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Se alla mafia parla un cavaliere nonviolento

DiVincenzo Sanfilippo

Ago 2, 2019

Da qualche giorno ho concluso la trascrizione di un colloquio con Giuseppe Cimarosa. L’intervista, fatta nel mese di giugno, sarà pubblicata tra un po’ su un dossier sul tema mafia e nonviolenza che sto curando per la rivista Mosaico di Pace. Desidero condividere con voi le impressioni e le domande che frullano nella mia testa da quel giorno. Esse mi sembrano un punto di partenza prezioso per la ripresa della nostra riflessione.
Chi è Giuseppe Cimarosa? È un giovane artista, appassionato di teatro e di cavalli. La sua passione e il suo talento lo hanno portato a proporre,  ormai da dieci anni, tra pochi in Italia, la forma artistica del teatro equestre. (http://www.teatroequestrecimarosa.it/).
Basterebbe questo per interessarci a lui, per incuriosirci sul rapporto uomo-cavallo che Giuseppe sente come una modalità innata delle sue capacità espressive. Non ricordo – mi dice – quando ho cominciato ad amare i cavalli, forse li amo da sempre. Il Teatro equestre ha origini antichissime che in questo periodo, grazie anche all’impegno di Giuseppe Cimarosa, stanno riemergendo richiamando pubblico in varie parti d’Italia.
Ma c’è un particolare che ci scaglia, inaspettatamente, in un mondo di cui nessuno vorrebbe parlare: né chi c’è dentro, né chi ne è fuori: un mondo che, specie in questi ultimi anni, ha ben poco di “teatrale”: il mondo delle mafie. L’obiettivo delle mafie è  opposto a qualunque forma di teatro, a qualunque forma di comunicazione pubblica, specie se l’intento è quello di mettere a nudo un mondo interiore, di dar forma e voce a quell’intimo che ci attrae ma che, nello stesso tempo, fa anche un po’ paura. Obiettivo delle mafie è vivere e operare nascondendosi, offrendo in pubblico solo volti normali, pacifici, nascondendo le emozioni e la sofferenze che esse stesse generano, nascondendo  i soldi e le economie, nascondendo il potere e i gli stessi capi che comandano. Le mafie hanno capito che la vera (cattiva) anima che aveva portato alle stragi del 92-93 deve permanere come un ricordo e un monito. Troppo sangue diventa prima o poi uno specchio che abita i sogni che diventano incubi, anche per gli stessi mafiosi. Quella violenza non va più “agita”, non conviene. Le mafie e i mafiosi comunicano, così, parlando il meno possibile: i “pizzini” sono emblematici per questo, sono una forma di comunicazione provvisoria, usa-e-getta: da utilizzare solo quando non sia possibile mostrare un semplice sguardo, un movimento della testa o una mienza-palora (mezza parola). A Palermo, per esempio sappiamo tutti che a megghiu palora è chidda c’un si rici  (la miglior parola è quella che non dice). Ma se questa massima può contenere  molta prudente saggezza, non può diventare regola assoluta.
Il particolare della storia di Giuseppe Cimarosa è che lui è parente del Boss-dei-boss, nientemeno che di Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra, latitante da ventisei anni. Giuseppe ha una mamma che con quella famiglia, la sua famiglia (Messina Denaro è cugino di primo grado), non avrebbe voluto avere a che fare. Quando Giuseppe è molto piccolo, a seguito di un litigio, è lei a recarsi dai carabinieri per denunciare un ingiustizia: proprio quello che le regole di ogni mafia non consentono in nessun caso!  Queste son cose che si risolvono in famiglia e se qualcuno ha sbagliato devi star certo che la pagherà. Così i giochi sono fatti: quella donna è una fimmina di caserma, inaffidabile, per sempre!  Succede però che gli uomini della famiglia sentono il fascino del boss (sempre meno visibile) e tentano una riconciliazione. Pace si fece, ma al prezzo di una pesante mortificazione di quella donna. E fu così che al padre di Giuseppe sarà poi chiesto qualche favore, che quell’uomo non negherà. Quell’uomo, come si conviene, non dirà niente  ai carabinieri, né prima né durante quei lunghi anni di prigione. Quell’atteggiamento che da qualcuno è letto come una sorta di possibile porta d’ingresso, di passaporto di fedeltà, sarà però anche la causa della rottura e del disprezzo del figlio Giuseppe.
Verrà arrestato una seconda volta. Giuseppe, che aveva ormai capito a quale destino poteva andare incontro se solo avesse ceduto a qualche lusinga, a qualche promessa, magari mai pronunciata, glielo aveva a sua volta giurato: “Mettiti ancora con quelli e non vedrai più tuo figlio! Per tutta la tua vita!” Dopo il secondo arresto, Giuseppe va al primo colloquio in carcere con tutta la rabbia di un figlio che disprezza per sempre il padre mafioso. Ma qui accade qualcosa il cui ricordo rende lucidi gli occhi di quel figlio: il padre ha iniziato a collaborare! Gioia di un figlio per un padre ritrovato, per un padre realmente pentito, per un padre che ha amato e ama i suoi figli e che, probabilmente, proprio per questo amore, compie il gesto che lo riscatterà ai loro occhi. Ma non fai in tempo per sperimentare una gioia che a questa si unisce il dramma; quel dramma che sembrerebbe inevitabile per un parente stretto di un collaboratore. Ecco allora che viene proposto il classico  “programma di protezione”: residenza in una località segreta, cambio di cognome, di lavoro, di tutta una vita faticosamente costruita.
Giuseppe ci pensa, ma forse neanche tanto. Poi prende la decisione: rifiuta tutto! Resta nel suo paese. E così la mamma, la nonna, il fratello.
Come non immaginare che sia stata forse la forza e l’amore dei suoi amici cavalli, di quelle vite scalpitanti che ha sempre sentito pelle su pelle, di quel sangue che ha sentito scorrere a pochi centimetri dal suo, che ha sentito come fosse il Suo!
Decisione e presa! “Non sono io che devo andar via dalla mia terra. Forse sarà qualcun altro.”

