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Una repubblica dove dire buon giorno vuol dire veramente buon giorno

DiDaniele Lugli

Ott 21, 2018
Biani Riace

C’era la guerra quando Zavattini ha pensato a quel soggetto e l’ha realizzato. La guerra era da poco finita quando, con De Sica, l’ha tradotta in un film. Ora la guerra contro i migranti e i loro complici è in pieno svolgimento, a Riace e altrove. L’Italia si comporta secondo la media ferocia europea. Per la sua collocazione ne è però un avamposto.

Inizia la seconda guerra mondiale anche per l’Italia e Zavattini scrive un soggetto cinematografico, 29 settembre 1940. Pensa a Totò, che firma pure lui il progetto, come protagonista. Rielaborato e pubblicato 14 maggio in otto puntate su Il Tempo nel 1942 diviene un romanzo “Totò il buono” , Bompiani 1943. La guerra è finita e il libro ispira il film “Miracolo a Milano”, girato con de Sica nel 1950.

Leggetelo, vedetelo… E’ la storia del tentativo di riscatto di un popolo emarginato, “i baracchesi” alla periferia della metropoli Bamba, dell’azione per eliminare quell’esperienza, quando si scopre che nella zona è presente il petrolio, della buffa e vittoriosa resistenza, dell’invasione della città da parte dei “baracchesi”, del ruolo decisivo di Totò, capace di miracoli…

La storia di Domenico (Mimì) Lucano a Riace è stata raccontata in molti modi. Anch’essa ha del favoloso. La racconta ad esempio Tiziana Barillà, “Mimì Capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace”.

Comincia, giusto venti anni fa, con l’arrivo alla marina di un veliero turco, carico di curdi (72 bambini, 46 donne e 66 uomini). Grazie al vescovo Bregantini vi è una prima ospitalità. Mimmo fonda un’associazione “Città futura”, perché l’azione si consolidi con vantaggi per la vita dei residenti e dei nuovi arrivati. Divenuto sindaco dedica tempo, intelligenza, energia alla realizzazione di un’integrazione esemplare, riconosciuta e studiata in tutto il mondo. Il borgo storico trova nuova vita. Riace non è più solo il luogo dove, nel ’72, sono affiorate due belle statue.

Lucano è ai domiciliari e sarà processato per reati ai quali sarebbe stato indotto da un eccesso di umanità e generosità. E il modello Riace deve essere distrutto. Perché funziona. Questo sembra essere il senso della revoca dei finanziamenti, della decisione di allontanamento del Sindaco e poi degli stranieri che vi sono ospitati. Si parla di deportazione. A me vien in mente un’altra distruzione di un’importante iniziativa del dopoguerra: Nomadelfia.

Nell’immediato dopoguerra don Zeno Saltini, che già aveva operato in soccorso dei bambini rimasti soli, in gran parte per via della guerra, occupa l’ex campo di concentramento – e avvio alla Germania – di Fossoli di Carpi (Modena). Trasforma le baracche in modeste, ma possibili abitazioni. Le occupano “mamme di vocazione” che, non sposate, si prendono cura di figli non loro. Arrivano anche coppie disposte ad accogliere bimbi abbandonati. Nasce nel ’48 Nomadelfia, una comunità dove. come il nome indica, “l’amore è legge”. Si arriva ad ospitare più di 1.100 persone con 800 figli. La gestione è difficile ed espone don Zeno a un processo prr insolvenza. Viene assolto, ma nel ’52 il Sant’uffizio gli ordina di lasciare la Comunità e Fossoli è sgomberato con la forza dagli uomini mandati dal Ministro dell’Interno Mario Scelba.

La chiusura verso i non europei, salvo che non siano ricchi o ci siano indispensabili, mi ha fatto parlare di guerra. Solo uno stato di guerra può giustificare infatti la mancata concessione di cittadinanza a centinaia di migliaia di bambini e ragazzi nati, cresciuti, istruiti in Italia, dei quali vogliamo evidentemente coltivare il risentimento per l’immotivata esclusione. Solo una situazione di belligeranza può giustificare il trattamento nei confronti di disperati denunciati come presunti invasori. Così fan tutti in Europa, come noi o un po’ peggio o un po’ meglio. Così han fatto, con meno spudoratezza, anche i governi che hanno preceduto l’attuale.

Mia zia – la famiglia materna è di Carpi – mi diceva che siamo un po’ parenti di don Zeno. Non c’è merito in questo, ma la cosa mi fa egualmente piacere. L’ultima tessera di partito che ho avuto in tasca è la stessa di Mimmo Lucano. Non l’ho rinnovata, più o meno quando la prendeva il giovane Mimmo, emigrato tra Roma e Torino. Avverto un impegno che non può essere dismesso. Esempi buoni da seguire ci sono.

Il romanzo si conclude con Totò, che a cavallo di una scopa vola verso il cielo, lasciando Bamba e i suoi abitanti (evidentemente dei “bamba” inconsapevoli di esserlo). Nel film sono tutti “i baracchesi” a volarsene via. La ricerca è la stessa, solitaria in un caso, collettiva nell’altro, di “un regno dove dire buon giorno vuol dire veramente buon giorno”. Un posto così, lo è (lo è stato?) Riace. Perché lo sia la Repubblica ci vuole molto lavoro con i piedi solidamente a terra.

 

(Vigna di Mauro Biani)

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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