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Torto marcio

DiDaniele Lugli

Nov 4, 2019

Ha scritto un libro, ora anche in Italiano, “I rischi della percezione” (ed. Einaudi, 2019). Misura la differenza tra fatti verificabili e la loro percezione nelle persone in ogni parte del mondo. Emergono false credenze sui temi più diversi. Quando si indicano i numeri veri, il soggetto li respinge. L’ho sperimentato anch’io, nel confronto con gli altri e con me stesso. Non sopportiamo la “dissonanza cognitiva”. Quello che contrasta le nostre credenze ci inquieta e destabilizza. Le nostre percezioni sbagliate hanno inoltre ragioni profonde e lontane. Il nostro cervello ne è modellato. Conoscerle un po’ ci fa bene.

La distanza delle opinioni delle persone dai dati effettivi è molto rilevante: si tratti della presenza di immigrati, dell’impatto sull’andamento della criminalità, di musulmani tra noi e di stima della loro crescita, di incidenza della disoccupazione, dell’affluenza alle urne, di acceso a internet, di contributi dati e ricevuti dall’UE, degli iscritti a facebook, degli andamenti di ricchezza e povertà, della presenza femminile in politica, delle vittime di terrorismo e di altro ancora. Le tabelle, numerose nel libro, danno un quadro della diffusione di credulità e disinformazione diffuse nel mondo. Sono proposte spiegazioni di ordine generale e pure specifiche. L’Italia si classifica sempre in posizioni alte nelle graduatorie.

Nel 2015 alla conferenza dell’Ipsos di Londra è stata assegnata la medaglia al Paese che nel mondo ha più torto. Quaranta nazioni erano in gara, sottoposte a centomila interviste, che misuravano la distanza fra realtà dei fatti e percezione comune. Ha vinto l’Italia e da allora è in testa anche nella classifica della cattiva percezione, tra le tredici nazioni delle quali si dispongono di dati più completi. Fatto 100 l’indice delle percezioni sbagliate degli italiani ci seguono i nord americani a 90 e poi gli altri. Pagnoncelli, Ipso Italia, ha ritirato il premio: “Siamo lieti di accettare questa medaglia a nome di tutti gli italiani. Siamo un popolo orgoglioso, Ma questo premio non ci offende. Perché siamo anche un popolo emotivo, colorato, capace di grandi gesti. E credo che questo spieghi almeno in parte perché abbiamo torto così spesso. Quanto meno, ci sbagliamo con stile”. Sullo stile avrei qualche perplessità.

L’emotività di italiani e americani appare maggiore di quella di tedeschi e svedesi, può spiegare un poco la diversa posizione in graduatoria. Un problema che ci preoccupa ci appare maggiore di quello che è. È facile sparare un numero che esprime la nostra emozione. Aggiungerei che gli studenti italiani e quelli americani sono i peggiori in lettura e matematica. C’è bisogno di una vera e propria alfabetizzazione alla notizie, come scrive l’autore. Senza questa “permettiamo alle reazioni emotive e alle identità tribali di avere il sopravvento sul pensiero critico… Le percezioni sbagliate dipendono sia dal nostro modo di pensare sia dalle informazioni che riceviamo, e affinare le nostre capacità è una delle questioni sociali più urgenti e importanti della nostra epoca… In Italia ottomila scuole superiori partecipano a un progetto pilota per cacciare le bufale con lezioni su come leggere, scrivere, interpretare le notizie”. Molto bene. Bisogna cominciare anche prima. Farne oggetto di scuola permanente, prima di dare per persi tutti gli adulti.

In un’intervista Bobby Duffy ricorda che “Livello emotivo e razionale sono legati. Anche la speranza suscita risposte potenti, non solo la paura. In fondo entrambe le cose interrogano il tipo di società in cui viviamo. Bisognerebbe spingere la gente a pensare alla società in cui vorrebbe vivere, non a quella in cui ha paura di vivere”. Magari ricordare con Bauman che “Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati”.

Sono temi non nuovi. Me ne sono occupato in almeno altri due post:

Mundus vult decipi (18 dicembre 2017). Lo attesta, tra gli altri, il Rapporto Censis dell’ottobre scorso, “I media e il nuovo immaginario collettivo”: più della metà degli italiani che navigano in internet crede alla false notizie che ci trova. E in internet ci vanno 3 italiani su 4; 9 su 10 hanno un cellulare, per 7 è uno smartphone. In rete ci vanno un po’ tutti. Praticamente tutti i giovani frequentano abitualmente la rete, contro un terzo dei vecchi, che non è detto siano meno creduloni…

L’ignoranza non è più beata (15 ottobre 2018). Gli italiani sono i più ignoranti in Europa e dodicesimi nel mondo. Lo certifica l’annuale classifica Ipsos Mori. Non conosciamo dunque il mondo in cui viviamo. Agiamo senza competenza e lucidità. Gli effetti sono sempre più evidenti…

Ci torno su perché dallo scritto di Duffy ricavo qualche risposta alla domanda di Aldous Huxley –concludeva il mio secondo intervento – “Il più delle volte l’ignoranza può essere vinta: noi non sappiamo perché non vogliamo sapere”. C’è però il rischio forte che non si voglia fare la fatica del pensiero critico, della verifica delle fonti, della pratica della nonmenzogna, grati a qualcuno che ci esenti da questa lavoro, alle cui menzogne affidarci.

In un sondaggio del 2016, alla domanda “Vorrei che il mio paese fosse guidato da un leader forte invece che dal governo attuale”, primi come risposta favorevole sono risultati Italia e Usa, ultima la Svezia. Chi ha richiesto in Italia pieni poteri riceve non pernacchie, ma consensi. È un’esperienza tragica che il nostro paese ha già fatto quasi un secolo fa e ne è uscita con lacrime e sangue.

Ristretti gruppi se ne sono accorti quando il regime appariva trionfante. Un gruppo si era formato alla Normale di Pisa attorno a Aldo Capitini e Claudio Baglietto, già nel ’31. Claudio Varese – partecipe del gruppo con Alpino, Ragghianti, Binni, Villa, Dessì, Di Pino, Perosa, Segre – ricorda “Sotto la data del 27 gennaio 1932 trovo gli appunti di una conversazione e di concordanza di pensiero tra Baglietto e Capitini: Occorre ristabilire il senso dell’oggettività: il rispetto del fatto. Si raggiunge il più puro spiritualismo trattando il fatto come puro fatto, senza confusioni: il nostro idealismo spesso confonde. Occorre non viziare il fatto, ma cercare di capirlo e di sentirlo con la maggiore larghezza ed intensità. Sentire la realtà come realtà, ma l’idea come realtà più realtà, come non fanno gli idealisti che chiamano idea la realtà”. Sempre Huxley ricorda: “I fatti non smettono di esistere solo perché li ignoriamo”. Con il loro aiuto speriamo si possa avere ragione della paranoia sociale, fondata sulla menzogna, contagiosa e dunque più pericolosa della paranoia psichiatrica.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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