territoriale. Va adottato un approccio multidimensionale per politiche dirette e indirette di prevenzione e contrasto al maltrattamento”.

Infine, ringrazio Fabrizio Bonora per avermi segnalato questo video che dice tutto, anche a chi non conosce l’olandese o l’inglese.

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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