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Rifugiati e migranti in Costituzione

DiDaniele Lugli

Dic 10, 2018
	

Avevamo cominciato bene il 24 marzo del 1947 in Assemblea costituente approvando l’art. 3 del progetto, che sarebbe divenuto il primo comma dell’art.10 della nostra Costituzione: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Aveva, opportunamente,sottolineato Dossetti l’importanza per lo Stato di riconoscersi “membro della comunità internazionale” e soggetto al diritto internazionale nella sua evoluzione. L’articolo era stato completato l’11 aprile con gli altri commi: La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

Nella stessa seduta di aprile sono state approvate le disposizioni divenute poi un articolo autonomo, il 16: Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

C’è poi l’art. 35, discusso e approvato nelle sedute 8 e 13 maggio 1947: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.

Il comma dedicato all’asilo è stato oggetto di attenta discussione. Ne ha diritto non solo il perseguitato politico ma chiunque sia impedito nell’effettivo esercizio delle libertà previste nella nostra Costituzione e, magari, anche in quella del suo Paese. Ogni proposta di limitazione, pur argomentata, è stata rigettata. Anche Nobile ha rinunciato al proprio emendamento: “salvo le restrizioni imposte dalle leggi sull’immigrazione”. Per lui, “che il diritto di asilo debba concedersi a rifugiati politici isolati è cosa fuor di discussione; ma domani potrebbero battere alle nostre porte migliaia di profughi politici di altri paesi…”. È un’ipotesi divenuta attuale alla quale rispondere nelle forme possibili e nella fedeltà all’art.10, uno dei Principi fondamentali della nostra Costituzione.

La formulazione dell’art.16 non è lontana da quella elaborata, nello stesso periodo, dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, sotto la presidenza di Eleanor Roosevelt. È divenuto l’art.13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. Nella prima formulazione dell’articolo, che sarebbe poi divenuto il 16, si parla pure di emigrazione. Dominedò ritiene “la disciplina dell’emigrazione così intimamente connessa ai problemi del lavoro e così strettamente attinente all’espansione della personalità umana sul piano economico-sociale” da richiedere una diversa collocazione rispetto al Titolo I, Rapporti civili, in cui è inserito l’art.16. Il suggerimento viene accolto. La disposizione, come si è visto, chiude l’art. 35, che apre il Titolo III, Rapporti economici. Dominedò preoccupato “che la libertà dell’emigrazione sancita in sede costituzionale, non sia ad un tempo rimessa alla possibilità di subire obblighi o limiti incondizionati in sede legislativa” propone questa formulazione: “L’emigrazione è libera salvo gli obblighi imposti dalla legge per i casi di guerra o emergenza”.

Quando il tema torna in discussione nel maggio è lo stesso Dominedò a proporre la formulazione poi approvata, volta a restringere la possibilità di deroghe al principio di libertà. Si deve invece all’iniziativa di Foa la disposizione tutela il lavoro italiano all’estero. Emigrazione/immigrazione sono due modi di guardare allo stesso fenomeno: Foa avanza la proposta come “impegno e garanzia di carattere interno per l’emigrazione, ma anche come impegno di carattere internazionale”. Gli Stati e le economie dominanti “prevedono nettamente e apertamente una politica di abolizioni di controlli e di vincoli per i movimenti di capitali e i movimenti di merci… assistiamo ai trasferimenti coattivi di intere popolazioni e dall’altra al chiuso isolazionismo demografico e ai divieti di immigrazione”. Confida che “le classi lavoratrici” superino “una politica di chiusura e di protezionismo operaio” e prospettino il tema dell’emigrazione/immigrazione “in una luce concreta che sia favorevole anche ai popoli poveri”.

A dispetto delle norme internazionali, comunitarie e costituzionali, richiedenti asilo e migranti non hanno diritto ad avere diritti. Scontiamo ancora tutti i limiti di una risposta sostanzialmente nazionale ai temi dell’asilo (e delle migrazioni) che richiedono risposte globali, o almeno europee, nell’analisi delle cause, nel governo dei flussi e nell’inclusione dei migranti. Mi pare che norme e dibattito richiamati siano attualissimi. Siamo noi“inattuali”, incapaci di attuazione a indicazioni tempestive, di dare effettività a diritti necessari, di dare spazio e riconoscimento al lavoro dei migranti, spesso il più duro e meno garantito. Anche su quel lavoro si fonda la nostra Repubblica. Gli atti dell’Assemblea costituente si trovano in una buona biblioteca e pure in internet. Mostrano la capacità di vedere in profondità e prospettiva dei nostri costituenti. È una lettura che consiglio, anche se può essere sconfortante, raffrontandone il livello con quello dell’attuale dibattito politico.

P.S. Risulta che della faraona – pelata dal Tata o da un suo delegato – un po’ ne spetti anche all’ospite straniero.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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