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La teoria della non-speranza: riflessioni da una veranda in mezzo alla foresta

DiFabrizio Bettini

Mar 26, 2015

Leggendo questo diario di una volontaria di Operazione Colomba in Colombia tutti i racconti ascoltati si sono connessi e idealmente sono anch’io sulla veranda di una baracca in una vereda in mezzo alla foresta ad ascoltare il “negro” storico fondatore della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò. Mi commuovo immaginando la scena descritta e mi esalto sul finale.
Condivido questa lettura perchè nonostante la non-speranza loro resistono nonviolentemente e forse lottano anche per la nostra consapevolezza.

Fabrizio

La teoria della non-speranza
Arenas

Sono le 6, il sole sta tramontando e, dopo essere stati nella cacautera, ritorniamo nella casetta sgangherata che ci ospita in questa vereda.

Sono le 6 e la giornata di lavoro è finita.

Ci sediamo nel portico della casa che regala la magnifica vista della foresta colombiana al tramonto.

I colori, i suoni, la tranquillità ti trasmettono una sensazione di pace.

Si… una sensazione di pace, peccato che questa foresta sia stata ed è ancora il campo di battaglia dei vari gruppi armati che stanno lacerando la Colombia.

Solo due giorni fa siamo stati in una piantagione di cacao della Comunità poco distante da qua dove, fregandosene completamente della proprietà privata e del pericolo alla quale sottopongono i contadini che devono lavorare nella zona, una truppa dell’esercito si è accampata.

Abbiamo accompagnato un membro del Consiglio della Comunità di Pace a parlare con il Comandante, a chiedergli di andarsene di là, di non infrangere la legge che lui stesso dovrebbe far rispettare, di rispettare chi vuole solamente lavorare la terra e vivere in pace.

Fa la voce grossa il Comandante, ci guarda dall’alto in basso mentre alle sue spalle i soldati ridono. Sono giovani, avvolti in quell’uniforme che li fa sembrare identici l’uno all’altro, tutti abbracciati alla loro arma, arroganti e sprezzanti.

Promettono che se ne andranno il giorno seguente e, anche se contrariato, il Negro decide di andarsene.

Seduti nel portico, abbagliati dal sole che scende piano, ascoltiamo i mille aneddoti, i racconti e le teorie del Negro. Lo guardo mentre lima il suo inseparabile machete. E’ tutto un nervo il Negro, magro, pelle bruciata dal sole e segnata dalle cicatrici del lavoro nei campi e gli occhi luccicanti di chi è vivo, vivo davvero!
Mi guarda e mi dice che la sola vittoria sarà la morte, che non c’è speranza.

Mi guarda e me lo dice sorridendo.

Mi domando: senza speranza nel cambiamento, senza speranza in un miglioramento, senza speranza nella pace come si può lottare e resistere?

Il Negro spiega la sua teoria della non-speranza.

“Da quando la Comunità di Pace è nata, 18 anni fa, i suoi membri sono stati vittime di ogni tipo di violenza. Tutti i gruppi armati, legali ed illegali, hanno tentato di distruggere la Comunità, ci hanno provato perché la sua resistenza impedisce e si oppone alle logiche perverse di uno sviluppo economico ingiusto.

Non c’è speranza soprattutto ora che le grandi multinazionali straniere, potenti e imponenti, vogliono accaparrarsi le immense ricchezze del sottosuolo colombiano con il consenso dello Stato e dei Paesi stranieri che scelgono di investire in Colombia anche a scapito dei colombiani stessi.

Multinazionali che, in nome del profitto, privano i contadini della loro terra e di tutto ciò che possiedono, rendendoli schiavi nelle grandi imprese o nelle miniere.

E’ per tutti coloro che vengono oppressi, per chi è vittima, che bisogna lottare e far sentire la voce discordante di chi decide di resistere, affinché vengano rispettati i loro diritti. Senza cullarsi nella speranza del lieto fine ma con la triste consapevolezza delle difficoltà e dei pericoli nei quali incorre chi si oppone. Perché questa è la sola cosa giusta da fare”.

Penso che il Negro abbia ragione, penso che si prospettano tempi duri per la Comunità di Pace.

Eppure quando ieri siamo tornati da quel Comandante che faceva la voce grossa, da quei soldati abbracciati alla loro arma (e questa volta con più di 70 membri della Comunità), quando ho sentito le persone rivendicare insieme i loro diritti, quando ho visto dopo ore di discussione le persone organizzarsi per rimanere a difendere la propria terra, quando quel Comandante sembrava quasi impaurito da quel gruppo di uomini, donne e bambini, quando ho visto i soldati fare gli zaini ed andarsene, io ho avuto speranza.

Gio

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Immagine tratta da operazionecolomba.it

Di Fabrizio Bettini

Sono sposato, papà di 3 figli, volontario di lungo periodo in Croazia, in Kossovo, Caucaso e nel conflitto palestinese. Dal 2005 faccio parte della segreteria di Operazione Colomba e coordino dall'Italia la nostra presenza, prima il Kossovo (fino al 2010) e poi l'Albania (dal 2010).

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