 

Le dichiarazioni del padre di Giuseppe, Lorenzo Cimarosa,  sono risultate molto utili per gli inquirenti che hanno potuto ricostruire diverse dinamiche interne alla famiglia mafiosa. A seguito delle sue dichiarazioni , vengono arrestate diverse persone tra cui anche fratelli di Matteo Messina Denaro.  La mamma, il fratello e la nonna di Giuseppe (i cui figli sono stati arrestati a seguito delle dichiarazioni di Lorenzo) vivono oggi insieme a Castelvetrano. La nonna di Giuseppe (suocera di Lorenzo) ha assistito il genero durante la malattia che lo ha colpito durante il periodo della collaborazione.
Lorenzo ha continuato a collaborare con gli inquirenti fino alla vigilia della sua morte.

Il 10 e l’11 Agosto 2019 andrà in scena presso il Centro di Equitazione Equus di Castevetrano (TP) Lux, l’ultimo spettacolo ideato e messo in scena da Giuseppe Cimarosa. Andrò a vederlo e invito tutti a fare altrettanto.

Se vuoi conoscere Giuseppe Cimarosa e il suo teatro, vedi anche:  https://www.castelvetranoselinunte.it/lappello-di-giuseppe-cimarosa-ai-figli-dei-mafiosi-video/119527/

https://youtu.be/NbkPZZp0kpw

Di Vincenzo Sanfilippo

Svolgo la professione di sociologo nell'ambito di un Dipartimento di Salute Mentale. La mia formazione spirituale e sociale mi hanno portato in gioventù all'obiezione di coscienza e alla nonviolenza. Sono abbonato ad Azione Nonviolenta dal lontano 1975 e non posso che ringraziare questo strumento che ha contribuito alla mia formazione e che, con altri percorsi variegati (scoutismo, studi universitari a Trento, comunità del dissenso cattolico) mi ha portato alla nonviolenza gandhiana e alla Comunità dell'Arca fondata da Lanza del Vasto di cui faccio parte dal ‘95. Con amici palermitani e catanesi abbiamo costituito una Fraternità di cui potete avere notizia visitando il sito http://www.trefinestre.flazio.com/home  

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